Di Aldo A. Mola
Garibaldi: contro “neri” e “rossi” libertà e fratellanza.
Il 14 novembre 1871 a Giorgio Pallavicino Trivulzio, principe, massone, patriota, a lungo imprigionato quale cospiratore, che gli domandava che cosa pensasse dell’Internazionale “rossa” Giuseppe Garibaldi rispose che avrebbe mandato “in gallera” i suoi “archimandriti” se si fossero ostinati a predicare: “Guerra al capitale, la proprietà è un furto, l’eredità un altro furto via dicendo”. Precisò: “Io appartenevo all’Internazionale quando serviva le Repubbliche del Rio Grande (in Brasile) e di Montevideo, cioè molto prima di essersi costituita in Europa tale società”. Era la Massoneria universale, di cui Garibaldi faceva regolarmente parte dal 1844, quando era stato iniziato nella loggia “Les Amis de la Patrie” di Montevideo. Al Congresso della Pace indetto a Ginevra, il 9 settembre 1867 Garibaldi aveva esposto il suo programma: “Tutte le nazioni sono sorelle. La guerra tra loro è impossibile. Tutte le querele che sorgeranno tra le nazioni dovranno essere giudicate da un Congresso. I membri del Congresso saranno nominati dalle società democratiche dei popoli. La democrazia sola può rimediare al flagello della guerra”. Nel 1871 propose di istituire nella sua nativa Nizza un Areopago internazionale per la soluzione obbligatoria pattizia delle controversie tra gli Stati.
Per Garibaldi il cardine della democrazia era la “Massoneria umanitaria”, cui toccava promuovere “la fratellanza dei popoli, non le autonomie, che sono un regresso, massime nelle aspirazioni italiane”. L’Internazionale Azzurra, da Garibaldi contrapposta alla nera e alla rossa, all’epoca aveva una rete di logge persino più estesa dell’odierna. Era presente non solo in Europa ma anche sulla costa meridionale del Mediterraneo, un mare che univa, tanto più dopo il taglio dell’Istmo di Suez, “scorciatoia” tra la Gran Bretagna, l’India e la Cina.
La Vera Luce dal di là del Mare
Alla sua laboriosa rinascita, tra l’ottobre 1859, quando a Torino fu costituita la loggia “Ausonia”, e la proclamazione del regno d’Italia (14 marzo 1861) la Massoneria contò “officine” sia nel suo territorio, sia oltremare. Quella rete merita una breve panoramica, con dettagli poco noti qui di seguito proposti all’attenzione del lettore paziente. Per comprenderne l’importanza bisogna partire da lontano.
La Massoneria Italiana tenne la prima assemblea costituente a Torino dal 26 dicembre 1861 al 1° gennaio 1862. Aperta dal grande oratore e reggente interinale Felice Govean, si svolse in sette “tenute”. Elesse Costantino Nigra gran maestro e sedici componenti del Gran consiglio dell’Ordine. Su proposta di Gaetano Cosentini della “Garibaldi” di Livorno, Garibaldi fu proclamato “primo massone d’Italia” con diritto agli onori di gran maestro ovunque si presentasse. Quattro delle ventidue logge presenti a Torino tramite delegati erano d’oltremare: la “Figli scelti di Cartagine e Utica” (Tunisi), la “Eliopolis” del Cairo, la “Iside” e la “Pompeia” di Alessandria d’Egitto.
Nella prolusione Govean ricordò che sino a tre anni prima “la Massoneria in Italia non esisteva”. Messasi in cerca di altre logge, la “Ausonia” prese contatto con la “Trionfo Ligure” di Genova, all’obbedienza del Grande Oriente di Francia. Iniziò il lungo cammino che condusse all’Assemblea del dicembre 1861. Questa respinse la rivendicazione di priorità cronologica avanzata dal Grande Oriente di Palermo, si proclamò “sola sovrana” in forza della “ricostituzione dell’Italia in Nazione” e prese atto dello scambio di lettere tra Govean e Costantino Nigra, acclamato gran maestro, ma riluttante. Se avesse insistito nel rifiuto della carica, le logge ne sarebbero state informate per eleggere il successore. Il discorso di David Levi su “genesi e principii della Massoneria”, denso di richiami alla fratellanza mediterranea, venne applaudito, ma non fu adottato quale “manifesto” della comunità. Approvata la Costituzione dell’Ordine, Govean indisse la successiva tornata ordinaria, da tenersi il 24 giugno 1863 in Roma, “se questa sarà già libera”, oppure a Firenze. Incaricato d’affari del regno d’Italia a Parigi, in primo tempo Nigra, “allievo” di Camillo Cavour, aveva accettato la nomina ma, preso atto di astensioni e del voto contrario della “Azione e Fede” di Pisa, il 22 novembre 1861 rinunciò alla carica e lo ribadì l’11 dicembre. Alla nascita la Massoneria italiana si trovò dunque senza gran maestro effettivo.
