
La prima riflessione che dovremmo affrontare, per fare alcune ipotesi sul nostro futuro, è quella di comprendere quali siano le dinamiche in gioco e soprattutto le cosiddette variabili.
Dal 1972 il Club di Roma propone delle analisi accurate sulle potenzialità offerte dal nostro pianeta per valutare l’andamento del rapporto popolazione/risorse disponibili.
Si tratta dello studio, ”I limiti dello sviluppo”, pubblicato nel 1972 da Donella Meadows, Dennis Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens, in una prima edizione e aggiornato di recente.
Il rapporto, basato sulla simulazione al computer predice le conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana.
Le conclusioni, indubbiamente preoccupanti prospettano un futuro tutt’altro che roseo: se si dovesse mantenere l’attuale tasso di crescita della popolazione, della produzione alimentare, dell’inquinamento e dell’industrializzazione e se lo sfruttamento delle risorse risulterà inalterato nel tempo, verrà raggiunto, nei prossimi cento anni, un punto critico che determinerà un declino improvviso, incontrollabile, della popolazione e della capacità industriale.
Secondo questo rapporto, mal contati, ci resterebbero ancora da vivere circa cinquant’anni prima del collasso finale.
Nel 1992 è stato pubblicato un primo aggiornamento del Rapporto, col titolo “Oltre i limiti”, nel quale si sosteneva che erano già stati ampiamente superati i limiti potenziali di carico del pianeta.
Successivamente vennero pubblicati altri aggiornamenti, l’ultimo dei quali, nel 2008, a cura di Graham Turner, del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) Australiano: «Un paragone tra i limiti dello sviluppo e 30 anni di dati reali», in cui l’Autore ha confrontato i dati degli ultimi 30 anni con le previsioni effettuate nel 1972.
La conclusione conferma che i mutamenti nella produzione industriale e agricola, nella popolazione e nell’inquinamento effettivamente avvenuti sono coerenti con le previsioni del 1972.
Il tutto è coerente con la previsione di un collasso generale, che avverrebbe nel XXI secolo.
I punti che sono stati presi in considerazione per elaborare il rapporto riguardano i seguenti aspetti.
- Crisi delle risorse non rinnovabili
- Crisi da inquinamento
- Crisi alimentare
- Crisi da erosione
- Crisi multipla
- Crisi da costi
- Programmazione familiare
- Moderazione degli stili di vita
- Utilizzo più efficiente delle risorse naturali
- Tempestività
Senza entrare nel dettaglio di ogni specifico punto, ci soffermeremo solo su alcune semplici considerazioni:
l’impronta ecologica ha iniziato intorno al 1980 a superare la capacità di carico della Terra e la supera attualmente del 20%.
Le risorse della Terra non sono infinite (terra coltivabile, acqua dolce, petrolio, gas naturale, carbone, minerali, metalli, ecc.) e vi sono anche dei limiti da considerare, dovuti allo smaltimento dei rifiuti.
Inoltre la crescita della popolazione e della produzione industriale comporta sia il consumo delle risorse, sia l’inquinamento.
Quello che preoccupa di più è la rapidità con la quale aumentano gli aspetti critici sopracitati.
Storicamente altre “rivoluzioni” si sono verificate ma in periodi estremamente lunghi; come la rivoluzione agricola, che vide i nomadi del mesolitico insediarsi inventando l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, dando vita al neolitico e la rivoluzione industriale, che risolse i timori di Thomas Malthus sulla sovrappopolazione grazie a un enorme sviluppo della produttività.
Osservando il problema da un punto di vista politico-economico emerge una curiosa considerazione legata alle differenze sociali, relative al potere d’acquisto individuale: ricchezze eccessive inducono comunque un consumo importante delle risorse naturali e un crescente inquinamento, mentre una povertà diffusa esporrebbe il pianeta al peso insostenibile di una crescita esponenziale della popolazione.
