Nel poliziesco di S.S. Van Dine “La fine dei Greene” una catena di omicidi si basa sul manuale di criminologia del dottor Hans Gross
Poco appassionato e spesso ipercritico nei confronti della letteratura poliziesca, trovo particolarmente fastidioso il personaggio di Philo Vance, investigatore dilettante e superuomo professionista, creato da S. S. Van Dine, pseudonimo di Willard Huntington Wright (Charlottesville, 1887 – New York, 1939).
Perche un giudizio così severo? Perché personalmente ritengo che Van Dine escogiti idee che andrebbero bene per dei buoni racconti, struttura che considero ottimale per un poliziesco, ma che poi le rovini trasformandole in prolissi romanzi mediante una serie di espedienti, spesso fastidiosi e indigesti, al solo scopo di tirare in lungo e riempire pagine. Dopo aver letto due o tre libri di Philo Vance, si scopre che la trama è costante, abbastanza sempliciotta e prevedibile, in primo luogo si impara a diffidare del personaggio che ha l’alibi inattaccabile…
Con tutto questo, a conferma di quanto diceva di Plinio il Vecchio, che non esiste nessun libro tanto inutile da non contenere qualcosa di buono, anche una avventura di Philo Vance – a mio giudizio strettamente personale! – rappresenta un esperimento significativo per la sua trama degna di nota.
Si tratta di “La fine dei Greene” (titolo originale “The Greene Murder Case”), romanzo poliziesco del 1928, terzo della serie di Philo Vance.
Siamo in inverno, a New York: a quanto pare, uno sconosciuto è entrato nella casa della famiglia Greene e, quando è stato scoperto, ha ucciso con colpo di pistola la figlia maggiore della vedova Greene e ferito una seconda figlia. Poi l’intruso è scomparso, lasciando vistose impronte nel viale d’ingresso, nella neve caduta in abbondanza durante la notte. Poco convinto che si tratti di un ladro-scassinatore sorpreso che ha sparato per fuggire, il figlio maggiore dei Greene si rivolge all’ottuso procuratore distrettuale il quale, a sua volta, coinvolge Philo Vance. Questi coglie subito il clima particolare della ricca abitazione e della ricca famiglia, non crede all’ipotesi del ladro e percepisce subito un omicidio premeditato.
A conferma di questa ipotesi, pochi giorni dopo, viene ucciso con un colpo di pistola il figlio maggiore dei Greene. Qualcuno nella casa ha deciso di eliminare i suoi parenti: Philo Vance ha pienamente intuito l’atmosfera “malsana” della famiglia Greene, i cui componenti sono obbligati dal testamento del capofamiglia deceduto, Tobias Greene, a vivere, per venticinque anni, tutti insieme nella casa, perché altrimenti perderebbero l’eredità. La sconsiderata decisione ha indotto un clima di odio reciproco e questo si coglie nei successivi omicidi, che avvengono nella nefasta casa, senza che Vance riesca a impedirli.
Elemento basilare per la soluzione del caso è l’apertura della biblioteca del defunto Tobias Greene, che contiene una vastissima raccolta di trattati di criminologia realmente esistenti, tra cui assume particolare rilevanza il manuale di criminologia del dottor Hans Gross.
Hans Gross (Graz, 1847 – 1915), criminologo austriaco considerato il padre della moderna criminalistica scientifica, pubblicò nel 1893 il suo trattato in due volumi “Handbuch für Untersuchungsrichter als der Sistema Kriminalistik” (Manuale per i giudici istruttori come un Sistema di Criminologia). Gross istituì, nel 1912, presso l’università di Graz l’Istituto Criminologico Imperiale, il primo al mondo, ottenendo il giusto riconoscimento della criminologia come disciplina accademica.
Fino a questo punto la trama si è dipanata presentandoci la solita fuffa che Van Dine usa per riempire pagine, anche l’apertura della biblioteca è stata artificiosamente rimandata, con pretesti poco plausibili. Ma quando finalmente si apre la biblioteca di casa Greene, ecco il colpo di genio del libro: basandosi sul libro di Hans Gross, sui vari casi criminali minutamente esaminati nel testo, l’assassino – che non riveliamo – ha eseguito tutta la catena di uccisioni dei parenti scomodi fino al suo suicidio riparatore che non impedisce un “lieto fine”, patrocinato dal demiurgo Philo Vance.
“La fine dei Greene” rappresenta nella mia personale classifica il romanzo più valido nel ciclo dell’investigatore dilettante e superuomo, forse l’unico da salvare…
La letteratura poliziesca deve molto ad Hans Gross, il cui trattato venne tradotto in Italia da Mario Carrara, medico legale e docente di antropologia criminale all’Università di Torino, col titolo “La polizia giudiziaria. Guida pratica per l’istruzione dei processi criminali” (Torino, F.lli Bocca, 1906).
Viene dal manuale di Gross l’idea del suicidio trasformato in omicidio, legando la pistola con una lunga cordicella ad un peso che, dopo la morte, allontana l’arma dal cadavere. Gross ne riporta un caso reale, che è stato ripreso da Conan Doyle in una delle avventure di Sherlock Holmes, intitolata “Il mistero del ponte sulla Thor”. Questo espediente è stato usato almeno due volte da Georges Simenon e chissà da quanti altri autori che non conosco…
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