Le logge d’oltremare rappresentate alla costituente di Torino furono dunque quasi un quinto del totale: un numero significativo anche perché la nuova comunità non contava logge nel Triveneto, in Emilia e nell’Italia meridionale. Ne aveva una sola a Cagliari e una a Messina.
Alla seconda assemblea del Grande Oriente d’Italia, il 1° marzo 1862, aperta da Carlo Elena, rappresentante anche della “Amicizia” di Livorno, presenziarono 29 delegati, 18 dei quali a nome di altrettante officine (come le logge sono anche dette), e 11 membri del Grande Oriente. Livio Zambeccari, antico patriota e primo gran maestro provvisorio, rappresentò la “Pompeia” di Alessandria d’Egitto, unica loggia d’oltremare partecipe, sia pure “da remoto”. Nell’elezione del gran maestro, il siciliano Filippo Cordova, già ministro nel governo presieduto da Cavour, prevalse per due voti su Garibaldi (15 contro 13).
Alla terza costituente, celebrata in Firenze dal 1° al 6 agosto 1863 parteciparono 43 logge, cinque delle quali d’oltremare: “Alleanza dei Popoli” del Cairo (rappresentata da Cesare Lunel), “Pompeia” di Alessandria d’Egitto (Benedetto Corcos), “Cartagine e Utica” (Angelo Nissim), “Attilio Regolo” di Tunisi (Giuseppe Morpurgo) e “Italia” di Costantinopoli (Enrico Occhini): tutte solo per delega e in debito nei confronti del Grande Oriente, a conferma della difficoltà delle loro relazioni epistolari e “amministrative” con la madrepatria. L’assemblea chiuse i lavori accettando le dimissioni del gran maestro Cordova e del suo aggiunto Govean ed elesse una commissione di cinque membri (Neri Fortini, Ettore Papini, Giuseppe Dolfi, G. G. Alvisi e Cesare Lunel) incaricata di propiziare l’unificazione della famiglia massonica italiana divisa in riti (lo Scozzese antico e accettato e il Simbolico) e in “corpi” separati.
All’epoca, oltre al Grande Oriente, in Italia si contavano almeno altre tre comunità massoniche: il Supremo gran consiglio scozzese – Grande Oriente sedente in Palermo, che aveva per gran maestro l’ubiquo Giuseppe Garibaldi; il Grande Oriente napoletano, all’obbedienza della gran madre loggia “La Sebezia” di Napoli, presieduta da Domenico Angherà (Potenzoni Briatico, Catanzaro, 1803-Napoli, 1873), forte di 23 logge, 13 delle quali in Napoli; e il Gran Concistoro o Supremo consiglio centrale di Sicilia, presieduto da Romualdo Trigona principe di Sant’Elia (Palermo,1809-1877), senatore del regno.
Solitamente ricordato come arciprete, iniziato nella loggia “I Rigeneratori” (Palermo), inseguito da una condanna a morte quale cospiratore ed esule a Malta, lasciato l’abito talare il 10 agosto 1861 Angherà fondò a Napoli la “Sebezia” le cui vicende narrò egli stesso nella Memoria storico-critica sulla società dei fratelli liberi muratori del Grande Oriente Napolitano (1864). La sua comunità rimase attiva e operò a vasto raggio sino alla sua morte. Il 26 marzo 1873 Angherà firmò il brevetto quadrilingue di Cavaliere Kadosch (grado 30°) di Taufisch Pascha, principe ereditario d’Egitto. Nel talvolta polemico Libro del massone italiano (1911) Ulisse Bacci ne scrisse con molto rispetto. Anche il siciliano principe di Sant’Elia intessé rapporti costruttivi massonici con l’oltremare.
