… dissertazione sulla “proprietà privata” (continuazione)…
Ci si chiedeva, nella parte conclusiva di una nostra precedente esposizione sulla proprietà privata1: «Se i beni non sono nostri, allora di chi sono?».
E davamo l’indicazione di come la risposta a questo fosse da ricercarsi indietro nei secoli.
Ora, è chiaro che non saremo in grado qui di fare una dettagliata disamina storica o giuridica sui fatti che hanno condotto alla situazione descritta nel succitato articolo.
Proveremo tuttavia a fornire alcune indicazioni di massima che, per ragioni di praticità, faremo partire da un’epoca a noi ancora relativamente vicina. Ognuno poi potrà verificare ed eventualmente approfondire a suo personale piacimento, andando anche ulteriormente a ritroso, se lo riterrà opportuno.
La storia riferisce come l’ascesa al potere dell’imperatore romano Costantino I abbia costituito una svolta epocale nella gestione del potere sul mondo allora conosciuto, iniziando un processo di ridistribuzione delle egemonie.
Con l’editto di Milano del 313 d.C., firmato appunto da Costantino I (imperatore romano d’occidente) e da Licinio (imperatore romano d’oriente), si dichiarava la libertà religiosa, sia dei cristiani, che delle altre religioni presenti nell’impero romano. Con la promulgazione dell’editto, non solo si dichiarava la libertà religiosa, ma si toglieva al paganesimo il valore di religione di stato, che tuttavia non veniva proibito. Oltre a riconoscere la libertà di culto, l’editto di Milano determinava l’obbligo di restituire tutti i luoghi, beni e possedimenti in precedenza requisiti o tolti ai cristiani durante il lungo periodo delle persecuzioni, da cui si svilupperà, ad esempio, il concetto d’inalienabilità dei beni della Chiesa, che nei secoli a venire renderà “intoccabili” i possedimenti ecclesiastici.
Questo editto è considerato il punto di partenza da cui viene fatta nascere, dottrinalmente, la storia del diritto canonico occidentale che, come noto, è al di sopra di tutte le leggi e origine, diretta o indiretta, di quasi ogni sistema giuridico terrestre.
Inizia da qui un lungo periodo di iniziative con le quali la nascente Chiesa Romana mirava ad affermare in maniera sempre più estesa la sua influenza sul mondo, combattendo in maniera ferma, sistematica, implacabile e, va detto, non rinunciando neppure ad una certa ferocia, ogni iniziativa volta a metterne in discussione la dottrina e il dominio.
La lotta senza quartiere ad ogni tipo di visione alternativa, definita “eresia”, fa parte di tale strategia. Ricordiamo qui che etimologicamente l’eretico è “colui che sceglie”, atteggiamento che è certamente il primo e più urgente da debellare per chi intende esercitare un certo controllo sugli altri. Una pratica, questa, che si può senza fatica riconoscere come del tutto attuale.
Il concilio di Nicea del 325 d.C. ebbe l’obiettivo di meglio strutturare le linee disciplinari per la gestione della nascitura dottrina cattolica, per fronteggiare con maggior efficacia le molte problematiche che andavano nascendo dalle diverse interpretazioni che i numerosi eruditi davano alle scritture.
Durante questo Concilio vennero promulgati i 20 canoni disciplinari, venne definitivamente condannata l’eresia di Ario2, si riaffermò una volta per tutte il dogma della trinità e si presero anche importanti decisioni relative all’organizzazione episcopale della Chiesa, affidando ai seggi episcopali di Roma, Alessandria e Antiochia la giurisdizione sugli ecclesiastici d’Occidente, d’Egitto e della diocesi orientale. Vennero così poste le basi politiche, dottrinali e giuridiche per il potere ecclesiastico dei secoli futuri, che conosciamo ancora oggi.
Da allora il cerchio cominciò progressivamente a stringersi, le principali eresie vennero combattute e ridotte al silenzio3 e si andò verso un’affermazione sempre più estesa del potere temporale della chiesa romana.