In sintesi gli Autori di questi studi sostengono che si debba accettare l’idea della limitatezza delle risorse della terra, che è necessario intraprendere più azioni coordinate per gestire tale finitezza e che gli effetti negativi dei limiti dello sviluppo rischiano di diventare tanto più pesanti quanto più tardi si agirà.
Tutto abbastanza accettabile e comprensibile.
Tuttavia nello studio non si considerano limiti “sociali” quali guerre, scioperi, lotte per il potere, conflitti etnici, corruzione, uso di droghe, criminalità, terrorismo.
Non sono neppure contemplati eventi catastrofici imprevedibili quali inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, incidenti nucleari, pandemie.
Il modello è un esempio ideale molto semplificato di una evoluzione che conduce inevitabilmente alla catastrofe: probabilmente le categorie non considerate andrebbero valutate come una sorta di catalizzatori che potrebbero accelerare e anticipare il punto di crisi.
Gli Autori propongono una “medicina utopistica” per risolvere il problema: per raggiungere uno stato di equilibrio accettabile vi è le necessità di poter soddisfare le esigenze di ciascuna persona sulla terra, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano.
Alla banalità di queste ultime soluzioni – che ritengo poco realizzabili – fu compiuto un autentico esperimento scientifico, chiamato “Universo25”.
Nel 1947 l’etologo John Calhoun mise in atto una serie di ricerche per dimostrare come non fossero le risorse limitate il pericolo maggiore per una società, ma quelle dinamiche sociali che riunì sotto il termine piuttosto colorito di fogna del comportamento.
Dopo alcuni esperimenti su una colonia di topi norvegesi inseriti in un recinto, si accorse che vi era qualche causa sconosciuta che creava dei blocchi delle nascite e la popolazione murina non aumentava per raggiungere il numero previsto. Dopo altri insuccessi conseguiti utilizzando dei topi grigi
Comprese che per arrivare a penetrare scientificamente ogni passaggio dello studio avrebbe dovuto ricreare una vera e propria società dei topi: nacque così l’Universo 25.
Nel 1968, nel Maryland, Calhoun progettò l’habitat ideale per quattro coppie di topi. Fornì risorse illimitate per l’alimentazione, temperatura costante intorno ai venti gradi, pulizia frequente dell’ambiente, nessun pericolo esterno in un grande spazio sufficiente per ospitare fino a 3.800 topi.
Vennero scelti inoltre gli esemplari sanissimi …. inseriti in un recinto con cunicoli, zone separate per nidificare e distributori d’acqua continuamente in azione.
Come previsto, popolazione raddoppiò ogni 55 giorni.
Tuttavia, trascorsi 315 giorni, il tasso di crescita della popolazione rallentò sensibilmente. La popolazione era arrivata a 600 esemplari. Nonostante cibo e acqua fossero garantiti in abbondanza, lo spazio iniziò a scarseggiare, e l’habitat si sovrappopolò, facendo emergere alcune anomalie comportamentali nei topi.
I nuovi nati si ritrovavano in un mondo ogni giorno sempre più affollato, in cui venivano a mancare i ruoli sociali. Le posizioni, in seno alla gerarchia dei topi, erano costantemente minacciate e iniziarono a creare forme incontrollate di stress per dover difendere il proprio territorio e le proprie femmine dagli innumerevoli contendenti.
I maschi alfa furono costretti ad abbandonare il proprio compito, diventato troppo oneroso.
L’assenza di questi ruoli sociali fece emergere nuovi e inaspettati comportamenti distruttivi e antisociali in tutta la colonia.
I maschi divennero sempre più aggressivi, arrivando a formare gruppi che attaccavano femmine e piccoli.
Altri individui divennero pansessuali, cercando di avere un rapporto sessuale con qualsiasi topo a disposizione, senza alcuna distinzione di sesso o di età.
