In vista delle elezioni europee
Sono convinto che in Italia ci siano tanti conservatori pur se non esiste un “partito” che li raggruppi e li rappresenti pubblicamente sulla piazza. Ce ne sono stati molti anche in passato. Così, studiando e interpretando la Storia a partire dalla data emblematica della Rivoluzione Francese – 1789 –, vediamo che se pochi personaggi “illustri” hanno avuto consapevolezza di essere “conservatori”, molti, invece, lo sono stati magari senza saperlo: sicuramente la maggioranza del Popolo Italiano.
Infatti, mentre accadevano gli avvenimenti in Francia, solo alcuni – Joseph de Maistre, Antonio Capece Minutolo principe di Canosa, Monaldo Leopardi, Pio Brunone Lanteri… – si resero conto della portata epocale della Rivoluzione d’oltralpe che, insieme al “male”, spazzò d’un colpo tutto il “bene” dei secoli passati. Essa, però, negli Stati italiani, venne accolta con entusiasmo solo dagli intellettuali, mentre il popolo ne rimase completamente estraneo e non ballò intorno agli “alberi della libertà” come fecero alcuni nobili sconsiderati che avevano già bevuto le idee di Voltaire e di Rousseau.
E quando, nel 1796, l’esercito napoleonico repubblicano e rivoluzionario calò in Italia per occuparla e depredarla (fra molti titoli si veda il più recente “Napoleone, ladro di arte. Le spoliazioni francesi in Italia e la nascita del Louvre” di GIORGIO ENRICO CAVALLO, D’Ettoris Editori 2022), il vero Popolo insorse a Porta Ticinese a Milano, a Binasco, a Pavia, a Como, a Varese, ad Arquata Scrivia, a Verona nelle cosiddette “Pasque veronesi”, Lugo di Romagna, ad Arezzo con i “viva Maria!”; insorsero i montanari degli Abruzzi, i contadini della Sabina, i “lazzaroni” a Napoli e in Calabria l’“Armata della Santa Fede” del Cardinale Fabrizio Ruffo.
Era un popolo sicuramente “conservatore” che si ribellava e difendeva la Religione irrisa e calpestata dai giacobini e le proprietà saccheggiate dagli invasori affamati: furono le cosiddette “Insorgenze” che si conclusero nel 1814 con la fine dell’avventura napoleonica; i morti tra il “popolo basso” dal Tirolo alle Calabrie si contarono a migliaia. Ma è una pagina di Storia ancora quasi completamente negletta dai libri scolastici.
Essa, quando in passato se ne faceva qualche cenno, veniva liquidata o in chiave di pre-risorgimento o di pre-lotta di classe: la prima era quella fascista che vide gli “Insorgenti” come Italiani combattenti contro lo “straniero” francese; la seconda, la marxista, li immaginò come “sfruttati” delle “classi subalterne” che prendevano fucili e forconi contro i “padroni” delle “classi dominanti”; ambedue, però, erano falsate perché non tenevano conto della Religione che nelle “Insorgenze” ebbe un ruolo fondamentale.
E il popolo “conservatore” rimase estraneo se non ostile anche nella “Rivoluzione italiana”, figlia di quella “francese”, che passa alla Storia col nome di “Risorgimento”. Nonostante la propaganda compatta nelle scuole, prima liberale (v. il famoso “Cuore” di EDMONDO DE AMICIS), poi nazional-fascista, quindi, buon’ultima, quella democristiano-marxista, esso può essere visto come una forzata fusione o una “conquista” da parte dell’esercito dei Savoia che livellò l’Italia a immagine e somiglianza del Piemonte (fra altri titoli v. di CARLO ALIANELLO “L’alfiere”, Feltrinelli 1964 e “La conquista del Sud”, Rusconi 1972).
