La domanda più importante che un essere umano possa rivolgere a se stesso probabilmente è: «Sto vivendo la mia vita secondo la mia vera natura, in maniera stabilmente appagante, secondo il mio reale modo di essere?»
Qual è dunque la vera identità umana e perché dubitiamo che molti non vivano la propria vita in accordo con essa? Esistono forse altre identità? È forse possibile vivere un’intera esistenza che non ci appartenga veramente, magari senza neppur rendercene conto?
Ciò che constatiamo in continuazione, nella nostra vita di esseri umani, è la tendenza a ricercare, perseguire e tentare di riprodurre senza soluzione di continuità condizioni di sicurezza, di certezza e di stabilità, in qualsivoglia aspetto dell’esistenza. La mancanza di queste condizioni produce normalmente un senso di precarietà, d’insoddisfazione, la sensazione che ci sia sempre un vuoto da colmare o, in taluni casi, che si sia costantemente in pericolo.
Di conseguenza s’intraprendono costantemente sforzi volti a riprodurre il più possibile questa condizione di stabilità della quale si sente così profondamente la mancanza, quasi fosse una sorta di ‘vuoto nostalgico’.
Strutturalmente coinvolto e condizionato com’è dall’istinto di conservazione e dalla necessità della sopravvivenza, l’essere umano tenta incessantemente di calmierare questa sensazione di precarietà seguendo l’impulso dei suoi desideri, interessi e vantaggi personali, in qualunque ambito li si voglia situare.
Un tale essere si ritrova, dunque, a vivere pienamente identificato con un’esistenza che tiene conto unicamente dei bisogni ed interessi egocentrici (cioè rivolti verso la propria persona), un’esistenza che si conforma alle convenzioni dettate dal suo ambiente sociale, al conseguimento di potere, di considerazione e di riconoscenza nella forma imposta da queste convenzioni. Impiega le sue migliori energie nella ricerca della ricchezza, nella carriera, nell’ottenimento del consenso sociale, fino ad arrivare ad identificarsi completamente con questi sforzi e a scambiare gli eventuali successi o insuccessi personali come aspetti reali del suo proprio modo di essere, come l’espressione della sua vera identità.
In tal modo imbastisce una pseudoidentità, formata dai suoi desideri, interessi e compromessi egocentrici e basata sulle sue abitudini di sopravvivenza, con la quale è pienamente identificato.
Tuttavia, pur impostando su questi presupposti tutte le istanze della vita che lo riguardano, l’essere umano si ritrova a fare continuamente i conti con la mutevolezza inesorabile di ogni aspetto dell’esistenza, di ogni fenomeno che si ritrova a vivere, di ogni avvenimento di cui è protagonista. Prima o poi, ogni sforzo intrapreso verso un obiettivo, finisce per svanire come una bolla di sapone, sulla base del principio del “nascere, brillare e sparire”, principio fondamentale sul quale poggiano le basi strutturali della forma di esistenza che conosciamo. Esistenza comunque destinata, ad un dato momento, a finire e a trasformarsi in qualcos’altro a noi sconosciuto, fenomeno a tutti ben noto con il nome di “morte”.
Ma proprio per via di questa costante mutevolezza di ogni aspetto dell’esistenza, di questa caratteristica strutturale della vita a noi conosciuta, gli esseri umani hanno la possibilità, giunto il momento opportuno, di aprirsi a una particolare sensibilità, con l’ausilio della quale ci si ritrova finalmente a nutrire dubbi sulle caratteristiche di questa pseudoidentità, di questa pseudoesistenza.
La mancanza nostalgica, il vuoto di cui parlavamo in apertura, assume a questo punto, la forma di un’assenza che potremmo definire fondamentale.
«Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.»
recitava il sommo Vate (Inferno, I canto, vv.1-3).
Sulla spinta di questa nuova sensibilità, la sensazione che la vera identità umana possa essere un’altra si fa strada interiormente e con insistenza sempre maggiore, a tal punto da non poter più essere ignorata: nasce l’intuizione che possa esistere un presupposto diverso su cui vivere la vita.
Man mano che questo processo si dispiega, la consapevolezza di una natura autentica, di un’identità, per così dire, ancestrale, perde gradualmente la sua connotazione di sensazione vaga, per assumere progressivamente, ma inesorabilmente una forma di certezza interiore.
L’anelito, così umano, verso il proprio ‘vero essere’ è ora maturo per diventare una costante di vita. Da questo momento psicologico in poi non potrà più essere ignorato, se non a prezzo di profonde disarmonie, con le loro relative conseguenze.
Trovandosi in questo stato, la risposta alle famose domande della Sfinge:
- Chi sono?
- Da dove vengo?
- Dove vado?
non può più essere lasciata ulteriormente in sospeso.