Nell’anno 380 d. C., con l’editto di Tessalonica, l’imperatore Teodosio I dichiara il cristianesimo religione ufficiale dell’impero. Da quel momento inizia la persecuzione dei pagani, che fino ad allora avevano avuto piena di libertà di professare le loro fedi, come sancito nel surriferito editto di Milano del 313 d.C., persecuzioni che, come sappiamo, prevedevano la confisca dei beni, l’allontanamento sociale (scomunica) e l’esilio o, in determinati casi, l’uccisione. Oramai si pone il problema della tolleranza che il potere statale è disposto a riservare a coloro che si dichiarano “non cristiani“, cosa che, come sappiamo, s’inasprirà ulteriormente nei secoli successivi.
Nell’anno 800 d.C. Il papa Leone III, nella basilica di San Pietro a Roma, incorona Carlo Magno come Imperatore del «Sacro Romano Impero», che traeva il nome «Romano Impero» dall’essere considerato una continuazione dell’Impero romano d’Occidente e perciò un potere universale, mentre l’aggettivo «sacro» sottolineava che la rinascita del potere imperiale era legata alla religione cristiana e doveva considerarsi voluta da Dio; per questo motivo il potere di incoronare l’imperatore era attribuito al papa.
Da questo momento in poi, divenne inevitabile considerare l’investitura temporale di qualsiasi sovrano occidentale subordinata gerarchicamente alla volontà papale. Non vi era ancora nulla di scritto che lo sancisse, ma poiché nessun monarca o dignitario dell’epoca vi si oppose, divenne una consuetudine riconosciuta e quindi una prassi abituale, che, come noto, va poi a costituire giurisprudenza.
L’influenza profonda della chiesa sulle istituzioni era a questo punto totalmente accettata, anche se non ancora ufficialmente sancita per via documentale.
Restavano tuttavia ancora alcuni problemi da risolvere, soprattutto sulle basi dottrinali tra quanto sancito dal summenzionato concilio di Nicea e poi dal successivo concilio di Calcedonia del 451 d. C. e quanto invece affermato dalla frangia più tradizionale del cristianesimo, più vicina all’insegnamento della prima ora.
Si arrivò così, nel 1054 d.C., al “grande scisma” tra la chiesa d’oriente e quella d’occidente. In sintesi, fu l’evento che, rompendo l’unità di quella che fu la Chiesa di Stato dell’impero romano basata sulla Pentarchia (le cinque sedi patriarcali di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme), divise la cristianità calcedonese fra la chiesa cattolica occidentale, che aveva sviluppato il concetto del primato (anche giurisdizionale) del vescovo di Roma (in quanto arbitrariamente considerato successore dell’Apostolo Pietro) e la chiesa ortodossa orientale, che invece riteneva di rappresentare la continuità della chiesa indivisa del primo millennio, senza cedimenti a quelle che reputava innovazioni dei Latini.
È interessante notare a questo proposito, come la chiesa romana abbia continuato a definire se stessa “cattolica”, che etimologicamente significa “universale”, di fatto non tenendo in alcuna considerazione le posizioni dottrinali diverse dalla propria, che venivano in pratica considerate erronee (nel 1184 d.C. nasce l’Inquisizione).
Lo stesso atteggiamento venne tenuto anche in occasione dello scisma protestante del XVI secolo, con le sue varie diramazioni.
Continuava così imperterrito nei secoli l’accentramento di potere temporale e l’accaparramento di terre e possedimenti da parte della chiesa di Roma, soprattutto attraverso la nomina di sovrani a lei accondiscendenti.
Un eclatante passo in questa direzione fu il trattato di Verona del 1213 d.C., con il quale il re inglese Giovanni (il Senzaterra) trasferisce “l’Inghilterra e l’Irlanda alla Santa Romana Chiesa con tutti i diritti e le pertinenze per la remissione dei nostri peccati” a Papa Innocenzo III. Da allora la Gran Bretagna, ultima proprietà “allodiale” (e non “privata”) di cui si abbia ricordo, appartiene al Vaticano.
Si continua nel 1215 d.C. (stesso anno della Magna Carta) col Concilio Lateranense IV, indetto da Innocenzo III, che segna in pratica l’inizio di una nuova epoca nella storia della Chiesa cattolica, all’insegna del centralismo amministrativo e giuridico incentrato sul vescovo di Roma, dell’uniformazione al modello romano e dell’inasprimento dell’intransigenza verso le diversità di culto e liturgia, di opinione, cultura e religione.
