Autore del misterioso “Le leggende del castello nero”
Il 25 marzo 1869 muore a Milano Iginio Ugo Tarchetti; poliedrica figura di artista e intellettuale, era nato a San Salvatore Monferrato (AL) il 29 giugno 1839. Specifichiamo, in premessa, che la data di nascita è stata stabilita con certezza dallo studioso Giuseppe De Giovanni, dopo che in molti e per lungo tempo l’avevano posticipata al 1841 (Cfr. E. Ghidetti, Tarchetti e la Scapigliatura lombarda, Libreria Scientifica Editrice, Napoli 1968, p. 48).
Tutta la sua produzione letteraria è caratterizzata da una forte e inquieta sensibilità per i temi della morte, della follia, dell’attrazione per l’orrido, che indulge quasi al genere “noir”.
Pasquale Gobbi ci racconta qualcosa della sua vita e della sua parabola letteraria nel libro San Salvatore Monferrato, stampato nel 1965 dalla Tipografia Ferrari, Occelli E C., in Alessandria.
«A 25 anni Iginio Ugo Tarchetti fu celebre in tutta Italia.
Era solito passeggiare con un topo bianco che gli usciva spesso di tasca e gli saliva sulle spalle. Girovagò senza meta; sostò più lungamente a Milano; frequentò i cimiteri e conversò con gli affossatori cui offriva dei sigari. (…)
Vestiva con la più rara eleganza, e viveva nella più nera miseria. Scriveva continuamente per i giornali per avere le cinquanta o le cento lire con cui pagare la pensione».
Un vero artista, dunque! Possiamo immaginare i suoi spostamenti per le città italiane, quasi come un’anima in pena, così simile ad uno dei tanti personaggi tragici e inquieti che prendono forma nelle sue opere.
«Molti critici si gettarono sulle opere di Iginio Ugo Tarchetti: le voltarono, le rivoltarono, ne riscontrarono i difetti. Ma il merito della “Scapigliatura” non lo capirono. E sopra Iginio Ugo Tarchetti si fece il silenzio».
Questa è la cifra della sua grandezza, l’oblio immeritato cui è stato destinato per lungo tempo, prima di una tardiva riscoperta.
«Da poco tempo le sue ossa riposano in San Salvatore, nella tomba di famiglia dell’Avv. Gottardo Tarchetti, un suo parente.
Sulla lastra del loculo che le racchiude è scolpito: “QUI RIPOSA IL POETA IGINIO UGO TARCHETTI”».
Come ricorda il Gobbi nelle sue brevi note, il corpo di Tarchetti è tornato al paese d’origine, anche se molti credono sia ancora sepolto a Milan.
Chi è stato IginioTarchetti? Come si è svolta la sua breve vita?
Impiegato al commissariato militare (l’affinità con Foscolo, che aveva ricoperto un analogo ufficio, gli suggerirà l’assunzione del secondo nome, Ugo), abbandona un lavoro sicuro nel 1865, dopo aver scritto pagine dure contro l’esercito e in genere contro il principio d’autorità; questa tematica tornerà nel romanzo Una nobile follia, del 1867.
Il suo romanzo più complesso, Fosca, è incentrato su una torbida vicenda sentimentale, ma rimane incompleto a causa della prematura morte per tubercolosi dell’autore; verrà completato e pubblicato postumo dall’amico Salvatore Farina. L’opera gli viene ispirata da una donna conosciuta a Parma, assai malata e prossima alla morte, da cui egli è fortemente attratto. Dal romanzo, nel 1981, il regista Ettore Scola trae il film Passione d’amore.
Tarchetti trascorre a Milano i suoi ultimi cinque anni, nei quali frequenta il salotto della contessa Clara Maffei e svolge una intensa attività letteraria, dalla quale emergono tre opere: Paolina. Mistero del coperto del Figini, storia di una ragazza povera che diventa un romanzo di critica sociale, pubblicato sulla “Rivista minima” dal 30-11-1865 al 31-1-1866, Milano 1867; Drammi di vita militare, poi pubblicato con il titolo di Una nobile follia, romanzo antimilitarista pubblicato in “Il sole” dal 12-11-1866 al 27-3-1867, Milano 1869; Fosca, pubblicato sul “Pungolo” dal 21-2-1869 al 6-4-1869, poi in volume, Milano 1869.
Il suo racconto Le leggende del castello nero, compreso nella raccolta Racconti fantastici, è un emblema della Scapigliatura, di cui Tarchetti è stato uno dei maggiori esponenti. Il racconto non appare ambientato in Italia, ma il critico letterario Giorgio Barberi Squarotti (Torino, 14 settembre 1929 – Torino, 9 aprile 2017) ha ipotizzato, in un suo lavoro del 1998, che il luogo si possa trovare in Italia, e Tarchetti ne abbia cambiato l’ubicazione per non esporre ad ulteriori critiche la corrente scapigliata, già invisa a molti. Il saggio si intitola I castelli nella letteratura: confini tra reale e immaginario; non si trova più in commercio, se non in qualche occasionale negozio di libri usati.
Il racconto di Tarchetti inizia come un riferimento alla memoria, fra dubbi e misteri.