La quarta assemblea del Grande Oriente d’Italia (Firenze, 21-23 maggio 1864) con 45 suffragi su 50 votanti elesse gran maestro Garibaldi, assente ai lavori, e gran maestro provvisorio Francesco De Luca. Tramite delegati, vi parteciparono la “Pompeia” di Alessandria d’Egitto, rappresentata da Orazio Antinori, celebre esploratore e co-fondatore della Società geografica italiana, il Capitolo del Cairo (Raffaello Ascoli), la “Caio Gracco” di Alessandria d’Egitto (Giovanni Martinati), e la “Cartagine e Utica” di Tunisi (Giuseppe Morpurgo). Tra i partecipanti all’assemblea spiccarono Michail Bakunin, elevato da Garibaldi al grado 30° del Rito scozzese, in rappresentanza del Conclave di Firenze, Vittorio Imbriani (“La Libbia d’Oro” di Napoli), il futuro presidente del Consiglio Alessandro Fortis (“Livio Salinatore” di Forlì) e un misterioso n. 1 per la “Fabio Massimo” di Roma, necessariamente “coperta” per sfuggire alla repressione del governo pontificio.
La vasta rete di logge italofone all’estero: del GOI…
Le successive traversie della famiglia massonica italiana, faticosamente avviata all’unificazione, confermano la costante presenza, almeno nominativa e per delega, di un numero crescente di logge sorte oltremare. Il loro numero crebbe dopo l’apertura del Canale di Suez, il consolidamento della presenza italiana nel Mar Rosso e l’istituzione della sua prima colonia, l’Eritrea, affidata al Governatore civile Ferdinando Martini, massone (ne ha scritto la biografia il rimpianto Guglielmo Adilardi).
Nel 1891, raggiunta la sovranità su quasi tutte le logge italofone grazie all’energica guida di Adriano Lemmi, il GOI contava una loggia a Massaua (“Cocab-el-Schiarg” di rito scozzese antico e accettato, dopo la demolizione della “Eritrea”), una a Costantinopoli (“Italia Risorta”), una ad Aleppo (“Helbon”; altre cinque, già attive ad Adana, Damasco, Alessandretta, Antiochia e Homs, erano state demolite), due in Egitto (“Il Nilo” a Il Cairo e la “Nuova Pompeia” ad Alessandria d’Egitto; due erano state demolite a Il Cairo). Inoltre ne aveva sette in Romania e una a Belgrado.
Trent’anni dopo, all’indomani della dichiarazione d’incompatibilità tra logge e iscrizione al partito nazionale fascista (1923: il cui centenario è passato quasi del tutto sotto silenzio in un Paese che pare in preda all’orticaria quando si parla di massoneria), il Grande Oriente d’Italia contava su una robusta presenza al di fuori della madrepatria. Nelle colonie era presente ad Asmara con un triangolo, in Cirenaica (“Dante Alighieri” a Derna e “Cirene” a Bengasi), in Tripolitania (“Italia” a Tripoli e “Lebda” a Homs) e in Somalia (“Vittorio Bòttego” a Mogadiscio). All’obbedienza aveva logge anche nell’Europa orientale (Bulgaria, Macedonia, Romania, Serbia, Turchia, sia a Costantinopoli sia nell’Asia Minore, ad Ankara e Smirne), in Siria e in Cina (“Italia” a Shanghai). Cospicua era inoltre la sua presenza nelle Americhe (Stati Uniti, Argentina, Brasile Ecuador, Perù). Infine contava logge in Egitto (sei ad Alessandria, tre al Il Cairo, una a Suez, due in Marocco e quattro in Tunisia).
La rete del GOI fiancheggiava quella del corpo diplomatico, delle Camere di commercio, delle imprese e della cultura italiana in tutte le sue istituzioni ed espressioni. Ne è campione l’architetto Ernesto Verrucci Bey (1874-1945) al quale il suo nativo Comune di Force (Ascoli Piceno) dedica un convegno di studi (25 agosto 2024).
… e della Gran Loggia.
