Il materialismo dominante è davvero l’unica verità possibile?
Spesso sentiamo parlare di senso della vita o di inutilità di qualunque progetto che possa impegnarci in questo lasso di tempo che trascorriamo sull’azzurro pianeta.
Molti affermano con misterioso compiacimento che nasciamo per puro caso e che finiamo questa parentesi terrena quando la necessità di interruzione biologica ci farà esalare l’ultimo respiro.
Le visioni materialistiche sono diventate parte integrante di questa cultura post positivistica, dove il senso della vita si perde in capziosi ragionamenti che esaltano, si fa per dire, il breve soggiorno terrestre, destinato ad estinguersi come un cubetto di ghiaccio lasciato al sole.
Altri affermano il contrario, percependo, forse, che l’uomo non sia solo un complicato sistema biologico destinato a consumare risorse e ad espellere rifiuti, ma qualcosa di più, che con necessaria cautela definiscono “componente trascendente”.
Ci troviamo di fronte a due visioni contrapposte in modo antitetico, due modi di pensare così differenti che sembra quasi impossibile credere che possano coesistere sotto lo stesso cielo.
Parlando di componente trascendente non mi riferisco sicuramente alle varie religioni, che di trascendente o metafisico hanno ben poco, mi riferisco a quel termine poco utilizzato che esprime tutto ciò che si contrappone frontalmente al materialismo: lo spiritualismo.
In realtà parlare di contrapposizione dialettica tra materialismo e spiritualismo non ci aiuta a comprendere il problema, altro è parlare di integrazione tra componenti materiali e spirituali che compongono l’essenza degli individui.
Se talune persone intuiscono che con la sola materialità non sia possibile spiegare ogni aspetto della nostra vita, mentre altre si rassegnano a considerarsi esseri esclusivamente composti di molecole e minerali di varia natura, la cosiddetta “forbice” tenderà ad aprirsi sempre di più, creando una parte di umanità interessata a comprendere con ogni mezzo quale possa essere il senso della vita e quali siano le Leggi che operano sul Piano spirituale, e un’altra parte destinata ad una “visione” meno vasta, ma ben radicata su ciò che i sensi riescono a percepire.
Sia ben chiaro che non abbia alcun senso iniziare una discussione per verificare chi possieda la fiaccola della Verità.
Assolutamente sconsigliato tentare di convincere i materialisti sulla validità di una visione che contempli elementi metafisici… ognuno ha diritto di pensarla come vuole.
Ancora meno indicato per un materialista tentare di dimostrare ad una persona che abbia avuto un’esperienza trascendente o che abbia una consapevolezza allargata alla dimensione spirituale, che si tratti solo di illusioni o masturbazioni mentali… sarebbe tempo perso.
Chi ha vissuto esperienze personali di grande valore direbbe con autentica convinzione che nel più ci sta il meno… e non viceversa.
Coloro che hanno seguito le conferenze su YouTube dello scienziato italiano Federico Faggin, saranno, forse, rimasti un po’ stupiti nel sentirlo raccontare la propria esperienza di natura mistica, esperienza che gli ha cambiato letteralmente la vita.
Aver creato un impero economico con delle invenzioni che hanno modificato completamente la tecnologia informatica, come nessun altro fisico al mondo è riuscito a fare, e decidere di dedicarsi anima e corpo alla ricerca della Coscienza… non è sicuramente da tutti.
Eppure una simile svolta nella vita non deve apparirci come fulmine a ciel sereno.
James Hillman nel proprio capolavoro “IL CODICE DELL’ANIMA”, pubblicato in italiano da Adelphi 1997, ci parla della teoria della Ghianda, ovvero dell’esistenza, in ognuno di noi, di un progetto preciso che dovrà realizzarsi traducendo la potenza in atto, esattamente come la ghianda dovrà trasformarsi in quercia:
“Non la ragione per cui vivere; non il significato della vita in generale, o la filosofia di un credo religioso: questo libro non ha la pretesa di fornire risposte del genere. Esso vuole rivolgersi piuttosto alla sensazione che esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere; la sensazione che in qualche modo il mondo vuole che io esista, la sensazione che ciascuno è responsabile di fronte a un’immagine innata, i cui contorni va riempiendo nella propria biografia.”
(J. Hillman, Il codice dell’anima Adelphi 1997)
Secondo Hillman esiste in ognuno di noi un vero Progetto di vita, un significato occulto che ci indirizza e corregge verso un preciso obiettivo.
Tornando al nostro Fisico italiano, se Faggin giunto a 50 anni al culmine della propria carriera, non avesse avuto quella sensazione di disagio esistenziale che gli suggeriva che il vero obbiettivo da raggiungere non fosse ancora stato individuato con precisione… probabilmente avrebbe continuato ad investire il proprio tempo nelle innovazioni dell’industria informatica.
Un fatto assolutamente eccezionale, come l’esperienza mistica che lo ha letteralmente folgorato durante una notte quando si trovava in vacanza sul Lago Tahoe tra California e Nevada, ha offerto la possibilità allo scienziato di comprendere quale fosse la via da imboccare per ottenere una completa Realizzazione.