Compiuta l’“unità”, 1861, si ebbero, infatti, insurrezioni delle plebi del Sud che non accettavano le imposizioni fiscali e la leva obbligatoria, sconosciuta ai tempi di Francesco Borbone, italianissimo, che coi sudditi parlava napoletano. Certo, l’“unità” in sé poteva essere una buona cosa ma sarebbe dovuta avvenire in modo diverso, soprattutto tenendo conto delle varie culture con cui nei secoli la Cristianità aveva già “unificato” la Penisola.
I governi liberali, invece, preferirono “cancellare” gli Stati preunitari e soprattutto, ispirati dalle logge massoniche, combatterono la Religione, spogliando chiese e conventi e mettendo all’asta il “patrimonio dei poveri” – quelle infinite opere con cui la Chiesa soccorreva i bisognosi, gli affamati e i malati – che i già ricchi poterono acquistare e incamerare; ne risultò, oltre alla emigrazione di massa, una situazione paradossale: dei capi agnostici o atei dichiarati che governavano un popolo a stragrande maggioranza credente e cattolico! E anche questo popolo può dirsi a buon diritto “conservatore”.
Così, lo sarà anche dopo la Guerra del 15-18 e una larga maggioranza di esso accetterà il fascismo perfino con entusiasmo almeno fino alle inspiegabili “leggi razziali” del 1938, alla annessione dell’Austria alla Germania nazional-socialista dello stesso anno e alla guerra, 1940; ciò non solo per aver bloccato il bolscevismo e ripristinato l’ordine pubblico dopo i torbidi del dopoguerra, ma anche per aver fatto la pace con la Chiesa, nel 1929, che pose fine alla “Questione Romana” e alla persecuzione pubblica contro il cattolicesimo.
I “conservatori” saranno protagonisti, poi, della storica vittoria cattolica del 18 aprile 1948 che qualcuno volle definire vera e propria “Liberazione”. Si scontrarono, allora, due mondi contrapposti e irriducibili: il cattolico e il comunista. Stravinse quello cattolico propiziato dal grande Papa Pio XII e organizzato dai “Comitati civici” e dell’Azione Cattolica di Luigi Gedda; e fu grazia per la nostra Patria e salvezza anche per gli stessi comunisti che avevano votato il “Blocco del popolo” ché altrimenti, nonostante la presenza americana, avremmo fatto – volontari! – la fine dell’Europa Orientale che si libererà dall’ipoteca sovietica solo nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino, costruito nel 1961 per impedire la fuga dei Tedeschi dell’Est, mentre da noi si era in pieno boom economico!
Dell’evento del 1948, io ho un ricordo lontano ma preciso: mia mamma cantava con voce lirica l’inno-embatèrio di marcia “Udimmo una voce, corremmo all’appello, avanti la Croce del re d’Israello! […] O bianco fiore simbolo d’amore…” Però il mondo cattolico, consegnatosi anima e corpo alla Democrazia Cristiana, non troverà mai più in futuro la compattezza e la indipendenza del 1948 anche perché i capi democristiani, a piccoli passi – tre avanti e due indietro! –, si spingeranno sempre più a sinistra fino al tentativo di “compromesso storico” coi comunisti negli anni 1980; in seguito, dopo aver ripreso il nome originario di PPI – 1994 – si diluiranno nel partito dei postcomunisti: il vecchio Gramsci ne aveva previsto il “suicidio”! (v. ANTONIO GRAMSCI, “I popolari” in “L’Ordine Nuovo”, anno I, n. 24, 1-11-1919).