Nel 1910 i componenti del Supremo consiglio di rito scozzese antico e accettato che nel 1908 si erano separati dai confratelli rimasti in seno al Grande Oriente d’Italia istituirono la Serenissima Gran Loggia d’Italia per la Giurisdizione d’Italia e sue Colonie. Il suo sovrano gran commendatore e gran maestro, Saverio Fera, prima che alla promozione di logge oltre mare mirò a consolidare la rete di officine nel regno e a ottenere il riconoscimento da parte dei Supremi consigli esistenti. Nel repertorio dei corpi alle sue dipendenze il 30 settembre 1910 figurano quattro madri logge capitolari in Sicilia, 65 logge, 11 areopaghi, 24 sovrani capitoli e 39 triangoli. In esso compaiono una sola loggia e un capitolo Rosa+Croce in Africa: la “Nilo” al Cairo, con venerabile G. Massiah. Però il Supremo Consiglio “ferano”, contrapposto a quello di Ettore Ferrari, incorporato nel Grande Oriente d’Italia, poteva già vantare il riconoscimento dei Supremi consigli delle Giurisdizioni nord e sud degli USA e di quelli di Canada, Messico, Cile, Argentina, Colombia, Repubblica Dominicana, Paraguay e Guatemala. In Europa esso era riconosciuto dai Supremi consigli di Portogallo, Spagna, Olanda, Grecia e Turchia e da quello del Belgio nella persona dell’autorevole A. de Paepe. Mentre molti Supremi Consigli stavano designando i garanti di amicizia, Fera poteva già dichiarare quelli delle due Giurisdizioni statunitensi (George Fleming Moore per Washington e Samuel C. Lawrence per New York). Negli anni seguenti la Serenissima installò numerose logge oltre mare. Ne contò a Mansura (“La Vittoriosa”), Tunisi (“La Verità”, “Fides” e “Giustizia”), Alessandria d’Egitto (“Italianissima”, “La Serenissima” e “Gerusalemme Liberata”), il Cairo (“Ars et Lux”, “Memphis”, “Sesostri” e “Humanitas”), Bengasi (“Paolo Sarpi”), Derna (“Cesare Battisti”), Tripoli (“Roma”), Massaua (“Maggiore Toselli”), Asmara (“Hamasien”) e Rom Ombo sul Nilo (“Libertà”, venerabile Emanuele Coglitore, che del secondo dopoguerra fu tra i promotori della rinascita massonica in Italia). Una loggia a Tripoli ebbe per nome distintivo Raoul Palermi, successore di Fera alla guida della Gran Loggia. Non fu l’unica a prendere per insegna un vivente (la loggia di Pergine fu intitolata “Benito Mussolini”) o a un evento politico, come il “XXX ottobre” per una loggia di Fiume e il XXVIII ottobre (1922) per quella di Este.
Tensioni e rivendicazioni in cerca della Massoneria “umanistica”.
Le tensioni tra i vertici delle due comunità liberomuratorie si ripercossero sui rapporti tra le logge sia nei confini nazionali sia nelle colonie italiane e all’estero. Talvolta esse si aggiunsero a quelle con logge straniere, specie francesi.
Sulle logge italiane oltre mare le fonti sono esigue rispetto al loro numero e alla loro lunga durata. La “Rivista massonica”, organo ufficioso del Grande Oriente d’Italia diretto da Ulisse Bacci, suo direttore e proprietario, pubblicò saltuariamente informazioni su speciali cerimonie o in occasione di visite di alti dignitari del GOI nelle logge d’Oltremare o di ricevimento in patria di fratelli attivi in terre lontane. Nei rapporti, talvolta anche bellici, con le “civiltà” extraeuropee gli italiani si condussero prevalentemente per cognizione e con coscienza. Ne sono esempi il maggiore Pietro Toselli, che fece allestire una moschea per i militari eritrei musulmani ai suoi ordini, e il generale Giovanni d’Ameglio, massone, che impartì severe istruzioni di rispetto per la fede e i costumi delle popolazioni della “Libia”.