Le femmine, prive di protezione si rifugiarono presso i nidi più alti della colonia; trascurarono i propri ruoli materni, fino ad abbandonare la prole a se stessa, o arrivando ad attaccarla.
Paradossalmente, visto che il cibo era sempre abbondante, si osservarono forme di cannibalismo e la mortalità infantile raggiunse il 96%.
La società dei topi produsse tre tipologie di individui:
i topi deboli, rifiutati dal gruppo, erano ancora fisicamente resistenti ma manifestarono forme di devastazione psicologica e si radunarono al centro dell’habitat, trascorrendo una vita inerme e priva di scopo.
Le femmine rimaste sole migrarono nei nidi più elevati, radunandosi in gruppi.
Un terzo gruppo, che Calhoun chiamò “i belli“. Non mostravano alcun interesse verso la riproduzione e le loro uniche attività erano mangiare, dormire e lisciarsi il pelo.
Verso la fine dell’esperimento si osservarono forme sempre più estese di cannibalismo (pur in presenza di cibo abbondante) e di pansessualismo, le esplosioni di violenza continuavano senza sosta.
La società dei topi collassò e la colonia quindi si avviò verso l’inevitabile estinzione.
In altre parole, Calhoun osservò che le cavie avevano smesso di essere topi, ed erano incapaci di costruire relazioni sociali.
Una sorta di prima morte, come fu definita proprio dallo scienziato.
Una morte sociale che precedette la morte fisica.
Per spiegare il significato dell’esperimento Calhoun sostenne, applicando agli uomini le osservazioni fatte sui topi, che non importava quanto sofisticato l’uomo creda di essere, il crollo sociale si realizza una volta che il numero di individui in grado di ricoprire un ruolo supera largamente il numero di ruoli disponibili:
«L’inevitabile conseguenza è la distruzione dell’organizzazione sociale. Individui nati in queste circostanze sarebbero così distaccati dalla realtà da essere incapaci persino di alienarsi. I loro comportamenti più complessi diventerebbero frammentati.
Negli anni successivi, gli studi di Calhoun furono ripresi non solo per spiegare il comportamento degli animali, ma per fare un parallelismo con la nostra società; e, come possiamo ben comprendere, gli elementi di paragone non potevano certo mancare.
Concludiamo con un contributo che si trova in rete, lasciando al Lettore ogni possibile interpretazione:
“A mezzo secolo di distanza, l’Universo 25 richiama per certi aspetti il mondo in cui stiamo vivendo. La lotta per un posto nella società si è inasprita con la diminuzione dei ruoli da occupare, come dimostrano i tassi di disoccupazione giovanile in molti Paesi del mondo.
Anche l’illusione delle risorse illimitate che per anni ha caratterizzato la filosofia delle nazioni industrializzate non garantisce nessun sollievo ai suoi abitanti, ma alimenta in molti l’istinto di prevaricazione sui propri simili. E, anche in questo caso, si arriva all’isolamento…
… Oggi viviamo all’interno di un altro Universo 25, quello della pandemia. L’isolamento è forzato, ma ha messo in luce lo stesso istinto a ergersi al di sopra degli altri, con gli ultimi che combattono i penultimi aizzati da chi sta in cima alla gerarchia sociale.
Da virus-contro-uomo si è passati a uomo-contro-uomo, e questo non è avvenuto nel momento massimo di difficoltà del primo lockdown, ma quando sono arrivati i vaccini, la letalità è calata con varianti meno aggressive e si è tornati quindi a una competizione sociale con tinte da guerra civile tra discriminazioni, vittimismo e prevaricazione.
Per Calhoun abbiamo nel nostro Dna il gene della prima morte, quella sociale. Ne siamo attratti, la cerchiamo inconsciamente. Spesso la raggiungiamo, quasi sempre senza accorgercene”.
Tratto da The Vision, di Mattia Madonia.
https://thevision.com/cultura/universo-25/
Civico20News
Giancarlo Guerreri
Editorialista
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