Si arriva così, tra un concilio e l’altro, al 1302 d.C., anno in cui il papa Bonifacio VIII pubblica l’enciclica “Unam Sanctam Ecclesiam”, che in pratica è un atto fiduciario esplicito.4
Papa Bonifacio VIII riteneva che tutta l’autorità derivasse da Dio e che il papa, in quanto vicario di Cristo, fosse la massima incarnazione della sua volontà sulla Terra. Questa bolla papale rendeva di fatto il Vaticano il custode delle anime per assicurarne la salvezza.
A questa bolla ne seguono altre due, sempre relativamente a questo aspetto, che, per così dire, ne formano i principi applicativi e testamentari ovvero la “Romanus Pontifex” di Nicolò V del 1454 d.C. e la “Aeternis Regis Clementia” di Sisto IV del 1481 d.C.5
Di queste tre encicliche è già stato riferito in due precedenti articoli.4,5
Volendole riassumere qui, potremmo dire che l’effetto di queste tre encicliche sarebbe stato quello di:
1- legittimare il fatto che Dio avrebbe dato l’intero pianeta in affidamento e amministrazione al pontefice, rendendo di fatto il Vaticano il custode delle anime per assicurarne la salvezza (Unam Sanctam Ecclesiam-Bonifacio VIII-1308 d.C.);
2- il papa concederebbe pezzi di questo mondo in amministrazione ai re cattolici esortandoli ad invadere e ridurre in schiavitù perenne i popoli contrari alla sua dottrina, privando gli esseri umani di tutti i diritti e i benefici sulla terra (Romanus Pontifex-Niccolò V-1454 d.C.); e infine
3- ai re solerti nel compiere l’opera di Dio secondo la particolare visione papale, vengono dati in premio gli esseri umani che abitano i territori conquistati ed amministrati, privandoci della proprietà della nostra carne e relegandoci alla servitù perpetua (Aeternis Regis Clementia-Sisto IV-1481 d.C.).
Queste affermazioni non sono mai state contestate da alcuno, anche perché da un lato chi poteva farlo (i potenti dell’epoca) traeva a sua volta grandi benefici da questo stato di cose e, dall’altro lato, chi ci si è azzardato ha dovuto subire grande avversione da parte del potere papale (diffamazioni, scomuniche, persecuzioni, esilio, confische di beni, ecc.) da essere velocemente ridotto a più miti consigli.
Per la regola del silenzio-assenso (qui tacet consentire videtur), voluta da Bonifacio VIII e pubblicata sul Liber Sextus all’interno dei suoi Decretali del 1298 d:C., non essendo appunto mai state contestate, le affermazioni contenute nelle predette encicliche divennero consuetudine e costituirono la base giuridica per la giurisprudenza che ci accompagna tutt’oggi.
Sarebbe troppo lungo entrare qui nei dettagli giuridici. Ci basti sapere che con tali iniziative venne determinata ufficialmente la relazione della figura umana al cospetto dell’autorità costituita, Chiesa o Stato che sia. In altre parole, si determina come l’essere umano diventi giuridicamente individuo senza qualità giuridica ovvero senza la capacità e la competenza di rappresentare se stesso e di gestirsi autonomamente sulla base delle sue caratteristiche e conoscenze, divenendo così soggetto ad amministrazione coatta.
In questa ottica l’individuo deve essere gestito in tutti gli aspetti della sua esistenza da un’autorità pre-costituita. Vengono così poste le fondamenta per lo stato di schiavitù e di totale dipendenza degli esseri umani da un ordine costituito, che persiste ancora oggi.
Di fatto si trasforma giuridicamente l’essere umano (cfr. Can, 96 del Diritto canonico6) in una persona-individuo, in una finzione giuridica7, in pratica lo si disumanizza e gli si costruisce progressivamente addosso una giurisprudenza a regola d’arte, il cosiddetto “diritto positivo”, che non tiene alcun conto delle prerogative di un essere vivente, ma è creato ed imposto da uno Stato sovrano mediante norme giuridiche volte a regolamentare il comportamento dei propri cittadini.
Come se ciò non fosse ancora sufficiente, ulteriori sviluppi furono adottati dal governo inglese (che ricordiamo essere proprietà del Vaticano a seguito del trattato di Verona del 1213 d.C.) per la prima volta durante il regno di Enrico VIII d’Inghilterra con la legge “Cestui Que Vie Act” del 1540 d.C. e aggiornata da Carlo II con la legge CQV del 1666 d.C., con cui ogni essere vivente fu dichiarato ”disperso in mare“ e ciò che era incustodito, di proprietà di chi l’avrebbe saputo condurre, quindi (per delega della chiesa), dello Stato o Regno.
