Di Alessandro Mella
La folla attende fiduciosa lo spettacolo magnifico. Tutti fremono, occhi verso l’alto, poi qualcosa spezza l’atmosfera, boati di stupore ed angoscia, è un istante, tutto finisce in quel giorno mesto del 1951.
Ma andiamo con ordine e torniamo indietro, a quando, nella Seconda guerra mondiale, un sottufficiale abruzzese, Luigi Vespa nato il 15 novembre 1910, si trovava tra le sabbie infuocate di El Alamein, con i paracadutisti della Folgore, dove meritò una medaglia d’argento al valore militare. Vespa era un valoroso sottufficiale, stimato e rispettato, e nei combattimenti a Takruna si era fatto grandemente onore. Con una brillante azione era riuscito a salvare il reparto del capitano Lombardini dall’accerchiamento nemico, solo in trenta erano tornati da quello scontro.
Ma quel nemico ne ebbe, ad un tratto, ragione ed il leone folgorino finì prigioniero nel campo 131 di Sainte Barbe du Lac, nei pressi di Orano, ove seppe farsi stimare e rispettare perfino dai suoi carcerieri. Al momento dell’armistizio dell’8 settembre 1943, fedele al giuramento al Re ed alla patria, decise di collaborare con gli americani. Poco tempo dopo fu rimpatriato e nell’ambito delle truppe italiane del Regno del Sud partecipò alla guerra di liberazione nazionale contro l’occupante tedesco.
Terminata la guerra egli tornò alla vita civile, a Torino vivendo in zona Lingotto, esercitando la professione di motorista per mantenere la famiglia con la moglie ed una nipote particolarmente amata. (1) Ma il molto lavoro non gli impedì di coltivare ancora l’amore per il paracadutismo a livello sportivo. I cieli erano il suo regno felice, quello dove quel corpo robusto ma armonico, vigoroso e possente, poteva farsi leggero.
Venne, nel 1951, la grande manifestazione aerea organizzata a Vercelli in occasione del “Settembre vercellese”. Per tutta la giornata velivoli di vari tipi avevano fatto mostra delle loro capacità aviatorie stupendo il pubblico. Finché, alle 17.30, venne l’ora dei paracadutisti. Si lanciò per primo Mossotto poi venne il turno di Luigi Vespa. Giunto in volo a 250 metri egli si affacciò alla botola come aveva fatto tante volte, si gettò nell’immensità azzurra, ma prese a cadere rapidamente mentre il paracadute sembrava non funzionare. I presenti, da terra, ebbero l’impressione che lo sfortunato eroe di El Alamein si dibattesse come a volersi liberare di qualcosa e successivamente si constatò che una funicella del paracadute pilota si era effettivamente attorcigliata attorno ad un braccio. (2)
Non vi fu speranza di salvezza, dopo l’inevitabile esito, la povera salma del Vespa fu condotta all’ospedale maggiore per gli accertamenti possibili.
Dopo mezz’ora di pausa lo spettacolo riprese e due suoi illustri colleghi vollero, in omaggio al caduto valoroso, lanciarsi comunque come per salutarlo.
Un gesto cavalleresco di raro valore:
Non so se leggendo sui giornali che il paracadutista Luigi Vespa, in una manifestazione aviatoria, precipitando si uccise sul campo di Vercelli, molti si siano soffermati pensosi al significato di quella sua morte. Generoso sottufficiale di un leggendario Corpo, eroico combattente in Africa settentrionale, ferito e decorato, si era imposto in prigionia al rispetto dell’allora nemico americano; era poi passato per una leale cobelligeranza attiva, e, venuta la pace, era tornato a vivere in modestia, facendo il motorista. Ma era connaturato a lui l’antico ideale, che lo sospingeva a lanciarsi nell’aere a testimoniare ogni volta quella luminosità del coraggio, che ammaestra nella vita a nobili doti. Uscì dalla botola dell’apparecchio, certo, come sempre, delle ragioni di quel suo vivere, e poco dopo era materia inerte a terra; ma uno spirito si librava per restare vivo oltre la morte. Per quelli accorsi al campo per lo spettacolo da brivido, tutto sarà apparso ormai su di lui conchiuso, ma per gli altri, che lo possono comprendere, era come una stella caduta e rimasta, sulla terra a diffondere una luce. Tale luce destava subito la sensibilità di un richiamo: prima il record man Salvatore Cannarozzo, poi la esile campionessa Monique Laroche si lanciavano saettando l’aere ed aprendo il paracadute solo a breve distanza da terra, per rendere, con tale gesto immediatamente onore al compagno dipartito. E tutto si conchiudeva in una espressione di ideale, sfuggito forse ai più, ma significante che non può ristarsi e «non si volta chi a stella è fisso». (3)
