Milano è ammorbata dai Trapper che, però, trovano il favore del buonismo e del giustificazionismo.
Nell’edizione 2023/2024 della trasmissione “Dritto e Rovescio”, il giornalista Paolo Del Debbio ha spesso avuto ospiti in studio i Trapper “milanesi” Baby Gang e Simba La Rue, noti più per le loro “bravate” giudiziarie che per la discutibile abilità artistica.
Siamo a parlarne in quanto abbiamo appreso che – a seguito della sparatoria, avvenuta nella notte tra il 2 e il 3 luglio 2022 in Via di Tocqueville, vicino a Corso Como, in cui rimasero feriti due senegalesi – la Corte d’Appello di Milano, ha ridotto la pena di Baby Gang da 5 anni e 2 mesi a 2 anni e 9 mesi.
La stessa Corte d’Appello di Milano ha ridotto la pena anche a Simba La Rue che, anziché gli iniziali 6 anni e 4 mesi, dovrà scontare 4 anni e 6 mesi.
Zaccaria Mouhib, vero nome di Baby Gang, è un ragazzo di 23 anni, molto famoso sui social – specialmente Instagram e TikTok – dove sponsorizza la sua musica Trap e mette in scena comportamenti sopra le righe e, spesso, lesivi della legge.
La Redazione dell’“ANSA” precisa come “per quattro imputati del processo milanese sulla sparatoria vicino a corso Como dell’estate 2022, tra cui il trapper Baby Gang, è caduta in appello l’accusa di rapina ai danni dei due senegalesi rimasti feriti”.
Certe sentenze lasciano un po’ l’amaro in bocca specialmente quando è reso noto che “quell’accusa è rimasta in piedi per altri quattro giovani, tra cui l’altro trapper Simba La Rue, la cui pena è stata, però, portata da 6 anni e 4 mesi a 4 anni e 6 mesi”.
Molti milanesi, specie quelli che risiedono nei palazzi di edilizia popolare alla periferia del capoluogo lombardo, non hanno preso bene l’esito del processo. In fondo il procedimento penale “vedeva al centro le accuse di rapina, rissa, lesioni gravi e detenzione di arma clandestina”.
Come si può, dinanzi ad un simile florilegio di reati, concedere uno sconto di pena?
Il dimezzamento delle pene, purtroppo, è una delle falle del nostro sistema giudiziario. Il delinquente, spesso abituale, che ha soldi per permettersi dei buoni avvocati, il più delle volte, riesce a cavarsela con pene risibili.
Chi non tollera più questo sistema sono quelli che i reati li subiscono e che vorrebbero una Magistratura meno accomodante e più coercitiva nell’applicazione del Codice Penale.
Il giornalista Paolo Del Debbio, intervistando politici, opinionisti, residenti, commercianti, … ha sempre sottolineato l’importanza di pene più severe e, soprattutto, la presenza massiccia dello Stato che non può permettere a dei giovani immigrati – spesso di seconda generazione – di seminare il panico nelle nostre città.
Si è spesso parlato della gestione – notoriamente fallimentare – dell’immigrazione da parte del Sindaco di Milano, Beppe Sala, “Partito Democratico”, che – anziché ispirarsi a legalisti come il Procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, si ispira a don Claudio Burgio.
Per chi non lo sapesse don Burgio è il Cappellano dell’Istituto Penale Minorile “Beccaria” di Milano ed il Fondatore delle Comunità di Recupero Kayros, tanto care al PD e alla Sinistra in genere.
Don Burgio è diventato famoso ai più quando – a seguito di presunte “torture” da parte del personale di Polizia Penitenziaria sui minori detenuti – ha dichiarato ad Andrea Gianni de “Il Giorno”: “I giovani detenuti possono manifestare atteggiamenti aggressivi, gli agenti della Polizia Penitenziaria lavorano in condizioni difficili ma non si può giustificare la violenza”.
Una frase che fa accapponare la pelle.
Che un sacerdote possa anche solo pensare che “i giovani detenuti possono manifestare atteggiamenti aggressivi” mette i brividi. Il Carcere Minorile di Milano, per decenni, ha avuto un altro strenuo difensore dei giovani “galeotti”, don Gino Rigoldi, ma con don Burgio le cose sono davvero precipitate.
C’è da chiedersi se l’Arcivescovo di Milano, Monsignor Mario Delpini, che infatti non è stato elevato al rango cardinalizio, si renda conto dei sacerdoti che invia a fare i cappellani nelle carceri.
Come può un vescovo permettere ad un suo sacerdote – nel pieno di un’indagine sulla Polizia Penitenziaria – di dire: “Ci siamo resi conto che serve una presenza più stabile, un contatto quotidiano e diretto con tutti i detenuti. Noi non arretriamo, ma intensifichiamo gli sforzi”?
A leggere simili affermazioni pare quasi che il sacerdote meneghino voglia schierarsi – senza elementi concreti – dalla parte dei minori detenuti.
Il Cappellano delle carceri, così come quello degli ospedali, non è chiamato a fare l’assistente sociale, lo psicologo, il pedagogo. Il suo ruolo – come quello di ciascun sacerdote del resto – è quello di amministrare i Sacramenti, proporre la catechesi e predicare la Parola di Dio.
Tutto il resto è un’intollerabile ingerenza – talvolta animata da una passione politica repressa – che rischia di delegittimare l’azione delle Forze dell’Ordine e dello Stato che – a differenza dei minori detenuti – sono dalla parte della legalità e della pubblica incolumità.
In molti, leggendo l’intervista di Andrea Gianni, si sono chiesti come sia possibile che un sacerdote, Cappellano del carcere, possa asserire che “le conflittualità rischiano di esplodere e in un questo momento siamo in una fase di riequilibrio, con tutte le difficoltà legate all’inserimento dei nuovi agenti appena arrivati”.
I detenuti – proprio in virtù delle loro condizione di soggetti privati della libertà personale, a seguito di reati talvolta anche efferati – non si scelgono il Personale di Sorveglianza, non mettono in discussione le capacità del Direttore, non hanno la prerogativa di decidere cosa è bene e cosa non lo è.
I detenuti, specie se minorenni, devono vedere il carcere per quello che è: un luogo rieducativo che – attraverso un giusto percorso punitivo – li deve riabilitare e reinserire nella società da cittadini rispettosi delle norme giuridiche.
Il resto sono fantasie che non solo non hanno senso ma offendono sinceramente le vittime e i famigliari delle stesse.
I sacerdoti dovrebbero predicare la giustizia, la mitezza, la temperanza e l’onestà.
Il giustificazionismo oltranzista a cui ci hanno tristemente abituati don Rigoldi e don Burgio è stucchevole, fuori luogo e, francamente, inaccettabile.
Torneremo senz’altro sul tema perché – ne siamo certi – tra “trapper” e “maranza” Milano avrà ancora molto per cui soffrire.
3 thoughts on “A Milano carrellata di condanne dimezzate per i Trapper”