Che cosa cambia dopo la vittoria elettorale del presidente russo
Ma Vladimir Putin esisterà veramente? Oppure è un disegno animato, un ologramma generato dall’intelligenza artificiale, un cartone dipinto dall’informazione occidentale?
Ce lo chiediamo perché in questi ultimi tempi (più o meno da quando ha avviato l’”operazione militare speciale” in Ucraina) il presidente russo non ha più caratteristiche reali, umane, ma sembra diventato un’immagine medievale del Maligno, dell’Anticristo, del Principe delle Tenebre, il sovrano di quell’Impero del Male che ha invaso la narrazione politica dell’occidente.
Intendiamoci, qui non parliamo del Putin vero e della Russia vera ma dell’immagine che ormai ogni giornale, ogni telegiornale, ogni dibattito ci propongono quotidianamente di quell’uomo e di quella nazione con monotona insistenza e con una propaganda continua e petulante.
Che Putin non sia un modello di statista illuminato e la Russia non sia l’immagine di uno stato pienamente liberale e democratico appare evidente a tutti, almeno a tutti coloro che condividono i canoni politici occidentali, o quantomeno la rappresentazione che ce ne facciamo.
Putin è sicuramente un politico duro, cinico e spregiudicato, e la Russia è una nazione in bilico fra democrazia e dittatura, una “democratura” orientale, come molte altre a est e nel sud del mondo, una nazione che è passata in poco più di un secolo dall’assolutismo zarista al totalitarismo comunista e all’oligarchia di rapina per giungere al precario equilibrio semi-democratico degli ultimi anni, quel precario equilibrio che ha avuto come protagonista, appunto, Vladimir Putin.
Ma da qui a vedere in lui l’incarnazione del male e nella Russia l’immagine della perversione autoritaria ce ne corre.
E’ necessario uscire dall’ipnosi comunicativa dei mass media occidentali, in gran parte al servizio dell’ esagitata politica euro-atlantista senza neppure cercare di nasconderlo, e riacquistare un minimo di realismo descrittivo e interpretativo, passare cioè dall’eccitazione moraleggiante e giudicante ad una qualche forma di conoscenza fattuale e avalutativa, nel senso weberiano del termine.
Putin, in queste ultime settimane, ha conseguito due significative vittorie: quella militare in Ucraina, ormai palesemente ammessa da tutti gli osservatori, e quella politica a casa propria con le elezioni di qualche giorno fa, in cui ha ottenuto un successo stratosferico con l’88 per cento dei consensi.
A proposito di queste elezioni, i mezzi di comunicazione occidentali, e italiani in particolare, si sono sbizzarriti in una serie di faziosissime considerazioni sulla loro presunta (assolutamente certa, per molti) falsità, antidemocraticità, illegalità.
Elezioni “farlocche”, “finte”, “fraudolente” e altro ancora: tutte definizioni date per scontate ma senza prove convincenti se si eccettua qualche episodio di violenza occasionale e una settantina di arresti per motivi non ben definiti -probabilmente per azioni di contestazione e di disturbo che potrebbero costituire reato anche da noi- e che comunque rappresentano ben poca cosa se riferite ai 112 milioni di aventi diritto al voto.
La realtà che tanto dispiace alle cancellerie occidentali e alla nostra informazione è però che i russi hanno votato massicciamente, con punte intorno al 90 per cento nelle regioni ucraine filorusse, senza apparenti costrizioni da parte del regime putiniano, russi che in grandissima parte hanno dato il loro consenso a Putin; verità granitica anche qualora si volesse contestare quella percentuale dell’88 per cento e ridimensionarla sulla base di brogli, violenze o costrizioni varie che però al momento non sembrano emergere con chiarezza.
D’altra parte l’occidente che ha visto i misfatti del voto postale negli Stati Uniti e i susseguenti fatti di Capitol Hill nel 2022, ma anche i ribaltoni del voto popolare in Italia con il governo Monti nel 2012 e tutti i vari governi tecnici mai voluti dagli elettori, non sembra il più idoneo a giudicare la democraticità e la legalità del voto russo. Solo il ministro Tajani, con notevole sprezzo del pericolo per il capo di una diplomazia nazionale, ha già deciso che si è trattato di un”voto segnato da violenze e pressioni”. Restiamo in attesa di qualche esempio concreto.
La realtà reale, al di là di ogni contorsionismo dialettico, è che Vladimir Putin ha consolidato in modo ferreo il suo potere interno almeno fino al 2030. Resta da vedere quanto questo potere interno si tradurrà in potere esterno nella sua duplice versione: potere militare e potere negoziale. Ma si può facilmente immaginare che entrambi cresceranno e si rafforzeranno, prospettando all’Ucraina e a un sempre più traballante Zelensky tempi durissimi.
A queste due vittorie di Putin, se ne può aggiungere una terza che va emergendo, anche se in modo meno evidente.
Ed è la possibile vittoria politica contro un occidente euro-atlantico che non sembra in grado di contrastare la presenza russa in Ucraina nonostante l’appoggio colossale in termini finanziari e di armamenti che esso ha voluto riversare nelle tasche e nelle mani di Zelensky ma che oggi sembra in via di esaurimento.
L’unica via per ribaltare (forse) le sorti della guerra sembra essere l’invio diretto di combattenti NATO in quella regione, come prospettato dal delirio macronian-napoleonico; ipotesi peraltro già respinta dai paesi occidentali perché porterebbe inevitabilmente a una guerra conclamata con la Federazione Russa e alla quasi certezza di uno scontro nucleare. Scelta evidentemente impraticabile nonostante i proclami guerrieri dei leader occidentali e il quotidiano tintinnar di sciabole fra i capi militari.
Si può discutere all’infinito sulle responsabilità del conflitto ucraino -e comunque non ascrivibili totalmente a Putin- ma quello che appare evidente e pauroso è l’assoluta mancanza di volontà da parte dell’occidente di cercare una soluzione negoziale alla crisi, una profonda e diffusa volontà di fare la guerra alla Russia in ogni caso, dove la nazione e il popolo ucraino appaiono sempre più un pretesto e uno strumento, di cui non importa nulla a nessuno, per attaccare la Russia sulla base dell’assurda considerazione che Putin, preda di un qualche delirio imperialista, voglia a sua volta attaccare l’Europa, cosa non solo smentita dal leader russo, cosa che non sarebbe significativa, ma priva di ogni possibile e conveniente ragione per Mosca se si esclude una possibile malattia mentale dell’uomo del Cremlino, il quale invece appare molto lucido e razionale in confronto a certi uomini e donne occidentali in preda a un inconcepibile e patologico cupio dissolvi.
Tutto ben sintetizzato dall’incredibile e folle affermazione della Von der Leyen secondo cui “Non possiamo lasciar vincere la Russia”, frase che rivela le vere ragioni e lo smisurato orgoglio di un Occidente che semplicemente non vuole perdere al gioco, a costo di portare nel baratro se stesso e tutti gli altri per una pura questione d’immagine.
In mezzo a tutto questo c’è l’eccezione del povero Bergoglio e del suo umanissimo invito ad alzare bandiera bianca, cosa forse poco dignitosa per la megalomania di presidenti, ministri e generali, ma sicuramente molto ragionevole per chi, come la Chiesa, da qualche secolo ormai preferisce all’eroismo della guerra la più modesta salvezza degli uomini in carne ed ossa.