Gianluca Ruggiero: “La tammurriata nera al contrario”
Da tempo si discute nel nostro Paese, se rivedere la legge sulla cittadinanza per allargare i presupposti, realizzati i quali si diventa cittadini italiani. Per la verità si tratta di un provvedimento amministrativo di tipo concessorio-costitutivo, adottato con Decreto del Presidente della Repubblica che costituisce appunto l’individuo cittadino italiano. Ma italiani si nasce o si diventa?
È questo un punto sul quale il dibattito politico doveva segnare una falsa partenza e cioè rimuovere il passato e ignorare il presente.
Il primo punto è rappresentato dal discorso popolare secondo cui gli “italiani non sono mai stati razzisti; brava gente gli italiani, che sono andati in Africa per costruire strade, ponti e ospedali…!”.
A questo discorso si adeguavano in modo acritico tanti studiosi, anche insospettabili, e voglio portare un esempio mirato. Tullio Tentori, uno dei fondatori dell’antropologia culturale italiana, era indubbiamente sensibile a queste tematiche e nel 1962 aveva curato un librettino su il pregiudizio sociale. Oggi dimenticato, si tratta di un’opera importante nella storia dell’antirazzismo italiano non fosse altro perché, per la prima volta, in appendice vengono pubblicate in traduzione le due versioni del 1950 e del 1951 dello Statement on race dell’Unesco, un documento su cui i professori italiani di Antropologia (fisica) allora in cattedra, sfuggiti alle epurazioni del 1943-48, non discuteranno mai.
Ora, nel capitolo sul “pregiudizio razziale”, scritto da Dionisio Martino, si parla di ebrei, della loro destituzione dagli uffici pubblici e della loro cacciata dalle università, ma non si accenna alle leggi contro il “meticciato” nell’Africa italiana. Il passaggio è illuminante nella misura in cui si nega la latenza del razzismo (non solo di tipo antisemita) nella cultura italiana, e contemporaneamente si afferma che le mulattine sarebbero le “selvagge”, le “figlie del peccato”, “vomitate dall’inferno”; i mulattini sarebbero “negri”, “selvaggi”, “dotati di istinti bestiali”.
Il fenomeno dei “mulatti”, nati dall’unione tra soldati africani o afroamericani e donne italiane durante l’occupazione del suolo italico da parte delle truppe alleate, richiama un fenomeno certamente non nuovo in Italia, quello del “meticciato”. Essendosi quest’ultimo svoltosi in senso inverso, fuori dalla penisola, e fra soldati o coloni italiani e donne non italiane delle colonie, era rimasto abbastanza poco visibile, visto che i bambini se ne restavano per lo più in Africa dove, dopo la guerra, furono abbandonati al loro destino.
Il nuovo fenomeno, di contro, era ben visibile e viene subito immortalato nella canzone Tammurriata nera, scritta nel 1944, subito dopo che una prima ragazza napoletana aveva messo al mondo un bimbo di colore (ricordo che le truppe alleate entrarono a Napoli il 1° ottobre 1943). Sulla canzone, scritta da Edoardo Nicolardi e messa in musica dal consuocero E.A. Mario (alias Giovanni Ermete Gaeta), più famoso come autore di La canzone del Piave, tanto ci sarebbe da dire, ma possiamo rimandare ad un articolo di Paolo Monelli apparso nel quotidiano “La Stampa” nel 1947.
Nei primi anni Cinquanta, quando i bambini neri cominciano ad essere visibili a scuola e in giro per le città, laici e cattolici si trovano uniti nel loro imbarazzo. Nel 1954 un articolo dell’Europeo in cui Camilla Cederna si chiedeva “cosa sarà di questi moretti quando sarà venuto il momento di immeterli nella società?”, scatena proposte sui luoghi più adatti alla loro “emigrazione” affinché “non si perdano […] sopraffatti dai complessi di inferiorità”.
C’è chi suggerisce di trasferirli in “Brasile dove non esistono problemi razziali”, oppure nelle “repubbliche del sud America” o ancora in Libia, stabilendo una connessione tra i “negretti” in Italia e i “bambini abbandonati quasi tutti a sangue misto”, ospitati negli orfanatrofi di Tripoli […]. Questi progetti di espulsione, reali o simbolici, sono giustificati dalle difficili condizioni dei “moretti” in Italia “occultati nelle famiglie”, abbandonati dalle madri, presi a “sassate” dai compagni, a causa di un “colore che si fa spesso notare e che per essi costituisce una minorazione”.
Molte delle proposte e delle citazioni che appaiono nei passi ora riportati provenivano da don Carlo Gnocchi (proclamato beato nel 2009), ex cappellano militare nell’esercito fascista e famoso nel dopoguerra per la sua assistenza ai “mutilatini, i bambini rimasti feriti da bombe e mine. Secondo don Gnocchi, che forse crea il nome, i “mulattini” erano “mutilati spiritualmente dalla guerra non meno che i mutilatini”.