Fu difficile determinare la causa della tragedia, di quell’evento infelice che spezzò la vita di un eroe e di un grande uomo dei cieli:
L’inchiesta sul luttuoso avvenimento non è riuscita finora a spiegarne le cause. Vespa si lanciò da un apparecchio da turismo, un «Fairchild» a quattro posti, con un paracadute tipo Salvator D. 39 a doppia apertura automatica, con fune di vincolo, e a comando, con l’apposita maniglia. Il secondo sistema si usa per determinare l’apertura ritardata del paracadute, specialmente in caso di salvataggio; Luigi Vespa, invece, si servi del primo sistema, agganciando il moschettone della fune vincolo e poi gettandosi nel vuoto. Purtroppo, per cause inesplicabili, la seta usci dall’involucro ma non «prese aria», non si rigonfiò a forma di cupola, e il poveretto precipitò con il paracadute «a fiamma». (4)
Solenni celebrazioni funebri si tennero onorarlo, nei giorni successivi, per accompagnare quel soldato di grande coraggio, quell’uomo diviso tra reducismo e sport, quel bravo padre di famiglia:
Il paracadutista Vespa sepolto a Mezzenile. La cittadinanza di Vercelli ha tributato ieri solenni onoranze funebri alla salma del paracadutista Luigi Vespa, tragicamente deceduto durante la manifestazione di propaganda aerea di sabato scorso. Oltre diecimila persone hanno fatto ala al passaggio del corteo. Dopo la benedizione della salma, alla quale sono state rese le onoranze militari, il feretro scortato dai familiari e dagli amici ha proseguito per Mezzenile, dove avverrà la tumulazione. (5)
Imponenti funerali per il paracadutista Vespa. Martedì mattina, alle ore 10 hanno avuto luogo i funerali del paracadutista Luigi Vespa tragicamente perito sabato sera sul campo d’aviazione Leonida Robbiano. I vercellesi hanno voluto dare al povero Vespa i segni della loro ammirazione e dell’onore che si meritava. Il corteo funebre, partito dalla camera ardente, percorreva via Dante fino alla Chiesa dell’Ospedale dove aveva luogo l’ufficio funebre, poi proseguiva per via Galileo Ferraris, per corso Libertà. Precedeva il corteo un picchetto armato, seguivano numerose corone di fiori, tra le quali abbiamo notato quella della Città di Vercelli e degli enti organizzatori della dimostrazione paracadutistica.
Venivano le compagnie religiose ed il Clero. Subito dopo il feretro seguivano la consorte, la figlioccia ed il gruppo delle autorità, tra le quali Sua Ecc. il Prefetto, il Questore, il Sindaco, il Comandante del Distretto, i colleghi paracadutisti che sabato si esibirono nella manifestazione. Il feretro è stato portato a spalla da altri paracadutisti. Un aereo, volteggiando a bassa quota, ha lanciato, in segno di omaggio, mazzi di fiori. La salma ha proseguito per Mezzenile dove è stata tumulata nel sepolcreto di famiglia. (6)
Di lui restò il ricordo, ai suoi amici e colleghi, di un uomo buono e generoso, ma determinato e leonino. Una figura indimenticabile:
Ieri molti amici ci hanno parlato ancora una volta del coraggio e della bontà di Luigi Vespa e delle sue ardimentose imprese. Tra l’altro, oltre la medaglia d’argento sul campo ad El Alamein, egli si meritò, per l’episodio di Takruna, dove un pugno di paracadutisti della «Folgore» affrontò una divisione neozelandese, la proposta di nomina ad aiutante di battaglia. A quanto sembra tale proposta non ha finora avuto seguito e sarebbe bene che, al meno ora, qualcuno se ne ricordasse per rendere in tal modo un estremo omaggio ad un valoroso. (7)
Oggi Luigi Vespa, eroe di guerra e sfortunato pioniere dello sport paracadutistico, riposa in un piccolo cimitero di montagna. Da dove il cielo, quello che amava tanto, pare più vicino quasi lo si potesse toccare. Pochi, forse, ne ricordano le vicende e gli eroismi. Ed oggi rinnovarne la memoria pare un dovere morale.
Alessandro Mella
NOTE
1) Nuova Gazzetta del Popolo, 219, Anno CIV, 16 settembre 1951, p. 4.
2) Corriere della Sera, 219, Anno LXVI, 16 settembre 1951, p. 4.
3) Il Monferrato, 38, SA, 16 ottobre 1951, p. 16.
4) Gazzetta Sera, 220, Anno VI, 17-18 settembre 1951, p. 2.
5) Gazzetta del Popolo, 221, Anno CIV, 19 settembre 1951, p. 4.
6) Corriere Eusebiano, 72, Anno XXII, 20 settembre 1951, p. 2.
7) Gazzetta Sera, 220, Anno VI, 17-18 settembre 1951, p. 2.
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