L’analisi del Censis: “Fuga dall’Italia, trasformata in un paese di sonnambuli”
Serbar memoria dovrebbe rappresentare la virtù di chi ricorda o che ancor più saggiamente si documenta. Se per il momento ci limitiamo a Torino, stiamo vivendo un periodo assai complicato e sconcertante.
La memoria ci riporta alla capitale del lavoro, con il sindacato ed il maggior partito della sinistra, protesi a scendere in piazza per difendere l’occupazione. Memorabili sono state le mobilitazioni e le vertenze, sin dagli anni ’60 del secolo scorso, anche se talune poco fortunate, contro lo smobilizzo degli stabilimenti del Cotonificio Valle di Susa, della Venchi Unica, della Singer, tanto per citare le principali.
Battaglie e mobilitazioni che si tramandavano nel tempo, quale esempio dell’impegno costante del sindacato alla difesa del lavoro, delle fabbriche, da cui partiva l’ascensore sociale. Il consolidarsi a Torino di famiglie di immigrati provenienti dal sud d’Italia che, tolte da povertà ed arretratezza, apprezzavano cosa significasse poter guardare al futuro, indebitarsi con la certezza che a Torino il posto di lavoro rappresentava una costante, si tramandava da padre in figlio e l’agiatezza li avrebbe accompagnati anche nella vecchiaia. Tutto ruotava intorno a quella che potremo definire la civiltà del Lavoro.
Poi a metà degli anni ’70 il sindacato cambiò rotta e contagiò i governi. L’occupazione, nella loro azione, non poteva più espandersi nelle aree forti e si imbastirono vertenze anche dure, non per dare sostegni economici e normativi ai lavoratori, ma per ridurre la produzione al nord. Le grandi aziende con il concorso generoso dei governi, ma pagato dai cittadini, hanno dislocato le produzioni al Sud e le conseguenza logiche per le zone dismesse al Nord, passava in secondo piano.
Si spesero miliardi di soldi pubblici, per costruire cattedrali nel deserto, in aree ove mancavano strade, ferrovie ed infrastrutture ed anche popolazione attiva, per attingere forza lavoro.
Con il senno di poi non si favorì lo sviluppo del sud, né tanto meno l’economia italiana. I governi rinunciarono a privilegiare l’espansione del Turismo, con la dotazione di infrastrutture indispensabili, come invece fecero saggiamente Francia e Spagna. Argomento che meriterà ampie trattazioni.
Saltando qualche decennio, cos’è successo? La figura dell’imprenditorie legato alla sua azienda produttiva, è stata sostituita da uomini di finanza e anche a Torino, s’è diradato l’impegno e l’etica del lavoro. Nel desolante menù sono subentrate le dislocazioni all’estero e le cessioni di stabilimenti a vantaggio della globalizzazione più selvaggia.
L’esagitato Landini sbraita sulle piazze contro il presidente del consiglio, trasporta a Roma migliaia di pensionati che godono ancora dei vantaggi di tanti anni di copertura assicurativa e di pensione certa e di fatto sono estranei ai cambiamenti sociali in corso.
Dal palco risuonano le critiche feroci verso le mancate politiche di sviluppo.
I portavoce sindacali si cimentano ancora una volta in letture dai toni forti, per puro esibizionismo, mentre si perde il contatto con la realtà
Chi vive invece nella società reale glissa, lasciando la banda passare, per affrontare i patemi e le preoccupazioni del vivere quotidiano.
Suona sguaiato l’annuncio pubblico da parte dei vertici di quella che era un emblema della Torino che lavora, anche nel nome: Fabbrica Italiana Automobili Torino, ceduta a una multinazionale priva di legami con il territorio che mentre apre stabilimenti ed assunzioni in altri Paesi, a Torino annuncia la generosa offerta economica rivolta a migliaia di dipendenti per incentivare l’uscita dall’azienda.
Reazioni?
Non interviene il sindacato, nè gli amichetti torinesi di Soumahoro in tutt’altre faccende affaccendati. Nè tantomeno il sindaco Lo Russo, tutto preso a difesa di un ambientalismo ideologico che prescinde dall’uomo ed ove auto, industria e manifatturiero sono considerati nemici da abbattere. L’idolo del momento è rappresentato dall’intelligenza artificiale. L’unica voce di dissenso l’ha elevata l’Arcivescovo Roberto Repole, rimasta purtroppo senza risposta.
Ma a prescindere dall’ inconsistenza di partiti e sindacati come sta reagendo l’opinione pubblica e non solo a Torino?
Abbiamo trovato, almeno in parte, la risposta assai sconcertante.
Ogni anno il rapporto del Censis, il Centro Studi Investimenti Sociali che da più di 50 anni svolge una costante e articolata attività di ricerca, consulenza e assistenza tecnica in campo socio-economico, ci fa capire a che punto siamo come sistema Paese. I dati presentati nei giorni scorsi da Giuseppe De Rita, il fondatore, e da Massimiliano Valeri, direttore generale, sono da allarme rosso: l’Italia ormai è un paese di sonnambuli. i cittadini sono preda di ‘scosse emozionali’, sempre di più quelli che fuggono all’estero.
Sono circa sei milioni gli italiani, che non consideriamo azzardato definire i più consapevoli che risiedono all’estero, un fenomeno in crescita ogni anno che coinvolge soprattutto i nostri giovani. Solo nell’ultimo anno le iscrizioni per l’espatrio sono state 82mila da parte di italiani con età tra i 18 e i 34 anni.
Altro dato è il crollo dei matrimoni, passati dai 246mila celebrati nel 2008 ai 180mila del 2021, mentre sono un milione e seicentomila le famiglie costituite da coppie non coniugate.
L’Italia è sempre più vecchia, la popolazione tra i 18 e i 34 anni oggi tocca quota 10milioni, mentre nel 2003 superava i 13 milioni di individui. Con questo trend, lancia l’allarme il Censis, nel 2050 i 18-34 enni saranno poco più di 8milioni, appena il 15 per cento della popolazione.
Alla fine, magra consolazione, gli italiani sembrano ripiegare su quelli che vengono definiti ‘desideri minori’, non più con lo sguardo al futuro ma nell’affannosa ricerca di ‘pezzi’ di benessere e piaceri quotidiani.
Altro cambio di modello la considerazione del lavoro: per l’83 per cento degli occupati mettere il lavoro al centro della vita è un errore, non si tratta di rifiuto del lavoro in sè, precisa il Censis, ma un suo declassamento nella gerarchia dei valori esistenziali. Cresce anche il desiderio quotidiano di momenti da dedicare a sé stessi, mentre addirittura il 94 per cento rivaluta la felicità derivante dalle piccole cose di ogni giorno, il tempo libero, gli hobby, le passioni personali.
Ma quale futuro stanno disegnando questi giovani?
Quante manipolazioni vediamo all’orizzonte ad opera dei falchi delle multinazionali del clima e del loisir che finanziando giornali e manifestazioni di piazza e pretendono di imporci un modo alternativo di pensare e di vivere!
Si esalta il falso mito del momentaneo benessere, della decrescita e dell’ambientalismo più becero. Valori e messaggi che poggiano sul nulla e che non potranno durare a lungo. Chi sarà ancora in grado di reagire?
Francesco Rossa – Editorialista
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