
La decadenza di una Dinastia
Negli anni più vivibili e speranzosi per Torino, cioè alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, I.D Racliff, citando anche i contributi di J. Icks e di L. Bonnefon- Craponne, scrisse pagine luminose sulla bellezza della nostra città e sull’imponenza degli stabilimenti Fiat; la “fabbrica” che dopo le distruzioni belliche contribuiva alla rinascita dell’Italia e al benessere dei suoi dipendenti.
Venivano citate l’ampiezza e l’articolazione delle produzioni, dalle auto, agli autocarri, ai motori marini e sino alle lavatrici.
Negli articoli sono stati elencati anche i benefici elargiti dall’azienda a favore dei dipendenti. La scuola allievi Fiat per formare i giovani operai, con corsi triennali retribuiti antecedenti all’assunzione, i servizi culturali, sociali e sportivi e in modo particolare l’assistenza sanitaria gratuita per dipendenti e famiglie, gli asili nido che consentivano alle mamme di lavorare con serenità e senza preoccuparsi dell’assistenza ai figli durante la giornata lavorativa e le colonie estive.
Pochi anni dopo, nonostante l’impegno della Fiat, facevano riscontro minori agiatezze per il dipendente imposte dalla legislazione nazionale e dagli arbitri dei sindacati.
I dipendenti Fiat, come già accennato, fruivano di una assistenza sanitaria privata, la Malf che garantiva gratuitamente ogni tipo di prestazione sanitaria per dipendenti e famiglie, ma con l’avvento dei socialisti al governo, a metà degli anni ’60, seguendo l’utopia di migliorare e pianificare l’assistenza sanitaria del Paese, si istituì il lacunoso Servizio Sanitario Nazionale che, come conseguenza, causò la chiusura della Malf. Così coloro che stavano meglio (dipendenti Fiat e di altre aziende importanti) stettero peggio e chi stava peggio non migliorò di certo la propria situazione.
Poi ci pensarono i sindacati a voler l’abolizione degli asili nido e le sale Mediche negli stabilimenti e a imporre la dislocazione di alcune produzioni da Torino per trasferirle al Sud d’Italia, a scapito dello sviluppo del turismo e dell’agricoltura nelle zone prescelte. Lo Stato (ossia i cittadini) sprecò miliardi per costruire cattedrali nel deserto nelle regioni del meridione, ove mancavano strade, ferrovie e infrastrutture. La mafia la fece da padrona per creare ostacoli ai nuovi insediamenti e vendere a caro prezzo sevizi su territori di fatto controllati dalla malavita e, con il passare degli anni, tranne eccezioni, queste fabbriche oggi vivono al lumicino o sono state abbandonate.
Nonostante i minori posti di lavoro rimasti a Torino e congiunture economiche intercorse, Il prestigio della Fiat, rimaneva radicato. Tant’è vero che nei giorni seguenti alla morte di Giovanni Agnelli avvenuta il 24 gennaio del 2003, furono in migliaia, gran parte dipendenti ed ex dipendenti Fiat a percorrere le rampe del Lingotto per render omaggio a colui che per circa un secolo aveva garantito il posto di lavoro ai figli dei dipendenti e anche ai nipoti.
Gianni Agnelli con una sapiente regia d’immagine, nel corso della sua vita, ha fatto risplendere le pubbliche virtù e, soprattutto ha infuso la certezza nel futuro.
Ovviamente non tutto era così altruistico e positivo. Boiardi di Stato, opportunamente indotti erano pronti ad avallare, a vantaggio dell’azienda a degli azionisti, soluzioni palesemente mendaci prodotte da una pletora di consulenti servili, corrotti e pure felloni che con disarmante sicurezza producevano documenti finalizzati ad ottenere il placet governativo per ogni tipo di operazione fiscale, urbanistica e produttiva.
Il caso delle condizioni di acquisizione dell’Alfa Romeo sta a dimostrare palesemente l’assoluto vantaggio per la Fiat a scapito del bilancio dello Stato. Le voci maligne e in parte veritiere non mancarono nel denunciare i vizi, nascosti dalle virtù, ma la prevalente garanzia occupazionale faceva dimenticare tutto.
Torino cresceva per numero di abitanti e qualità della vita e in tantissime occasioni, dai festeggiamenti di Italia61 alle Olimpiadi Invernali, era la Fiat e in primis l’Avvocato che, con il suo intervento, spiazzava ogni alternativa a scapito della nostra città e, determinava la grandeur, seppur momentanea di Torino, con gli occhi del mondo convergenti.
Con la sua morte, sono rimaste solamente le ombre. La pletora di consulenti, servili, corrotti e felloni, si è prodigata, con maggior lena per fare prevalere gli interessi esclusivi di parte dei suoi eredi, non di certo finalizzati al raggiungimento dal “Bene Comune” e della continuità produttiva. Beghe famigliari hanno avuto e continuano a rivestire la prevalenza sul destino dell’azienda.
Così il tornaconto non è stato distribuito a vantaggio del territorio, con i centri decisionali trasferiti altrove. I posti di lavoro sono diminuiti, come la sicurezza della continuità degli stabilimenti produttivi; il welfare aziendale, seppur un po’ paternalistico è quasi annullato.
Torino, da capitale è piombata al ruolo triste di periferia, privata del ricordo dello splendore che fu e con una crisi d’identità non indifferente, alimentata dalla palese incapacità degli amministratori locali e ancor più con l’entrata in scena dell’impresentabile sindaco Lo Russo.
Che tristezza assistere al depauperamento di un patrimonio ideale, umano ed economico ove, seppur con qualche vizietto e disprezzo di leggi e procedure, emergeva l’impegno e la serietà di una Dinastia che nobilitava il lavoro.
Non sappiamo se le inchieste della magistratura in corso potranno procedere serenamente e speditamente. Sappiamo solo che si è rotto un rapporto vitale con la Città. E’ andato in frantumi un mito e si è invertita la rotta. Emerge l’egoismo a scapito delle pubbliche virtù, con scelte manageriali in gran parte errate.
Purtroppo, le cronache delle grandi famiglie ci hanno dimostrano quel che era già accaduto altrove, con esiti e ricadute nefaste per i territori.
A Torino invece no.
La nostra città e la Fiat avevano saputo superare gli obbrobri degli epuratori del 1945 che volevano estromettere la proprietà dall’azienda, le utopie perverse dell’autunno caldo, ma oggi non ne stiamo uscendo bene a causa delle protervie e del cinismo perpetrato e promosso da chi avrebbe dovuto difendere il prestigio famigliare e la mission ricevuta.
Civico20News
Francesco Rossa
Editorialista
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Fa sempre piacere leggere un articolo redatto con obiettività e onestà intellettuale e senza timori reverenziali.