Sarebbe un’anima in pena dopo saccheggi e distruzioni nei secoli?
Castelnuovo Calcea, in provincia di Asti, è chiamato anche Castelnuovo “brusà” o “brisò”, a seconda dell’inflessione dialettale, ad indicare che il castello dal quale ha preso il nome è stato bruciato.
Di origini romane, dopo aver accolto abitanti liguri, galli e celti, il suo “castrum novum” viene ricostruito come dipendenza della vicina Vinchio, allo scopo di controllare il tratto di strada che conduce ad Agliano, a ridosso dell’asse viario Asti-Nizza Monferrato-Acqui Terme.
Una prima distruzione avviene nel 1155, forse legata alla discesa del Barbarossa, che proprio in quel periodo devasta anche la città Asti, mentre si reca a Pavia per essere incoronato Re d’Italia. I tenaci abitanti, guidati dai Marchesi d’Incisa, ricostruiscono tutto e il borgo collinare riprende la sua vita contadina. Il castello, in ogni caso, viene ricostruito più volte, perché subisce più di una distruzione, durante le guerre che insanguineranno il Monferrato nei due secoli successivi,
Nel 1635 il comandante delle truppe del Duca di Savoia impartisce l’ordine di bruciare e radere al suolo il paese. L’ultimo importante restauro risale proprio al XVII secolo, quando vengono rifabbricate le torri, il dongione e riparata la parte situata a ponente, danneggiata da un incendio.
Tre secoli dopo, nel 1944, i bombardamenti alleati colpiscono la zona, provocando danni sia alle abitazioni che al castello di Castelnuovo Calcea che, già diroccato, non regge a quest’ultimo sfregio del destino e implode su se stesso nel 1945; seguono altri due gravi crolli, nel 1952 e nel 1961.
Dell’edificio originario rimangono ormai il portale di ingresso, la torre di avvistamento e i bastioni. Soltanto nel 1985 si inizia a progettarne la ricostruzione ed il restauro, che avviene grazie all’acquisto da parte del Comune dell’area, in parte poi destinata a parco pubblico. Nel 1998 risulta consolidata e recuperata la torre circolare di avvistamento (simbolo dello stemma comunale), alla cui ombra è stato ricavato un ampio cortile, suggestivo palcoscenico di manifestazioni estive di vario genere (serate danzanti e gastronomiche, concerti e rappresentazioni teatrali). Nell’estate 2004 vengono sistemati “La terrazza degli Ulivi”, il camminamento sotterraneo che accede alla sommità dell’area, che diventa punto panoramico “Dagli Appennini alle Alpi”.
Come tanti altri manieri, anche il castello di Castelnuovo Calcea ha il suo fantasma.
Le narrazioni popolari, tramandate di generazione in generazione, narravano di un uomo insanguinato e con gli abiti stracciati che, nelle notti di luna piena, si trascinava tendendo una mano ai passanti, per poi scomparire nel nulla.
Lo scrittore Angelo Brofferio, nato a Castelnuovo Calcea nel 1802, non parla di questa presunta apparizione, di cui doveva essere a conoscenza: figlio di tempi illuministici, in cui la fede è relegata a superstizione per gli ignoranti, non avrà dato peso a questo racconto. Eppure, trascorre gli anni della sua giovinezza e della leggerezza tra queste strade, all’ombra del campanile e li ricorda nella sua opera I miei tempi: dal grande noce vicino al bosco di Vignole, abitato da spiriti e streghe, al “lazzeruolo”, un frutto spontaneo che cresceva negli scoscendimenti del terreno di Castelnuovo Calcea, che Brofferio amava mangiare. Quando si trasferisce a Torino per studiare giurisprudenza è costretto ad abbandonare il suo paese, ma a distanza di tempo ancora ne sente la mancanza e ne immagina i profumi.
Per parlare di fantasmi si dovrà attendere il periodo della Scapigliatura, che ha avuto un grande protagonista monferrino, a dare corpo alle immagini della mente e dell’inconscio umano: Iginio Ugo Tarchetti, che ho ricordato su questa testata lo scorso 25 marzo, in occasione dell’anniversario della sua morte, nel 1869: https://civico20-news.it/cultura/25-marzo-1869-muore-iginio-ugo-tarchetti-lo-scapigliato-di-san-salvatore-monferrato-al/25/03/2024/
Anche dalle cronache più recenti il fantasma è scomparso, sembra un retaggio di un passato oscuro; siccome ogni leggenda ha un fondo di verità, mi piace pensare che si tratti di un’anima perduta e costretta alla peregrinazione terrena; non potrebbe essere un popolano o un soldato morto in seguito a una delle tante distruzioni subite da Castelnuovo Calcea?
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