Convinzioni divertenti, ma non troppo, basate sulla diversità di funzionamento.
Succede spesso che le donne prendano in giro gli uomini poiché essi non possono che fare una sola cosa per volta, quando va bene, mentre esse, dicono, possono affrontarne diverse contemporaneamente.
Anche se così sembra, ciò non corrisponde esattamente al vero, come “timidamente dimostrato” da alcuni neuroscienziati (specialmente se uomini e sposati).
Infatti tale impressione effimera deriva dal fatto che esse siano obbligate automaticamente a rispondere ad ogni tipo di stimolo, a differenza dell’uomo che pare essere quasi del tutto refrattario ad ogni sollecitazione esterna.
Ciò però non significa, come normalmente si crede e sostiene, che esse possano elaborare e concludere correttamente più processi contemporaneamente in modo coerente e cosciente.
Infatti nel cervello maschile gli impulsi in entrata vengono elaborati preferenzialmente in un emisfero e possono essere collegati all’altro emisfero quasi esclusivamente, o in subordine, solo in modo cosciente e volontario. Quindi gli altri impulsi concomitanti devono attendere il loro turno per essere elaborati e giungere a realizzazione.
Nel cervello femminile, invece, gli impulsi in entrata vengono elaborati contemporaneamente nei due emisferi senza soluzione di priorità e senza barriere al sopraggiungere di altri impulsi. Quindi tutti i processi elaborativi possono proseguire nello stesso tempo; tuttavia, anche in questo caso, non possono che realizzarsi uno alla volta.
L’esempio più efficace di un simile modo di funzionare è la produzione di un nuovo essere umano. Lo stimolo iniziale dura solo pochi secondi mentre la gestazione dura circa nove mesi. In tale periodo il processo prosegue in modo automatico, quasi sempre senza disturbare la possibilità di svolgere altri compiti.
Pur essendo possibile intervenire in tale processo per ragioni di salute del nascituro, tutto ciò sembra poter avvenire “solo per interventi dall’esterno”, ovvero senza interventi dall’interno delle dirette interessate.
Un caso emblematico di cosa significhi tutto questo quando le cose dall’interno, gestito automaticamente, passano all’esterno, gestito coscientemente e volontariamente, si verifica nel caso della “sindrome del terzo giorno” o della “depressione post parto” per cui a volte il nuovo nato viene rifiutato, essendo riconosciuto come elemento estraneo e aggiunto continuamente ad ogni altra attività quotidiana, impedendone il normale svolgimento.
Tuttavia non è che l’uomo abbia molto da sorridere a fronte di quanto riportato.
Infatti, non appena il nuovo nato si presenterà sullo scenario familiare, il suo “unico neurone universalmente riconosciuto come possibile soggetto pensante”, avrà il suo bel daffare per rispondere alle varie contemporanee sollecitazioni “provenienti dall’esterno”.
L’elaborazione di tali sollecitazioni richiedono, come abbiamo precedentemente riportato, una connessione, cosciente e responsabile, tra le due parti cerebrali per rispondere coerentemente alle richieste e aspettative femminili riguardo alla risoluzione delle necessità familiari senza perdere la bussola e andare in “overloop”, perdendosi in interpretazioni pescate a caso nei meandri della proprie circonvoluzioni cerebrali.
Potrebbe bastare; ma, visto che i preconcetti sono duri a morire, cito un’altra particolarità passata nel dimenticatoio per ragioni di “politically correct”.
Le donne non avrebbero teoricamente bisogno di alcun uomo, ma essendosene accorte, e non potendone sopportare le conseguenze in termini di carico e responsabilità, si sono inventate l’uomo (in un articolo precedente ho evidenziato come gli embrioni umani siano inizialmente caratterizzati in modo prevalentemente femminile).
Perché?
Semplice!
Perché, pur potendo iniziare ed elaborare contemporaneamente una quantità infinita di cose, anche loro, come il padreterno (ricordate che per fare il mondo ci ha messo sette giorni? – vabbè, forse anche in questo caso a causa del suo essere maschio; sicuramente se fosse stato femmina ci avrebbe messo di meno) non possono che concluderne una per volta.
Ed una per volta, significa che tutti la possono vedere e giudicare.
Significa esserne responsabili e doverne essere responsabili direttamente.
Meglio quindi che sia un altro a prendersi in carico quella parte!
E poiché chi fa sbaglia,
indovinate un po’ chi ha sempre ragione e chi sempre torto?
Se ancora non bastasse, in proposito ricordo che le guerre sono state perpetrate e la società è stata sì costruita dagli uomini, ma per rispondere alle necessità di sopravvivenza della famiglia e della prole (aspettativa specialmente evidente nella donna) senza che entrambi potessero ancora o sufficientemente (per via delle elaborazioni cerebrali limitate o automatiche) rendersi conto delle conseguenze, o effetti collaterali, che la soddisfazione di tali esigenze potevano produrre.
Io stesso avevo ancora dubbi rispetto alla effettiva presenza di questo meccanismo, ed anche remore psicologiche sull’opportunità di evidenziarlo, ma essi mi sono stati fugati involontariamente proprio da una donna.
Durante una conferenza si stava riflettendo circa le modalità con cui tentare di sfuggire al proprio destino automatico, artefice e conseguenza del nostro modo di comportarci.
“Il mio maestro usa questo esempio in proposito – disse -: se lanci una pallina contro un muro essa rimbalzerà e facilmente ti colpirà; quindi occorre coscientemente operare per poter schivare la conseguenza di tale azione”.
Peccato che le cose non funzionino proprio così.
Infatti se si schiva la pallina essa non si fermerà e potrà colpire qualcun altro alle nostre spalle senza che noi ce ne accorgiamo. Tuttavia colui che riceve in faccia la pallina al nostro posto, non ne sarà contento e la sua reazione potrebbe coinvolgerci anche a distanza di tempo. Noi, che intanto ci siamo dimenticati del fatto, il giorno che riceveremo un pugno in faccia dal tizio, ci chiederemo: “perché proprio a noi?”
Oppure spostando la testa, per evitare di prendere in faccia la pallina, concentrati nel tentativo di schivare il rimbalzo, urteremo contro un ostacolo che non potevamo vedere, di cui non ci eravamo accorti.
Oppure avremo offeso la pallina (?!?!?) o dato il colpo finale alla stabilità del muro contro cui l’abbiamo lanciata e non sappiamo bene cosa ne conseguirà.
Neppure riprendere al balzo la pallina, bloccandola nella nostra mano, chiuderà certamente il cerchio tra azione e reazione. L’energia residua bloccata si deve disperdere in qualche modo e nessuno sa ancora bene come (ma sicuramente, almeno in parte, nel nostro stesso corpo).
Resta aperta la conseguenza di ciò che ci ha spinto a fare quell’azione apparentemente innocente e senza conseguenze.
E quindi come se ne esce?
Probabilmente lasciando che il cerchio si chiuda come previsto in se stesso quale conseguenza dell’azione eseguita; potrebbe accadere per esempio che la pallina rimbalzando ci colpisca in faccia, svegliandoci temporaneamente dal nostro estatico torpore autocontemplativo e coscienza autoreferenziata, facendo in modo di “illuminarci direttamente” al riguardo.
Ma non è detto che una sola volta basti!
Senza offesa e discriminazione per nessun cervello, femminile o maschile che sia!
Schema e testo
Pietro Cartella
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