
Martedì 11 febbraio la presidente della Banca centrale Europea, Christine Lagarde, è intervenuta dinanzi all’Assemblea plenaria del Parlamento europeo per illustrare l’operato suo e della banca che presiede e per fornire un quadro dell’economia continentale vista da quell’istituzione monetaria.
La relazione è stata approvata con 378 voti a favore, 233 contrari e 26 astensioni ma, al di là del consistente numero di parlamentari che non l’hanno condivisa, i media italiani hanno sorvolato sulla parte in cui l’Europarlamento ha criticato la politica monetaria della BCE nella parte in cui essa ha sottovalutato negli anni scorsi la crescita dell’inflazione, ritenendola occasionale e transitoria.
La relazione per molti versi non si discosta dalla solita omelia sulle sfide epocali, sulla necessità di più coesione fra gli stati, sulla volatilità del futuro, sulla necessità di idee nuove e innovative in campo infrastrutturale, digitale, ricerca e sviluppo e -naturalmente- implementazione delle tecnologie verdi.
Ha espresso preoccupazione per le misure protezionistiche promesse da Donald Trump, ma ha omesso fortunatamente di parlare degli investimenti militari auspicati da Mario Draghi nel suo famoso rapporto sulla competitività europea dell’autunno scorso.
L’articolo 130 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) recita testualmente: “Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo”.
Si tratta di un principio fondamentale per ogni banca centrale: l’assoluta indipendenza da ogni potere esterno. Non si capisce pertanto lo strano rapporto col Parlamento europeo in cui vengono dati reciprocamente pareri, consigli e istruzioni e, in particolare, da parte della BCE l’indicazione su quali politiche economiche -e in quali settori- dovrebbe operare l’Unione, con un’evidente e decisa spintarella, fra le altre, per l’opzione green.
Ma, a parte questo dettaglio di stile, la BCE e la sua interlocutrice politica, l’Unione europea, sembrano non aver ancora ben compreso quali siano di preciso i loro obiettivi e, soprattutto, i limiti di questi obiettivi alla luce di quanto generalmente prescrive la politica economica.
Potremmo porci una domanda molto primitiva ma fondamentale: in che misura i governi e le loro politiche sono in grado oggi di governare l’andamento di un sistema economico? E, in particolare, quanto sono governabili sistemi economici profondamente interconnessi in un sistema globalizzato dove -per riprendere il noto butterfly effect di Edward Lorenz- il battito d’ali di una farfalla a Hong Kong può scatenare un uragano nei Caraibi?
Fuor di metafora, va considerato che le dimensioni e l’intensità dei flussi reali e finanziari nel mondo sono ormai gigantesche e ignorano sfacciatamente i confini delle nazioni e gli sforzi dei loro governi per controllarli. Si pensi solo alla massa incredibile di attività finanziarie che sovrastano più volte quello che è il prodotto reale dell’intero pianeta e viene valutata in centinaia di trilioni di dollari (i fantastiliardi dei fumetti), ed è costituita in gran parte da prodotti finanziari sintetici che non hanno nessun riferimento a beni reali. Una bolla planetaria che può sgonfiarsi in qualunque momento, anche per eventi locali di modesta entità.
Si pensi alle crisi politiche del mondo multipolare che rischiano ogni giorno di innescare eventi bellici incontrollabili con conseguenze economiche ugualmente incontrollabili, come accaduto in Ucraina; situazione che ha messo in ginocchio l’Europa anche a causa delle demenziali sanzioni contro la Russia, con il taglio nell’offerta dei suoi prodotti energetici, decisamente economici, e la conseguente impennata dei relativi prezzi.
Si pensi a un’altra follia: l’ideologia verde che sta distruggendo l’industria automobilistica e tutto il suo enorme indotto a livello continentale, partendo da una Germania che fino a poco tempo fa era il simbolo stesso della solidità economica e produttiva.
E si pensi infine a un Donald Trump che ha sfondato ogni recinto del perbenismo politico ed economico e minaccia di sovvertire, con le sue annunciate politiche protezionistiche, un assetto del commercio internazionale consolidato da tempo, con conseguenze del tutto imprevedibili.
Di fronte a tutto ciò (e abbiamo citato solo poche cose) il minuetto fra BCE ed Europarlamento appare surreale come un ballo sul Titanic. E’ verissimo che l’inflazione va combattuta, ma perseguire testardamente un obiettivo del 2% nel lungo periodo, nelle condizioni sopra illustrate, è come tentare di abbassare la temperatura del pianeta di un grado e mezzo entro il 2050 (esempio scelto non a caso), o far nevicare la prossima notte di Natale per la gioia dei bambini.
Soprattutto se gli attrezzi della BCE sono vecchi e in parte spuntati, come quelli classici di politica monetaria. Abbiamo già detto in passato che combattere un’inflazione da costi in buona parte generata dalle importazioni di materie prime, soprattutto di carattere energetico, o causata da un calo di produttività industriale, tramite il solito quantitative easing -il famoso whatever il takes di Draghi- cioè il movimento dei tassi di interesse, appare piuttosto opinabile, per non dire altro.
Sulla base di queste considerazioni, il Parlamento europeo, nella riunione di martedì scorso, ha giustamente bacchettato la Lagarde per non aver saputo contrastare efficacemente l’inflazione europea, ma -diciamo noi- non per mancanza di energia, bensì per non averne compresa la natura. Combattere l’inflazione in tempi non ordinari con strumenti ordinari è, appunto, un errore. È chiaro che una banca centrale ha a disposizione solo strumenti monetari, ma a questo punto sarebbe necessario che la lotta all’inflazione fosse condotta anche dalle altre autorità di politica economica (Ue, governi nazionali, sistemi bancari, sindacati) con una concertazione che recuperi anche gli strumenti della politica di bilancio, di quella fiscale, di quella industriale, di quella valutaria.
Altrimenti si rischia di fare la fine della nobile cavalleria polacca che attaccava al galoppo i panzer tedeschi nel 1939.
Civico20News
Elio Ambrogio
Editorialista
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