L’uccisione del Vigile Urbano Roberto Bussi
Nella notte fra il 29 e il 30 marzo 1988, pochi minuti dopo la mezzanotte, due guardie notturne dell’Istituto di Vigilanza Città di Torino, Antonio Telesca e Mauro Curreli, hanno quasi terminato di compiere il giro di sorveglianza dell’imponente edificio che al tempo ospita la sede del Monte dei Pegni del San Paolo e che occupa un intero isolato, delimitato dalle vie San Francesco d’Assisi, Barbaroux, Botero e Monte di Pietà. Mentre percorrono via Monte di Pietà, diretti al bancomat di via San Francesco d’Assisi, dove è collocato un orologio di controllo, notano che la via quella sera appare stranamente buia, rischiarata soltanto dalla luce dello schermo dello sportello automatico.
Nei pressi del bancomat, le guardie vengono aggrediti da due, forse tre giovani ben vestiti, con le pistole in pugno, i quali, senza dire una parola, gli fanno slacciare il cinturone con l’arma, poi spruzzano spray irritante nei loro occhi con una bomboletta. Il vigilante Antonio Telesca, alle prese con un giovane che indossa una giacca o un giubbotto di colore bianco, semi accecato e dolorante per il forte bruciore, si precipita verso il vicino portone del San Paolo per raggiungere i colleghi all’interno. L’aggressore gli spara e lo ferisce al piede destro, senza fermarlo.
Tra le lacrime, Telesca scorge un’auto dei Vigili Urbani che si avvicina, tenta di segnalare la situazione ai due uomini, poi entra in banca, raggiunge il bagno dove si lava gli occhi, realizza di essere stato colpito al piede destro e avverte i Carabinieri.
L’auto dei Vigili Urbani, appartenente alla Seconda Sezione di via Ormea, in servizio di pattuglia percorre la via San Francesco d’Assisi in direzione di via Pietro Micca. Al volante è Francesco Bettina e al suo fianco siede Roberto Bussi, di 28 anni.
Forse si accorgono delle disperate segnalazioni di Telesca, forse notano in via Monte di Pietà una persona che impugna una pistola e il conducente fa marcia indietro. Quando l’auto è giunta davanti alla chiesa di San Francesco d’Assisi, uno dei malfattori spara ripetutamente contro l’abitacolo fracassando un finestrino. I due vigili non hanno nemmeno il tempo di scendere, Bussi sente di essere ferito e chiede al collega di portarlo velocemente in ospedale: «Corri, che mi fa molto male». Questi si dirige a tutta velocità alle Molinette, dove Bussi muore in sala di rianimazione. Un proiettile calibro 9, probabilmente esploso da una Luger, lo ha raggiunto alla scapola destra, ha reciso l’aorta e si è conficcato nel polmone sinistro, come accerterà l’autopsia.
L’uomo del giubbotto bianco – che secondo le cronache «spara come un pazzo» – dopo aver fatto fuoco contro l’abitacolo dell’auto dei Vigili, vuota il caricatore della sua arma: i proiettili finiscono sugli autoveicoli parcheggiati nella via. Colpisce così a morte un complice che correva verso la via Barbaroux, forse scambiandolo per una delle guardie giurate assalite.
Quando giungono gli inquirenti, il corpo del secondo malfattore è steso sul marciapiede antistante alla banca, tra il muro e un furgone Ford Transit: nei pressi si trovano la sua pistola automatica Astra 7,65 e il revolver preso alla guardia giurata Curreli.
Le indagini partono dall’identificazione dell’aggressore morto. È di corporatura robusta, vestito di scuro, in tasca ha 46.000 Lire e un pacchetto di sigarette riempito con pallottole 7,65 per la sua pistola. Ha tatuaggi sul petto e sulle braccia, col nome Katiuscia. È stato fulminato da un proiettile, penetrato sotto il capezzolo destro che, con percorso obliquo, ha raggiunto il cuore prima di fuoriuscire.
