Nella seconda parte del XIX secolo Torino passò attraverso un periodo difficile, in particolare a seguito dello spostamento della capitale a Firenze, nel 1864, decisione che dette luogo alla perdita di una parte della popolazione. In realtà fu proprio in quegli anni che si iniziarono a gettare le basi di una crescita industriale che sarebbe continuata per tutto il secolo successivo, prima con la già presente industria tessile, poi con le officine per i materiali ferroviari ed elettrici e poi ancora con la produzione di cioccolato e birra. Si preparava quello che sarebbe stato un periodo effervescente, dove l’arte e la cultura avrebbero fatto un balzo notevole in avanti, tra l’art-nouveau (o liberty, come veniva chiamato a Torino) e i café Chantant, la fotografia e il cinema, per arrivare a Sigmund Freud e prima ancora Jean-Martin Charcot. Un’onda di rinnovamento stava attraversando l’Europa, che purtroppo sarebbe presto caduta nel baratro della guerra e degli orrori che ne seguirono, compresa la perdita di innumerevoli giovani vite e il ritorno degli “scemi di guerra”, come venivano chiamati i ragazzi che avevano subito traumi profondi e che spesso non guarivano mai. Oggi lo definiremmo “disturbo post traumatico”.
Ma prima di questo, molto prima, una donna decisamente particolare, nata a Voghera nel 1851 e poi trasferitasi prima a Firenze e poi a Torino, riuscì a toccare i cuori di migliaia di italiani scrivendo libri. Stiamo parlando di Carolina Invernizio, autrice formatasi prima con il giornalismo legato agli eventi, a seguito della morte del padre, che la costrinse a lavorare per provvedere alla famiglia e poi con la pubblicazione di romanzi, i cosiddetti “polpettoni”. Era l’epoca dei Feulleton, gli inserti dei giornali e delle riviste, i romanzi di appendice a puntate, seguitissimi e attesi. Una sorta di fotoromanzo ma senza immagini, altro format caduto in disuso negli anni ’90 del XX secolo. Carolina aveva iniziato così, con la Gazzetta di Torino, anche se la leggenda racconta di lei che avesse scritto un racconto erotico per il quale era stata cacciata dalla scuola, ma pare che non sia vero. Complice il fatto che l’Invernizio, dopo aver sposato l’ufficiale Marcello Quinterno, e probabilmente anche prima, era estremamente discreta, a tal punto che quando Emilio Zanzi, giornalista, andò a trovarla per un’intervista presso la sua abitazione, con Guido Gozzano, la portinaia trasecolò, perché proprio non sapeva che Carolina fosse una scrittrice, riteneva che fosse solo la moglie dell’Ufficiale, poiché non l’aveva mai sentita parlare di libri.
Mano a mano che le vendite dei libri di Carolina crescevano, dopo che un editore, Salani, accettò di pubblicarla, nel 1877, con Rina o l’angelo delle Alpi, libro dove in realtà si vede ancora la giovinezza della penna della scrittrice, il pubblico di lettori chiedeva sempre di più e si appassionava alle storie incredibili, piene di eventi più o meno traumatici e spesso con protagoniste che rappresentano donne forti e motivate, in grado di cambiare le regole della società nella quale vivevano, dimostrando una ventata di novità rispetto alle eroine del passato e soprattutto una vena scandalosa che attraversava la scrittrice.
Certo il suo successo dava fastidio a molti, e la società dell’epoca non era pronta ad accettare una donna come autrice di successo, di conseguenza erano parecchi quelli che ne parlavano male, ad esempio Gramsci, che con una certa supponenza, dall’alto della sua soffitta fredda ed inospitale, dove faceva letteralmente la fame (è lui stesso a dirlo) la definì “onesta gallina della letteratura popolare”, ma piovvero anche “casalinga di Voghera” o “Carolina di servizio”, perché si riteneva che le donne fossero le lettrici tipiche dell’Invernizio, in particolare donne di servizio, portinaie o casalinghe. Era un problema per Carolina? Probabilmente no, era totalmente concentrata nelle trame dei suoi libri, e in un’intervista disse di non curarsi di loro, poiché le loro mogli e le loro figlie amavano i suoi libri, e tanto bastava.
Una casa editrice torinese, la Yume, ha scommesso sulla modernità dell’autrice, ripubblicando molte delle sue opere più intriganti, è forse ormai un dato di fatto quello che la Yume ha sostenuto da sempre: ovvero che la Invernizio è stata la precorritrice del genere giallo, che nel suo caso ha anche qualche venatura horror. Le trame dei suoi libri (più di cento pubblicati e tradotti in molte lingue) sono talmente attuali da ricordare il format delle serie televisive di successo di oggi, e il regista Quentin Tarantino, qualche anno fa, ha dichiarato di aver letto i suoi libri e che Kill Bill è stato ispirato a una storia dell’autrice. Questa modalità di costruzione delle storie ha fatto sì che ancora oggi siano in molti i lettori che ricercano i romanzi di Carolina, a volte perché ricordano di averli visti nelle librerie di famiglia, spesso per curiosità. Certo si deve fare i conti con un registro di scrittura un po’ datato, sono passati cento anni, non sarebbe possibile il contrario, ma i temi, gli intrighi, le sparizioni, i cambi di direzione, e la morale spesso contenuta nei corposi libri dell’Invernizio, ancora oggi hanno il potere d’incantare il lettore.
Prendiamo ad esempio uno dei romanzi più conosciuti, tra l’altro ambientato a Torino: I misteri delle soffitte, l’incipit è accattivante, una festa in maschera allo Scribe, una donna si nasconde sotto il domino, uscendo s’imbatte in un gruppo di ragazzi festaioli, che intravedendo la bellezza della ragazza, le chiedono di scegliere uno di loro. Lei lo fa e si fa accompagnare nell’abitazione del giovane, perplesso dalla fortuna capitatagli. All’arrivo però sono accolti da una brutta sorpresa, è avvenuto un omicidio. Da questo inizio si dipanerà una storia fatta di strani avvenimenti e incredibili coincidenze, dove niente è come appariva all’inizio. E che dire di “Sepolta viva”, altro romanzo di incredibile successo, dove una donna viene appunto interrata dopo essere stata avvelenata temporaneamente, per poi essere salvata da un medico che cerca cadaveri per praticare esperimenti medici. In questo libro avvengono capovolgimenti totali di sorte e ancora una volta l’eroina compie atti quasi immorali per le regole di allora, facendo vedere il lato dualistico di una personalità moderna, e conducendo i personaggi maschili, che sembrano annichiliti da cotanta forza d’animo.
Per chi ancora non conosce la scrittrice, questo è il momento di approfondire la sua opera mastodontica, soprattutto se si ama la letteratura d’intrattenimento e le atmosfere un po’ gotiche di fine Ottocento e inizio Novecento.