La motivazione ufficiale fu quella di ovviare al fenomeno della cosiddetta “mano morta”8. Grazie al “Cestui Que Vie Act” si stabilisce che dopo sette anni di assenza il cavaliere è, di fronte alla sentenza di una giuria, presunto morto. Quindi la proprietà ritorna alla corona.
Questo è un atto basato su una speculazione astratta, per quanto riguarda l’intenzione della legge del 1666 d.C.. È il fondamento della “Maritime Admiralty Law” o Legge Marittima dell’Ammiragliato, che si sostiene generalmente essere la ragione giurisdizionale per l’applicabilità del diritto e che implicava (e implica tuttora, con i dovuti aggiornamenti) che la “proprietà statale” si applichi attraverso il processo di registrazione delle nascite (atto di nascita)9, a meno che non sia legittimamente confutata entro sette anni dalla registrazione. Dopo tale periodo (10 anni per la legge italiana sulla morte presunta),10 ogni essere nato diventa proprietà dello Stato, essendo dichiarato legalmente morto, o “disperso in mare”.
Con questo gesto si suggella ufficialmente il presupposto fittizio sul quale si basava la Bolla pontificia del 1302 d.C. di Bonifacio VIII4 ovvero che l’Una Sancta Ecclesia e quindi la prima e unica santa Chiesa, fosse l’arca di Noè, poiché, mentre tutto il mondo era sommerso dalle acque, l’unica cosa che se ne elevava al di sopra era l’arca. Da quell’evento tutti gli esseri umani che non erano presenti sull’arca, quindi praticamente tutti, furono considerati alla stregua di dispersi in mare. Il papa si attribuì allora l’autorità e la proprietà nei confronti di tutti gli esseri umani, sia spirituale che temporale, asserendo che Dio aveva affidato ogni creatura e territorio della terra alla Chiesa.11
In buona sostanza, noi tutti veniamo considerati alla stregua di discendenti di dispersi in mare di cui non si ebbe più notizia, quindi esseri la cui esistenza in vita non è comprovata, vale a dire esseri morti, a meno che non ci presentiamo a dichiarare il contrario, che come abbiamo visto, però, poteva succedere solo entro il settimo anno di vita (il decimo in Italia). Non avendolo fatto allora, la nostra condizione si protrae secondo i presupposti appena enunciati.
E i morti, come si sa, non possono possedere nulla, non possono essere proprietari di nulla. Ragion per cui ogni bene e territorio esistente è della Chiesa (per effetto della Unam Sanctam Ecclesiam) che a sua volta la ridistribuisce, la dà in amministrazione, a delle autorità da lei stessa costituite e/o controllate (i monarchi prima, gli Stati, di diritto e non, poi), per effetto delle due altre encicliche citate.
E, strano a dirsi, questa concezione non è mai stata modificata e si è protratta fino ai tempi nostri, diventando consuetudine generalizzata12. Quasi nessuno, infatti, mette in dubbio la bontà dell’ordine costituito, dell’autorità costituita e della giurisprudenza. Anzi lo si ritiene necessario e magari lo è per il buon ordine sociale, anche se non di rado sorgono dubbi al riguardo.
Questi amministratori a loro volta danno questi beni in diritto d’uso ai cittadini, quali esseri “non viventi” (di loro proprietà attraverso l’atto di nascita), con obbligo di mantenimento e di cura, la ben nota “proprietà privata”.
Inoltre, poiché si usufruisce di una concessione, si paga per poter usufruire del diritto, si viene tassati. Se non si paga, il bene viene pignorato ed il diritto si perde fino a quando non si provvede al saldo del dovuto, anche quello calcolato in maniera unilaterale e arbitraria dall’amministrazione, senza che si possa mai aver voce in capitolo.
Si tratta in buona sostanza di un contratto imposto unilateralmente, che in base alle leggi in vigore (anche in Italia), non avrebbe valore, ma nessuno va a vedere e tutti accettiamo superficialmente questo stato delle cose, dandone per scontata l’ineluttabilità.