«Non so se le memorie che io sto per scrivere possano avere interesse per altri che per me – le scrivo ad ogni modo per me. Esse si riferiscono pressochè tutte ad un avvenimento pieno di mistero e di terrore, nel quale non sarà possibile a molti rintracciare il filo di un fatto, o desumere una conseguenza, o trovare una ragione qualunque.
(…) io non posso considerare questo avvenimento imperscrutabile della mia vita che come un enimma insolvibile, come l’ombra di un fatto, come una rivelazione incompleta, ma eloquente d’un’esistenza trascorsa.»
In una pagina successiva, sorgono i dubbi dell’autore sulla sua vita presente, su una vita precedente, sulla morte.
«Ma abbiamo noi avuta una vita antecedente? Abbiamo previssuto in altro tempo, con altro cuore e sotto un altro destino, alla esistenza dell’oggi? Vi fu un’epoca nel tempo, nella quale abbiamo abitato quei luoghi che ora ignoriamo, amato quegli esseri che la morte ha rapito da anni, vissuto fra quelle persone di cui vediamo oggi le opere, o cerchiamo la memoria nelle storie o nell’oscurità delle tradizioni? Mistero!».
Ed ecco l’incontro, immateriale ed etereo, con una donna da lui amata nel passato.
«In una galleria di quadri a Gratz ho veduto un ritratto di donna che ho amato, e la conobbi subito benchè ella fosse allora più giovine, e il ritratto fosse stato fatto forse vent’anni dopo la nostra
separazione. La tela portava la data del 1647: press’a poco a quell’epoca, risale la maggior parte di queste mie memorie».
La vita è sogno o realtà? Dove iniziano e finiscono i confini, qual è il loro limitare? Siamo immersi, all’improvviso, nel clima letterario ottocentesco. In questo brano ricompare il castello misterioso, il “castello nero” che dà il titolo al racconto.
«La vita muore, ma lo spirito, il segreto, la forza della vita non muore: tutto vive nel mondo.
Ho detto il sonno. E che cosa è il sonno? Siamo noi ben certi che la vita del sonno non sia una vita a parte, un’esistenza distaccata dall’esistenza della veglia? Che cosa avviene di noi in quello stato? chi lo sa dire? gli avvenimenti a cui assistiamo o prendiamo parte nel sogno non sarebbero essi reali?».
Nel dipanarsi del racconto, trascorrono diciannove anni e il protagonista si ritrova, senza saperlo, in un luogo sognato in precedenza.
«Nell’anno 1849, viaggiando al Nord della Francia, aveva disceso il Reno fin presso al confluente della piccola Mosa, e m’era trattenuto a cacciare in quelle campagne. Errando solo un giorno lungo le falde di una piccola catena di monti, mi era trovato ad un tratto in una valle nella quale mi pareva esser stato altre volte, e non aveva fatto questo pensiero che una memoria terribile venne a gettare una luce fosca e spaventosa nella mia mente, e conobbi che quella era la valle del castello, il teatro de’ miei sogni e della mia esistenza trascorsa. Benchè tutto fosse mutato (…), e non rimanessero del castello che alcuni ruderi (…), ravvisai tosto quel luogo, e mille e mille rimembranze, mai più evocate, si affollarono in quell’istante nella mia anima conturbata.
(…) Oggi, prima di partire, mi sono recato a rivedere le rovine del castello – è il primo giorno di settembre, mancano sei mesi all’epoca della mia morte – sei mesi, meno dieci giorni – giacchè non dubito che morrò in quel giorno prefisso. Ho concepito lo strano desiderio che rimanga alcuna memoria di me. Assiso sopra una pietra del castello ho tentato di richiamarmi tutte le circostanze lontane di questo avvenimento, e vi scrissi queste pagine sotto l’impressione di un immenso terrore».
E arriviamo, infine, alla conclusione di questo misterioso racconto…
«L’autore di queste memorie, che fu mio amico e letterato di qualche fama, proseguendo il suo viaggio verso l’interno della Germania, morì il venti gennaio 1850, come gli era stato presagito, assassinato da una banda di zingari nelle gole così dette di Giessen presso Freiburgo.
Io ho trovate queste pagine tra i suoi molti manoscritti, e le ho pubblicate».
Una premonizione per quel suo romanzo che sarà pubblicato postumo da un altro? Tarchetti non fa il nome dell’amico e letterato, per non sporcarne l’immagine e la “qualche fama”. Forse leggendo queste parole Barberi Squarotti ha cesellato la sua ipotesi: «Quando Tarchetti scrive “mi era trovato ad un tratto in una valle nella quale mi pareva esser stato altre volte” si può facilmente immaginare che sia una traslazione del vissuto e del suo veduto, tratto da un ricordo di un castello in rovina visto in una valle alpina piemontese o lombarda. E quanti ne abbiamo! Ci sarebbe l’imbarazzo della scelta, anche perché lui non lo descrive nei dettagli, ma vi sovrappone l’onirico e l’incontro con il pastore.»
Chiudiamo, in questo modo, un cerchio e torniamo all’origine di una umana e letteraria, e della narrazione intorno ad un castello misterioso. Ritorniamo, dunque, a San Salvatore Monferrato, piccolo paese di collina del Monferrato casalese, dove la tomba dell’artista scapigliato Tarchetti è un luogo che merita una sosta, in un angolo di silenzio, ancora visitato dagli amanti della poesia e da chi riconosce ancora in lui un maestro della letteratura italiana.