Molti altri esempi di personaggi famosi che possedevano un obbiettivo molto ambizioso sono riusciti a raggiungerlo grazie a modifiche improvvise e apparentemente casuali della loro vita.
Hillman riprende il mito escatologico di Er di Platone, dove si narra del valoroso soldato Er, figlio di Armenio, morto in battaglia ed in procinto di essere arso sulla pira. La sua anima appena uscita dal corpo aveva potuto assistere a molte scene legate alla dimensione ultraterrena, Er fu incaricato di osservare attentamente tutte le varie situazioni che si proponevano in quel luogo, con il compito di ricordarle per poterle descrive una volta tornato in vita.
Le anime dovevano sostare per circa sette giorni, quindi venivano costrette a camminare per altri quattro giorni fino a quando giungevano in vista di un grande arcobaleno dove, simboleggiando il destino, un grande fuso era posato sulle ginocchia della dea Ananke (Necessità). Le tre Moire, le figlie di Ananke, sedevano in cerchio vicino alla madre: Cloto filava e cantava il presente, Lachesi, il passato, e Atropo, il futuro.
Le anime disposte in fila venivano presentate a Lachesi che, dopo aver preso dalle sue ginocchia un gran numero di destini e modelli di vita, procedeva al sorteggio dell’ordine di scelta.
Dopo aver compiuto la scelta, ogni anima riceveva da Lachesi il genio tutelare, ovvero il Dimon di cui ci parla anche Hillman, che avrebbe sorvegliato che si compisse la vita prescelta; quindi l’anima doveva andare da Cloto, a sottoscrivere il destino che si era scelta, e infine da Atropo che lo rendeva definitivo. Le anime poi s’incamminavano attraverso la rovente pianura del Lete e, tranne Er, furono obbligate a bere l’acqua del fiume che dà l’oblio. A mezzanotte, mentre tutte le anime dormivano un terremoto le gettò nella nuova vita assieme a Er, che, svegliatosi sulla pira funebre, poté raccontare come, si possa vivere serenamente una vita giusta e saggia in questo e nell’altro mondo.
Il racconto di Platone risulta in accordo con la teoria della ghianda, che descrive l’idea che ciascuno sia portatore di una peculiare unicità che si debba esprimere in questa ed altre vite.
Pensare di avere un progetto di vita, cercarlo con puntuale ostinazione facendo attenzione ai dettagli e alle “coincidenze”, che nella visione junghiana vengono definite come “sincronicità”, non deve essere vissuto come un compito indifferibile o un obbligo morale, al contrario, se la nostra “visione del mondo” prevede un modello di questo tipo, sarà assolutamente naturale imboccare un sentiero di consapevolezza che ci permetterà di realizzare il Progetto di vita che conserviamo dentro noi stessi.
Civico20News
Giancarlo Guerreri
Editorialista
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Grazie, uno splendido articolo,
Il progetto di vita deve necessariamente mirate alla realizzazione dell’ alchimia dello spirito, perché tutto il resto appartiene alla materia , e la materia non attraversa le porte della morte fisica …
Grazie, uno splendido articolo,
Il progetto di vita deve necessariamente mirare alla realizzazione dell’ alchimia dello spirito, perché tutto il resto appartiene alla materia , e la materia non attraversa le porte della morte fisica …
Il sapere che il mio “io” non e’ fatto solo di materia ma, soprattutto spirito, mi fa vedere un mondo meno distorto.
Fa un gran bene credere che la materia e’ dispersione ma la spirito e’ il conforto.
A me non sembra che considerare il Daimon sia al di fuori della diatriba materialisti-spiritualisti perché pende tanto dalla parte dei primi. Le coincidenze della sincronicità per Jung sono di più di un fatto meccanico, le definisce il linguaggio degli dei.
Personalmente non vedo una rivoluzione in Faggin, ideare microprocessori e chiedersi che senso ha la propria vita sono su piani diversi, non si può parlare di opposizione né di sinergie. Lo scienziato ha un momento mistico, ma l’affrontare un campo che aveva trascurato, ricongiungersi col padre filosofo o qualunque altra motivazione l’abbia spinto non modifica la sua scienza. E quando vuole applicarla nel campo “nuovo” pone solo delle ipotesi e queste nel migliore dei casi arrivano allo studio del pensiero, la coscienza è oltre e il senso finale lo è ancor di più col suo metodo.
Infine mi viene da pensare che la visione meccanicista di un mondo retto da una serie di eventi che si influenzano a catena determinando la stessa personalità e quindi il modo di reagire (dando avvio ad altri eventi) e quella deterministica delle Parche deresponsabilizza allo stesso modo, il fato vanifica il libero arbitrio.
Concordo sulla ricerca del ruolo, anche secondo me è “tutto lì”.
Raggiungerlo per deduzione studiando il proprio passato può essere una buona via. Anche se richiede tempo e significherebbe che il punto di massima esperienza coincide con quando non serve più.
(bell’articolo, denso di spunti)