GILLES DE MONTMORENCY-LAVAL, SIRE DI RAIS, ASSASSINO
CRUDELE DI CENTINAIA DI GIOVANI RAGAZZI, RICERCATORE DELLA PIETRA
FILOSOFALE, FOLLE E INQUIETANTE… BARBABLÙ
Di Gilles de Rais si è parlato molto, sino a farlo diventare un simbolo della malvagità di tutti i tempi. Ma chi era? Gilles de Montmorency-Laval, sire di Rais, era un condottiero, che aveva combattuto al fianco di Giovanna d’Arco, che lui stesso diceva di aver incontrato per la prima volta a Chinon, il 6 marzo del 1429. Forse questa donna, che Gilles descrive come fredda, immobile, giovane e con i capelli corti, proprio per queste caratteristiche di algida impavida e l’aspetto androgino, a lui, che amava i ragazzi, era entrata dentro e con gli anni le era diventato devoto, anche perché non aveva compreso appieno perché la giovane era diventata carne da macello, immolata sullo scranno della politica. Di Gilles si diceva che fosse spendaccione, vizioso, completamente folle e in preda a violente passioni.
Non era particolarmente scaltro in guerra, ma era imparentato con le maggiori famiglie della Francia occidentale ed era molto teatrale. Rimasto orfano troppo presto, a 20 anni entrò in possesso dei suoi averi e si narra addirittura che si vestisse d’oro, circondato da servi e da scenografie spettacolari.
Il nonno, Jean de Craon, che lo aveva cresciuto, era un sadico, e lo aveva iniziato alla violenza, instillando in lui quella pazzia che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Alla sua morte però il folle Gilles si lasciò andare alle bizzarrie estreme, sempre più chiuso in se stesso.
Nel 1440 Gilles fu giudicato a Nantes dal Tribunale Episcopale per essere un evocatore del demonio e per aver praticato la magia e l’eresia. Le accuse sostenevano che tra il 1432 e il 1440 l’uomo avesse ucciso o fatto uccidere centinaia di fanciulli, dopo averne abusato. Il 25 ottobre fu condannato a morte, con i suoi fedeli servi Henriet e Poitou.
E questi sono i fatti.
Ma, abbiamo elementi che i saggisti Marina Montesano e Franco Cardini, in una indagine a tutto campo,hanno portato alla luce nel libro “L’uomo dalla barba blu, Gilles de Rais e Giovanna d’Arco nel labirinto delle menzogne e delle verità”. Intanto, in una stramba similitudine con la storia dei cavalieri templari, pare che in più riprese il ricco Gilles avesse prestato soldi al Re, con un’indifferenza quasi offensiva. Inoltre già a fine del 1800, l’abate Eugène Brossard si era recato a Nantes per fare una biografia su quello che era conosciuto come Barbablù, scoprendo che la fiaba di Perrault (che per primo parla di Barbablù nel XVII secolo), e la storia di Gilles, in realtà si erano sovrapposte, nella credenza popolare. Inoltre, durante il processo, non sono mai state presentate le prove materiali del crimine.
La vicenda era quindi stata manipolata? Gilles de Rais era un assassino, un folle o tutti e due?
Negli ultimi anni il suo sperperare soldi, in preda a una isteria che forse oggi chiameremmo depressione, almeno prima della sua degenerazione in pura follia, aveva dato fastidio anche alla famiglia. I parenti temevano infatti di non riuscire a mettere le mani su nulla, poiché l’uomo era anche caduto preda di un furfante fiorentino, l’alchimista o presunto tale Francesco Prelati, che lo convince di essere in contatto con il diavolo Barron, che avrebbe dovuto aiutare per le finanze in declino. E sempre di più Gilles viene preso in questo vortice di evocazioni, di sacrifici (forse anche umani?) di continui investimenti in feste propiziatorie.
Nel 1437 le voci del popolo diventano insistenti, troppi ragazzi erano scomparsi, spesso dopo essere stati portati a palazzo. Si parlava di ossa ritrovate, di fumo che si alzava dai camini. Anche durante e dopo il processo molti testimoniarono di ragazzi scomparsi e che i servi di Gilles buttavano dei resti dalla torre e prima dell’arresto, questi resti vennero raccolti e portati in una sala, dove vennero bruciati. Ma, attenzione, se analizziamo tutti i fatti di questo evento ormai lontano nel tempo, possiamo leggere delle incongruenze, che sono legate anche al numero spropositato di fanciulli scomparsi, oppure al metodo di eliminazione dei cadaveri: gettati dalla torre e lasciati a seccare (in un clima temperato-umido non sarebbero seccati, sarebbero imputriditi, con relativi e riconoscibili miasmi).
In questo modo tra l’altro, tutti avrebbero potuto vedere e se è vero che i servi portarono questi resti nel camino più grande del castello, come è possibile che non siano lì rimasti, o che l’odore della carne bruciata non sia stato così forte da impregnare tutto, compresa l’aria?
Nella ricostruzione del romanzo storico su Gilles de Rais di Montesano e Cardini non mancano i colpi di scena e l’impianto accusatorio e di difesa è condotto magistralmente. Non sveliamo le deduzioni finali, che approfondiscono anche il ruolo dell’alchimista, oltre che l’inquadramento storico, climatico e la figura dello stesso Gilles de Rais, che, colpevole o no, non ha avuto alcuna possibilità di dimostrare una sua eventuale innocenza.
Foto di copertina: Marino Olivieri ph
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