Il percorso di vita arriva ora ad una svolta fondamentale, nella quale cambia sostanzialmente e strutturalmente di direzione. L’urgenza di comprendere la propria vera natura e quella del mondo in cui vive, sprona ora l’essere umano, giunto a questo punto del percorso di vita, a ricercare costantemente le risposte esistenziali in conformità a questo suo nuovo anelito interiore, un impulso che trae origine dal ricordo intuitivo di una condizione armoniosa, beatifica, conosciuta in un passato ancestrale, la cui reminiscenza si risveglia ora nel suo essere interiore come una sorta di ‘pre-ricordo’.
Il primo gradino della scala settemplice che conduce alla conoscenza del vero Sé e alla comprensione reale del mondo in cui ci si trova a vivere è ora raggiunto. Colui o colei che arriva a questo punto non si trova più impegnato/a in un’analisi intellettuale, ma, sulla base di questo pre-ricordo, vive il riconoscimento di un impulso intuitivo che dal cuore si espande direttamente fino alla sua coscienza.
Nel momento in cui ci si rende integralmente ed incondizionatamente disponibili ad ascoltare le suggestioni provenienti dal pre-ricordo, si intuisce di essere destinati, in qualità di esseri umani, ad un ordine di vita superiore, che si colloca ben oltre il mero piano della sopravvivenza quotidiana. Il ricordo del mondo spirituale, di cui ogni essere umano è emanazione diretta, rimasto per tempo immemore profondamente sopito nei meandri interiori più reconditi, si risveglia.
Alla luce di questo nuovo sapere interiore, i propri pensieri ed opinioni personali appaiono ora particolarmente limitati. Sciogliere tali convinzioni limitate, apporta libertà e spazio intimo e abbassa sensibilmente il grado di tensione interna. La mente conferma ed esprime le nuove esperienze alle quali partecipa, ma di cui non è più essa la causa.
Un tale essere comprende ora che la vita umana, la sua stessa vita, è importante nel contesto dello sviluppo del mondo e dell’umanità. Ogni sviluppo cosmico umano ha, come base, le leggi e le forze del Mondo spirituale. Pertanto, esse agiscono anche in ogni creatura, in quanto essere spirituale. Egli apprende ora a riconoscere la caratteristica e l’azione di tali leggi in se stesso, negli altri e negli avvenimenti del mondo.
Affiora anche l’Intuizione di essere un pensiero-germoglio, sorto dall’idea del Grande Architetto degli Universi, che desidera esprimersi e svilupparsi autonomamente. Cresce e matura sempre più la decisione di liberarsi dalla ragnatela nella quale ci si trova impigliati, che viene percepita ora, per esperienza personale di prima mano, come il più grande impedimento alla realizzazione di tale anelito.
Egli comprende come l’essere umano, quale espressione del pensiero universale, abbia un compito e una responsabilità, non solo verso se stesso, ma anche verso l’evoluzione del mondo e dell’umanità.
E, contemporaneamente, egli prende coscienza dello stato attuale in cui versa l’umanità: invece di collaborare responsabilmente allo sviluppo spirituale del mondo, una gran parte di esseri umani ha intrapreso il cammino che conduce sempre più profondamente a identificarsi con uno stato della materia. Si osserva che il mondo non sta evolvendo verso la pienezza interiore dello Spirito, anzi! …il mondo parrebbe dare sempre maggiore importanza e valore a tutto ciò che dello Spirito è privo.
Una forte dicotomia viene ora percepita interiormente, da un tale essere, sotto forma di veemente disarmonia, sempre più intollerabile. Egli comprende che le strutture di linee di forza creatrici, da alcuni definite il ’Verbo divino’, sono alla base d’ogni forma di vita e che la vivificazione di esse dall’interno, alla stessa stregua dell’informazione creatrice invisibile presente nel seme, fa sorgere da sé la pianta spirituale visibile. La conoscenza del mondo e delle sue dinamiche si fa sempre più precisa, in quanto sempre più chiare appaiono le cause di tutto quanto avviene.
Salendo dal suo cuore, la comprensione della sua nuova posizione e del suo nuovo compito nel mondo lo spingono ad azioni di nuova ispirazione, mai realizzate in precedenza.
Prendendo coscienza del fine reale della vita, egli comincia a vedere sempre più chiaramente gli ostacoli disseminati sul percorso verso questa meta e non si fa più ingannare.
Se un essere umano anela autenticamente alla vita nello Spirito e agisce coerentemente con tale anelito, senza desistere, allora gradualmente scioglierà la rete di conflitti, paure e illusioni che lo mantengono prigioniero.
Nel suo interiore nascono di conseguenza un’armonia ed una libertà del tutto nuove, in quanto si troverà svincolato intimamente dai vari legami col mondo, che sono stati prerogativa di gran parte della sua vita fino a questo momento.
La vita respira finalmente un senso nuovamente veritiero. La risposta alla nostra domanda iniziale non è più un’astrazione, ma è divenuta ora vera vita realizzata.
luca rosso