La verità oscurata da un buonismo cialtrone
Nei giorni scorsi sulla scia della scena, non di certo edificante, di Ilaria Salis incatenata e trascinata in aula alla seconda udienza del processo che si è tenuto a Budapest, si sono ripetuti i dibattiti televisivi, anche alla presenza di suo padre. Gli esponenti del PD non hanno perso occasione per attaccare il nostro governo, ignorando che il caso è all’esame della magistratura magiara e che ogni Paese osserva ed applica le proprie leggi.
A prescindere dall’emotività e dalla semplificazione del caso giudiziario, così come ci viene presentato, è bene risalire, per potersi orientare, ai comportamenti tenuti dalla Salis a Budapest ed oggetto del giudizio in corso. Ilaria Salis, 39 anni, insegnante in una scuola elementare di Monza, è attualmente detenuta in Ungheria dal febbraio 2023. È accusata di far parte di un gruppo tedesco noto come Hammerbande, che mira a individuare e aggredire individui nazifascisti uno per uno.
La prima responsabilità della maestra di Monza, orgogliosamente ammessa, è quella di aver aderito e partecipato ad una sorta di “safari” antifascista il cui unico obbiettivo era aggredire e bastonare i militanti di estrema destra ritrovatisi a Budapest l’11 febbraio 2023 per il cosiddetto “Giorno dell’Onore”.
Un conto è condannare le celebrazioni delle truppe naziste cadute sotto i colpi dei sovietici nel 1945, un’altra, assai meno innocente, è accompagnarsi a chi punta a massacrare di botte chi vi partecipa.
A tutto ciò s’aggiunge l’aggravante, non indifferente, di esser stata fermata dalla polizia ungherese mentre condivideva un taxi assieme a due militanti tedeschi della cosiddetta “Banda del Martello”. Il gruppo, per quanto sconosciuto in Italia, è tristemente famoso in Germania per le decine di aggressioni ai danni dei militanti di estrema destra messe a segno dal 2018 in poi.
La Salis rischia fino a 24 anni di carcere, con la Procura che ha chiesto 11 anni per lei. Non a caso dopo il suo arresto e dei due militanti tedeschi – e la successiva segnalazione alle autorità di Berlino delle gravi aggressioni succedutesi a Budapest – la giustizia tedesca si è immediatamente mossa. Nei giorni successivi la polizia di Dresda ha individuato ed arrestato Lina Engel, indicata come la leader della Banda del Martello, e altri quattro militanti dell’estrema sinistra. E a giugno 2023, dopo 97 giorni di processo, un tribunale di Dresda ha condannato a cinque anni e tre mesi Lina Engel e a pene minori i suoi quattro complici.
Tutti e cinque i colpevoli sono stati indicati dai giudici come i membri di “organizzazione criminale” responsabile di “pericolosi assalti” alle persone. Una sentenza estremamente chiara emessa da un tribunale tedesco non sospettabile di sudditanza nei confronti del governo di Viktor Orban o della magistratura magiara.
Ora, per quanto nessuna delle analoghe accuse rivolte alla nostra connazionale sia stata ancora provata, è chiaro che certe frequentazioni non giovano alla sua reputazione. Anche perchè il suo fermo in compagnia di due membri di quella “banda criminale” tedesca è arrivato dopo i quattro attacchi susseguitisi a Budapest tra giovedì 9 febbraio 2023 e la notte del giorno successivo.
La Salis fin qui è stata scagionata per i primi due in quanto non era ancora arrivata nella capitale ungherese. I sospetti e le accuse per una presunta partecipazione agli altri due episodi di violenza però permangono. E a render più gravi i sospetti s’aggiunge il fatto che al momento del fermo la polizia le abbia trovato addosso un manganello retrattile dello stesso tipo di quello usato in alcune delle aggressioni. La Salis ha giustificato il possesso di quell’arma impropria sostenendo di essersela messa in tasca per autodifesa. Ma autodifesa da chi?
Evidentemente la necessità di girare armata di manganello rispondeva a ragioni diverse da quelle di una semplice escursione turistica. Ragioni sufficienti a immaginare una Salis ben diversa dall’agnellino mansueto descritto da una sinistra pronta a beatificarla e liberarla grazie all’elezione al Parlamento Europeo, di cui si sta discutendo.
La famiglia di Salis ha denunciato le condizioni in carcere, affermando che mancavano elementi essenziali come carta igienica, sapone e assorbenti, e che i letti erano infestati da cimici. Le richieste di chiarimento dei giudici italiani non hanno ancora ricevuto risposta da parte delle autorità ungheresi.
Il padre di Ilaria ha scritto una lettera al capo dello Stato. Il presidente della Repubblica gli ha prontamente telefonato, assicurandolo che farà quanto è nelle sue possibilità, che non sono ampie sul piano operativo e passano attraverso il governo.
Questo caso è stato preceduto, nel corso degli anni, da altri con esiti anche nefasti. Per onestà intellettuale coloro che intendono recarsi in un altro Stato per compiere azioni di protesta politica, dovrebbero quanto meno informarsi sulla legislazione vigente e sulle conseguenze cui potrebbero incorrere.
Perché i casi sono due. O, nell’emulazione degli anarchici dell’800 ci si vuole immolare per affermare un principio, allora si accettano supinamente le conseguenze, senza invocare clemenza e solidarietà.
Nell’altro caso appare poco coerente e dignitoso affrontare la situazione con leggerezza, compiere reati, per poi invocare il sostegno del governo del proprio Paese che oltretutto non si ritiene amico, per tornarsene a casa, sottraendosi alle conseguenze e responsabilità.
Dove sta la coerenza dei nostri politici di sinistra che pur godendo di ampie informazioni anche di fonte diplomatica, nei fatti sono sempre più sodali del “compagno/a che sbaglia”?