Si tratta tuttavia di un sistema basato su ipotesi, su presupposti arbitrari e non su leggi naturali e poiché tale presupposto non è mai stato confutato da noi, le leggi ipotizzate possono continuare a essere ipotizzate in futuro (silenzio/assenso), il che rende tutti noi consenzienti.
Perché quello che evidentemente non abbiamo mai considerato fino ad ora è che la nostra incapacità di rifiutare e confutare una presunzione di legge rende questa presunzione una verità e una sentenza di “legge”. Una presunzione di legge non respinta e non confutata, infatti, diventa alla fine una verità e una sentenza di tribunale.
Naturalmente si tratta di una frode, ma il sistema procede secondo questo principio e ce lo impone. Ma questo è un altro argomento, che auspico ci sia il modo di sviluppare in una successiva occasione.
luca rosso
1) Link all’articolo: https://civico20-news.it/giurisprudenza/la-proprieta-privata-in-italia-i-beni-ci-appartengono-veramente/22/07/2024/
2) Ario predicava la creazione e non la generazione del Figlio ad opera del Padre. Pur non negandola, metteva la divinità del Figlio in subordinazione a quella del Padre, cosa che comportava alcune conseguenze logiche rilevanti, tra le quali l’impossibilità di una reale salvezza-redenzione da parte di Gesù e il fatto che Dio sarebbe un eterno “estraneo” e “distaccato”.
3) Per chi fosse interessato, a questo link: https://it.wikipedia.org/wiki/Persone_giustiziate_per_eresia si ha una lista una lista delle principali condanne capitali per eresia nel corso dei secoli, perpetrate sia dalla chiesa cattolica che da altre confessioni religiose.
6) Link al Canone 96: https://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/ita/documents/cic_libroI_96-112_it.html#TITOLO VI
7) Per definizione, le persone/gl’individui sono finzioni giuridiche, uomini di paglia, nomi legali, trust, titoli, strumenti al portatore, titoli e cose, ergo nulla di reale; pertanto, le finzioni (persone/individui) non possono mai essere armonizzate con le cose reali (esseri umani), quindi il “sistema giuridico”, che è concepito per le persone, non può mai interagire con gli esseri umani perché non si rivolge ad essi. E anche qui il buon senso del profano si stupisce, perché il sistema giuridico non è affatto applicabile agli esseri umani che si dichiarino tali (ossia viventi), perché è un dato di fatto che gli esseri umani viventi non abbiano assolutamente nulla a che fare con un sistema giuridico! Tranne quando si auto-dichiarino persone e non esseri viventi.
8) Quando un nobile andava in guerra, si assentava perciò dalla patria nativa, le tasse che questi doveva alla monarchia erano sospese fino al suo ritorno. Molti di questi “cavalieri” non tornavano affatto e non si sapeva neppure se fossero defunti o ancora in viaggio, per mare, verso casa. Quelle proprietà quindi non rendevano più nulla ai monarchi che le avevano assegnate. Pertanto erano quindi possedute dalla così detta “mano morta”, che le tratteneva ma che non pagava tributi visto che era la mano di un cavaliere presumibilmente morto.
9) Sull’atto di nascita, sui suoi presupposti e sulle sue conseguenze si potrebbe aprire un capitolo tutto suo. Non è escluso che ci addentreremo nei meandri di questo aspetto in un articolo successivo.
10) Ministero della Giustizia: “Le conseguenze della dichiarazione di morte presunta sono analoghe a quelle prodotte dalla morte naturale” – c.c. art. 58 e seguenti (https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_3_9_9.page#).
11) “Porro subesse Romano Pontifici omni humanae creaturae declaramus, dicimus, definimus et pronunciamus omnio esse de necessitate salutis” Bonifacio VIII- Unam Sanctam Ecclesia. (Trad.: “Ora dichiariamo, diciamo, definiamo e proclamiamo che è assolutamente necessario che ogni creatura umana sia soggetta al Vescovo romano per essere salvata”).
12) Per dirla tutta, in realtà i Trust costituiti dalle tre bolle papali in questione sono stati invero sciolti dalla Chiesa di Roma in tempi recenti, di fatto invalidando tutto quanto illustrato fin qui, ma nessuno lo dice ufficialmente e tutto continua ad andare avanti come se nulla fosse.