Tra le logge italiane d’oltre mare si verificarono spesso tensioni con quelle di altre Comunità massoniche in espansione negli stessi territori di loro insediamento, a cominciare da quelle all’obbedienza della Gran Loggia e del Grande Oriente di Francia. A volte interessi “profani” aggrovigliarono quelli liberomuratòri, quando strettamente subordinati alle mire preminenti dei rispettivi governi politici. S’aggiunsero anche difficoltà con le congregazioni missionarie cattoliche e con emissari di confessioni protestanti.
I “malintesi” tra italofoni e francofoni trovarono via via composizione con accordi fraterni. Più difficile fu il rapporto con la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, da molti considerata depositaria di legittimità e regolarità, e con Grandi Logge degli Stati Uniti d’America. Ne dette conto una Dichiarazione pubblicata nel 1920 nella “Rivista massonica”. Nessuno aveva mosso riserve alla costituzione di logge del GOI in Egitto, Tunisia, ex impero ottomano, Argentina, ma ne erano insorte per quelle installate in Brasile, e Perù, ove non erano accettate come “regolari”. Era il caso della “Silvano Lemmi” di Botucatù. “Roma” non esitò a scrivere: “Quali sono le cause che inducono alcune delle Grandi Logge degli Stati Uniti ad un atteggiamento così poco fraterno, potremmo dire altezzoso e scortese verso il GOI? La Massoneria anglo-sassone ritiene evidentemente che la Massoneria italiana anzi la Massoneria dei Paesi latini siasi allontanata dagli antichi ed austeri principi dell’Ordine, perché non si limita a lavori ritualistici e di beneficenza, ma si occupa anche di altre questioni che interessano la libertà politiche, la libertà del pensiero e della coscienza, la elevazione degli spiriti verso le più alte concezioni ed affermazioni della civiltà umana e della giustizia sociale”. Chi era in “stridente antitesi col concetto eminentemente massonico di una fratellanza internazionale”? “La giurisdizione di una Potenza massonica – dichiarò ufficialmente il GOI – non può essere determinata dai confini politici, ma dalla effettiva estensione della nazionalità, e pertanto non viola alcuna giurisdizione territoriale la Potenza Massonica che accoglie sotto le sue ali i Fratelli lontani dalla Patria, se non offendendo ogni più sacro principio di umanità e di giustizia”.
Il Mediterraneo, ma non esso solo, era dunque il “teatro” nel quale i landmarks liberomuratòri dovevano mostrare la loro effettiva “verità”: l’umanesimo. All’“estero” molti preferirono non vedere e non capire che nazionalità e fratellanza dei popoli erano compatibili e che se non fosse stato consentito alle logge di farsene custodi sarebbero sopraggiunti i nazionalisti, nemici della coesistenza pacifica.
Aldo A.Mola
L’Italia protesa nel Mediterraneo: la geografia detta la storia.
“L’Ospitalità come fondamento di un concetto mediterraneo di Democrazia” è il tema del convegno svolto ieri all’Hotel President di Marsala su iniziativa del Rito Simbolico Italiano, Corpo originario del Grande Oriente d’Italia. Di migrazioni e diritti, di quando non siamo stati per nulla ospitali, dell’indifferenza (e dei suoi correttivi) e del Mediterraneo come esperienza e simbolo di una “universale ospitalità” hanno parlato Raffaele K. Salinari, membro del Consiglio internazionale del Forum sociale mondiale, Marco Cuzzi, docente all’Università Statale di Milano, Antonio Cecere, docente all’Università di Roma “Tor Vergata”, l’avvocato Giovanni Cecconi, già Gran maestro del Rito simbolico italiano e il suo successore, architetto Marziano Pagella. In apertura Alessandro Cecchi Paone, moderatore del convegno, ha affrontato l’interrogativo ineludibile: il Mediterraneo è mare di pace o teatro di guerra? Di sicuro oggi è quanto meno inquieto e la democrazia, nata nell’antica Grecia, è sempre più insidiata. Motivo in più per rinsaldare l’antica Internazionale Azzurra.
Sulla rete di logge oltre mare ha scritto Emanuela Locci in “il cammino di Hiram. La Massoneria nell’Impero ottomano” (BastogiLibri) e in “La Massoneria nel Mediterraneo” (Id). La “Storia del Rito Simbolico Italiano, 1859-1925” è di Marco Novarino (ed. Pontecorboli).