Di Aemi Bonifetto
Si parla molto, negli ultimi tempi, della mancanza di parità nel rapporto tra uomini e donne.
Giustamente.
La civiltà in cui viviamo è di stampo chiaramente patriarcale, e il genere maschile ha perpetrato nel tempo uno stato di cose molto squilibrato, in cui le donne hanno dovuto subire – e in molte parti del mondo ancora subiscono – vari tipi di sottomissioni e angherie.
Tutto ciò accade da secoli e oggi sta finalmente venendo alla luce in modo evidente, per fortuna. La soluzione di questo problema però ancora non si scorge all’orizzonte: una cosa infatti è rendersi conto di uno stato di cose, un’altra è comprendere come risolverlo. Nel senso che per risolvere un problema occorre intervenire sulle sue cause; solo così si potranno generare effetti diversi.
Non sarà infatti partecipando a un combattimento tra uomini e donne per ottenere una supremazia (come purtroppo sta accadendo nella nostra società occidentale) che si potrà ottenere una vera evoluzione positiva della nostra civiltà, poiché “combattere per una supremazia” fa sempre parte dei modi maschili, dunque non modifica quello che è il fondamento di questa realtà distorta.
Si dirà forse che non si tratta di supremazia ma di parità di genere. È vero, ma se la parità viene ottenuta attraverso un combattimento, sempre di lotta si sta parlando, e la lotta è – come dicevamo – area maschile. Non posso annullare un’ingiustizia attraverso un’azione ingiusta (non serve a nulla “combattere per la pace”, ad esempio, la storia lo mostra con chiarezza), il fine NON giustifica i mezzi. I mezzi – lo dice la parola stessa – stanno “in mezzo” tra noi e il fine, dunque devono essere coerenti sia con noi che con il fine.
Ho spesso riflettuto a fondo su quale fosse l’essenza del problema e su come mettere mano alle sue cause, e oggi vedo soprattutto tre aspetti.
Il primo è questo.
Nel tempo l’umanità ha vissuto un’alternanza di periodi a dominazione patriarcale e matriarcale (dei quali esistono ancora oggi piccole tracce in alcune civiltà). Mascolino e femminino sono infatti innanzitutto due archetipi, fanno riferimento a due energie, una espansiva e l’altra assorbente.
Inspirare ed espirare sono la nostra prima attività alla nascita; ancora prima uno spermatozoo (mascolino-espansivo) ha bisogno di un utero (femminino-accogliente) per creare la vita; l’energia elettrica scorre tra un polo negativo e uno positivo, se manca uno dei due non succede niente; una stella abbisogna di uno spazio (apparentemente) vuoto intorno per brillare e manifestare la sua luce, il suo irradiamento. Gli esempi potrebbero essere infiniti …
Per semplificare (e prendendo a esempio la base della vita, il fenomeno della procreazione), diciamo che l’archetipo del mascolino è una sostanza piccola, energica, creativa, volitiva, luminosa, e quello femminino un ambiente spazioso, accogliente, aspirante, oscuro e silenzioso, curativo, dove le cose possono evolvere in tranquillità. Gli antichi cinesi li avevano chiamati Yang e Yin.
Tutto funziona, in natura, se mascolino e femminino collaborano. Ma la nostra storia umana racconta altro.
Racconta di un “mascolino” che agisce incontrollato, generando conflitti, guerre e infine – inevitabilmente – distruzione, alla perenne ricerca di qualcosa che non ha e che pensa di potersi procurare con l’esercizio della forza. E di un “femminino” che ha accettato il confronto bellico con l’altra polarità e cerca di ottenere parità e rispetto con un’azione altrettanto di forza. Oggi una donna viene considerata nel lavoro se si comporta come un uomo, se gestisce la propria carriera professionale alla ricerca di continue conquiste, in sostanza se vince. In questo non incarna per nulla il suo archetipo, e rischia – a lungo andare – di fare la stessa fine del maschio, che invece di creare la vita finisce per distruggerla.
Che fare, allora? C’è una soluzione, da qualche parte?
La prossima settimana vi racconterò il secondo aspetto delle mie riflessioni, ma vi lascio una storiella breve breve su cui vale la pena di riflettere un momento, per osservare in modo neutro quanto la nostra percezione della realtà possa essere parziale e sfalsata.
Un maestro tibetano disegnò un giorno sul bianco di un grande foglio il segno stilizzato di un piccolo uccello e chiese ai suoi studenti: «Che cos’è?». In molti dissero: «Un uccello». E il maestro, scuotendo la testa: «No, è un vasto cielo in cui, in questo momento, sta passando un uccello».
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