Ma i conservatori non erano scomparsi e saranno presenti in occasione della discesa in campo, nel 1994, del Cavaliere di Arcore. In quella evenienza, come tutti ricordiamo, i neo-comunisti si presentavano candidi e smemorati per sedersi, finalmente, sulle poltrone del governo come se non avessero collaborato da sempre col regime sovietico, nemico dell’Occidente libero; a tal proposito ho nella memoria la repressione della rivolta in Ungheria operata dai carri armati russi, novembre del 1956, quando nessuna condanna si levò da parte dei compagni italiani e, anzi, al Congresso del PCI un giovine, Giorgio Napolitano, disse che il torto era degli insorti e i carri sovietici avevano salvaguardato la pace! Ragazzo, al ginnasio, ricordo ancora le invocazioni di radio Budapest…! Nel 1994 “la gioiosa macchina da guerra” di Occhetto fu bloccata dalla “insorgenza conservatrice” del Popolo Italiano che diede ampia fiducia al Cavaliere.
Con la presente carrellata storica, sicuramente incompleta e raffazzonata con mezzi artigianali di letture e riflessioni personali in controcorrente, tento di dire ai benevoli lettori dei miei “foglietti” che nella nostra Storia sono esistiti i “conservatori” e, quindi, nell’attuale momento di transizione e confusione, sull’esempio dei Padri che hanno costruito la nostra civiltà, mi sento uno di loro, cioè un “conservatore” almeno di quei coaguli di bene che qua e là ancora resistono nella società italiana: la Vita per fortuna tenuta in conto da molti nonostante la stolta propaganda abortista, nichilista e suicida di giornali e televisioni; la Famiglia, quella vera, formata da uomo-padre, donna-madre e aperta alla vita; la proprietà privata segno e simbolo di libertà; la libertà di educazione dei figli, prerogativa irrinunciabile e responsabilità primaria dei Genitori e non dello Stato…; e tante altre cose che, per li rami, discendono da questi concetti basilari e che rendono la società italiana sicuramente più vivibile rispetto ad altre del Nord Europa, “civilissimo”, dove scopriamo, ad esempio, che la “violenza da partner” e i suicidi sono molto più diffusi che in Italia.
Tutto ciò anche per dire che amerei vedere proclamati pubblicamente da qualche Partito politico il “buono” e il “bello” che hanno costruito nei secoli – a partire magari dal Medioevo, odiato dalla ignoranza di tanti “laureati” – le generazioni passate, e che magari tutto questo si chiamasse col nome preciso di PARTITO CONSERVATORE. Sono consapevole che per farlo occorrerà del coraggio anche perché da Sinistra partiranno subito all’attacco e, maestri e padroni nella invenzione delle parole e nell’uso del linguaggio, tradurranno il vocabolo “conservatore” con un altro negativo, come “sovranista” o “populista” o “nativista” o, peggio, “fascista” o qualcosa di simile.
Già se ne vedono i pròdromi: sere fa, infatti, Augias, tuttologo e ineffabile catechizzatore televisivo, su “La 7”, intervistava un tale, “storico”, autore del libro “Sovranismo/Fascismo”, insomma, un “fascismo infinito” (con questo titolo si legga il saggio di FRANCESCO BORGONOVO, prefazione di PIERANGELO BUTTAFUOCO, Lindau, 2022; e si aggiungano magari i miei due scrittarelli: “Il male assoluto”, 28 Ottobre 2022, e l’ironico “Quanto prima ci imporranno il giuramento antifascista?” del 2023).
Sono convinto che qualcuno potrà dare del “fascista” anche ad un “conservatore” cattolico come sono io! Si rimane, infatti, sbalorditi nel vedere come, a distanza di 79 anni – la vita di un uomo! – dalla fine della guerra, della guerra civile e dalla sepoltura del fascismo, la Sinistra, forse a corto di argomenti, si accanisca contro il saluto romano di gruppi di ragazzotti accusati di volere rifondare, ohibò, il Partito di Mussolini perché per protesta fanno – consapevoli o no – solo della innocua ginnastica levando il braccio. Poveri noi!
Carmelo Bonvegna
PS Per chi volesse approfondire l’argomento, suggerisco, fresco di stampa, il libro di MARCO INVERNIZZI e OSCAR SANGUINETTI, “Conservatori. Storia e attualità di un pensiero politico”. Edizioni Ares, 20
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