Grazie alle impronte digitali, viene identificato come il pregiudicato Gianfranco Lazzarin detto Chicco, di 34 anni, di Bergamo, ma da cinque anni in giro per l’Europa. Ha fatto parte della banda di Pier Luigi Facchinetti, che ha terrorizzato Svizzera e Francia meridionale per un decennio e contava una ventina di componenti. Pier Luigi Facchinetti è stato ucciso in un conflitto a fuoco con la Polizia, a Polaveno (Lago d’Iseo) il 20 novembre 1987. La sua banda si è dispersa. Lazzarin ha venticinque precedenti per reati di ogni tipo: furto, rapina, ricettazione, estorsione, evasioni, armi, concorso in omicidio. È soggetto a un ordine di cattura internazionale, a un mandato di cattura del giudice istruttore di Bergamo, e da un ordine di carcerazione della Procura di Genova.
Indagano i Carabinieri del Nucleo Operativo. Nei primi momenti si parla di una Golf o Polo amaranto, nuova di zecca, che testimoni dicono si sia allontanata a tutta velocità subito dopo la sparatoria. Un volenteroso l’ha anche inseguita sino a Porta Palazzo. È quella dei malfattori in fuga?
Ha fatto fuoco soltanto l’uomo del giubbotto bianco? Alla pistola automatica Astra 7,65 di Lazzarin mancano due proiettili: ha sparato anche lui o il caricatore non era pieno?
Le notizie sulle indagini sull’uccisione di Roberto Bussi nel corso della concitata sparatoria notturna si uniscono a quelle della vertenza sindacale da qualche tempo in atto tra i Vigili e la Giunta municipale. Nel periodo di tensione, la tragica morte del civich viene ad assumere un doloroso significato.
Le indagini non chiariscono le motivazioni che hanno spinto navigati malviventi ad aggredire i vigilanti. Volevano soltanto impadronirsi delle loro armi? Il Comandante delle Guardie dell’Istituto di Vigilanza Città di Torino ipotizza un tentativo di assalto alla Banca del Monte di Pietà.
I due vigilanti avevano appena avvertito via radio i colleghi all’interno che tutto era tranquillo e così i rapinatori avevano una mezz’ora teorica di autonomia. Ecco perché l’aggressione è avvenuta in via San Francesco e non in via Botero, molto più tranquilla. Ma, anche se fossero riusciti a farsi aprire le porte dal personale all’interno e a entrare negli uffici, i preziosi erano in un caveau del quale i sorveglianti non avevano le chiavi. Forse i rapinatori avevano avuto informazioni errate.
Ci si chiede anche perché quella sera via San Francesco d’Assisi fosse al buio. Si trattava di un guasto all’illuminazione pubblica, come scritto in un primo tempo, oppure gli stessi rapinatori, nella loro preparazione meticolosa, avrebbero provocato il blackout all’illuminazione stradale?
Le cronache non forniscono riposte.
Inizialmente indaga anche la Digos, nell’ipotesi di una azione terroristica, benché la personalità del pregiudicato ucciso sembri escluderla. Non si hanno indicazioni ulteriori in questo senso.
I cronisti si rendono conto delle difficoltà investigative: Il 3 luglio 1988 La Stampa, scrive che il caso di Roberto Bussi ha scarse probabilità di soluzione.
In effetti, il responsabile dell’omicidio, avvenuto a breve distanza dal Palazzo Civico, non è mai stato identificato. Roberto Bussi attende ancora verità e giustizia.
Al civico 10 di via San Francesco d’Assisi, è stata collocata una targa bronzea in memoria del suo mortale ferimento e qui, nell’anniversario della scomparsa, si svolge l’annuale cerimonia di commemorazione.
A Roberto Bussi, primo vigile urbano assassinato in servizio nella storia della città, è intitolata la Scuola di Polizia Municipale.
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