Il notevole successo che Tammuriata nera ha nel 1974, quando viene riproposta dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, sancisce l’ormai avvenuta censura delle sue origini, quando invece le nuove proposte sullo ius scholae e ius soli celano un insopportabile razzismo di fondo. In realtà, sia i “mulattini” che i bambini nati nelle colonie erano cittadini italiani perché uno dei genitori lo era.
Lo ius sanguinis non poteva dirsi derogato, né dal colore della pelle nè dalla località in cui avveniva la nascita (ricordo che il codice penale attualmente in vigore considerava cittadini italiani i cittadini delle colonie e i sudditi coloniali e considera ancor oggi tali gli appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità dello Stato. Norma di settore, certamente, ma indicativa di come il diritto possa a piacimento configurare la nozione di cittadino).
Esempi di cittadini soggetti alla sovranità dello Stato trattati in modo differenziato ce ne sono nella storia. Lasciandoci cullare dalle onde del tempo, qualcuno ricorderà che gli australiani Colin Petersen e Vince Melouney, rispettivamente batterista e chitarrista dell’iconica pop band britannica dei Bee Gees, incontrarono un ostacolo inaspettato nelle rispettive carriere quando all’improvviso, alla fine dell’estate del 1967, furono minacciati di deportazione a causa di un errore nel modo in cui avevano ottenuto i rispettivi visti.
Perché i cittadini australiani erano considerati cittadini inglesi di seconda classe, come veniva provocatoriamente detto all’epoca? È solo dal 1984 che gli australiani non sono più sudditi britannici anche se continuano a detenere uno status privilegiato quando risiedono nel Regno Unito.
Il caso dei “mulattini” e dei “moretti” è sintomatico di un razzismo latente e mai sdoganato che si ripercuote inevitabilmente sul dibattito politico attuale. Come sempre l’attenzione viene dirottata su frange della popolazione immigrata di origine araba o africana, molti di questi di fede musulmana, che – si dice – non disapprovano il terrorismo (sic!) e che non vogliono integrarsi nella società italiana. Come la mettiamo con le altre comunità presenti sul territorio italiano? Parliamo della comunità cinese, rumena, sudamericana e dell’Europa dell’est in generale.
Un discorso serio, improntato all’obiettività ed alla (giusta) risposta alla rivendicazione di diritti da parte dei vari gruppi etnici presenti nel nostro paese, non può distinguere tra cittadini “non italiani” e fra italiani made in africa, asia, etc. Il paradosso si chiarisce con l’elevato numero di italiani all’estero che, in virtù dello ius sanguinis, sono considerati tali senza aver nemmeno messo piede in Italia, senza conoscere nulla del paese dei propri avi, senza spiccicare una parola di italiano, come Carlo Giovanardi, in un suo recente commento apparso sul quotidiano “L’identità”, ha messo bene in evidenza.
La schizofrenia legislativa arriva al punto di non considerare italiani uomini e donne, ragazzi e ragazzi che vivono da anni in Italia, che lavorano, studiano, frequentano luoghi e locali della loro città e di ritenere tali invece coloro che hanno un vincolo di sangue oramai praticamente evaporato.
È tempo di considerare italiani coloro i quali risiedono sul territorio dello Stato, imbevuti della nostra cultura ed espressione, alla fin fine, della stessa. Negare a costoro la cittadinanza significa negare un diritto non meno cogente dello ius sanguinis. Lo ius scholae non è altro che la prova che taluno risiede stabilmente sul territorio nazionale e stabilire i termini e condizioni per la cittadinanza è una questione che il nostro parlamento deve affrontare con impegno scevro da falsi pregiudizi, senza che sia necessario un giuramento di cittadinanza o un – tendente al ridicolo – esame di educazione civica o di cultura italiana in generale (penso a quanti italiani fallirebbero miseramente).
Le preoccupazioni per un afflusso di immigrazione fraudolento consistente nell’abuso della legge sulla nazionalità da parte di migranti illegali solo per ottenere la cittadinanza, forse sconsigliano un acquisto della stessa per diritto di nascita.
Potrebbe essere invece concessa ai bambini nati – oltre che da un genitore cittadino – anche da un residente permanente, cioè da coloro che rinnovano il permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di studio o da cittadini europei che risiedono stabilmente in Italia da almeno sei anni. In questi casi, senza presentazione di domanda, può essere attribuita automaticamente anche a coloro che, pur non essendo nati in Italia, ricorrendo le predette condizioni, abbiano frequentato e concluso la scuola di istruzione primaria (che coincide con il raggiungimento del 10°/11° anno di età).
Resta fermo che, una volta acquistata, la cittadinanza italiana non può più essere revocata.
Gianluca Ruggiero
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