
Una documentata biografia che ha certamente contribuito alla sua conoscenza
In occasione della memoria liturgica di Santa Teresa d’Avila ho pensato di leggere una sua biografia nel minor tempo possibile. Mi ero imposto di farlo in una giornata. Ho impiegato più tempo, anche se ho trascurato qualche capitolo. Tuttavia penso di aver letto almeno l’80% del testo di Giorgio Papasogli, “Fuoco in Castiglia. Santa Teresa d’Avila”, Editrice Ancora, Milano, 1962 (III edizione). Esistono altre edizioni. Un tomo cartonato di 637 pagine con illustrazioni, e 98 disegni particolari dei luoghi e monasteri per lo più castigliani fondati dalla santa d’Avila. S. Teresa è un monumento della fede, una donna dalle mille sfaccettature, una religiosa che rimarrà per sempre nella storia della Chiesa e dell’agiografia: nata il 28 marzo 1515 e salita al cielo il 4 Ottobre 1582.
Nella presentazione del libro frate Anastasio del SS. Rosario elogia Papasogli un esperto, appassionato della figura di Santa Teresa d’Avila. Una documentata biografia che ha certamente contribuito alla conoscenza in Italia della Santa d’Avila. La penna efficace e profonda di Giorgio Papàsogli ripercorre tutte le tappe di questo autentico fenomeno femminile della Chiesa di tutti i tempi: mistica, fondatrice, donna e Dottore. È lei il vero «Fuoco in Castiglia» che tanto ha influito sulla storia della Chiesa, della Spagna, dell’Europa e di tutti quei milioni di credenti, che attraverso le sue pagine infiammate d’amore hanno scoperto e riscoperto il Dio della misericordia.
“La Riformatrice del Carmelo non è figura facile a descrivere e la sua storia non si racconta senza fatica. La stupenda ricchezza naturale e sovrannaturale della donna che è, l’epopea delle sue imprese di fondatrice in tempi come quelli del Concilio di Trento, il miracolo delle sue esperienze mistiche e delle sue dottrine spirituali lasciano l’agiografo tanto più sgomento quanto più è preparato e consapevole”.
A dispetto della sua mole, Fuoco in Castiglia è una lettura piacevolissima, capace di unire la freschezza del saggio letterario alla solidità della ricostruzione storica scientifica. In particolare, lo scrittore «riesce a coniugare armoniosamente i tratti essenziali della figura di Teresa di Gesù: l’avventura umanissima della donna abuense; lo spirito mistico della santa carmelitana; il pensiero della maestra e il suo messaggio cristiano», scrive nella Prefazione fra Silverio di Santa Teresa. Infatti Papasogli traccia la biografia di una donna fra le più universalmente celebri, evidenziando le sue qualità naturali, l’eccellentissima spiritualità cattolica, che ha praticato con naturalezza e sincerità incantevole.
Fra Silverio fa una riflessione fondamentale a proposito delle storie dei santi, delle loro biografie. Ci sono due tendenze nell’affrontare la vita di questi santi. Soprattutto in passato, “le biografie presentavano i santi talmente divini e miracolosi da far pensare non avessero mai posato il piede su questa terra e fossero sempre vissuti attorniati dalla gloria dei prodigi. L’uomo restava così eclissato dagli splendidi riverberi dei portenti e dei miracoli soprannaturali”. Secondo fra Silverio si dovrebbe mantenere la via di mezzo tra i due estremi. Anche perché “un eccessivo e talora persin falso provvidenzialismo non incita all’imitazione; anzi, alla fin fine, allontana il lettore, compreso quello pio […]”.
L’altra tendenza estrema, errata e dannosa, “consiste nell’umanizzare eccessivamente la vita dei Santi, impoverendo o deformando la loro ricchissima spiritualità cattolica[…]”. Dopo aver segnalato la grandezza di santità di S. Teresa di Lisieux e di S. Giovanni della Croce, Fra Silverio sostiene che S. Teresa d’Avila è tra i santi, la più esposta all’interpretazione naturalistica. Comunque sia il merito dello scrittore della vita dei santi, “non consiste, e non deve consistere, nell’attirare i lettori dal palato viziato con salse più o meno piccanti e attraenti, ma nell’esporre l’argomento in modo che risulti piacevole, e insieme edificante e istruttivo per la condotta cristiana, che è la cosa principale che dobbiamo cercare nella ‘Legenda aurea’ […]”.
E pertanto il Prep. Gen. Dei Carmelitani Scalzi riconosce in Papasigli uno scrittore che si è preparato accuratamente per proporci una biografia di S. Teresa d’Avila, quale fu nella realtà, che certamente insieme a S. Caterina da Siena, “dev’essere annoverata tra le glorie femminili più eccelse che mai siano state nel mondo, per il suo talento, la santità e l’amore profondo alla Chiesa Cattolica”.
Il testo è composto da tanti capitoli, ben 60, ma tutti con in media 5 o 6 pagine. Per comprendere la figura di Teresa, bisogna conoscere l’ambiente dove è vissuta, a cominciare da Avila, ai primi del Cinquecento, situata nella Vecchia Castiglia, in Spagna. Avila raccolta dentro la cerchia delle sue bellissime mura, “le più forti d’Europa” a 1132 metri di altezza sul livello del mare. Le mura e la cattedrale esaltavano la fierezza degli Avilesi. Anche qui nel testo, purtroppo manca una cartina dei territori che ha attraversato la Santa. Nell’introduzione il libro si attarda sull’ambiente e la famiglia della nostra Teresa.
L’aristocrazia avilese e i suoi hidalgos ha influenzato Teresa, anche ad Avila, “il fantasma del Cid Campeador” vigilava su ogni parola e rendeva solenne ogni iniziativa. Il padre di Teresa don Alfonso Sanchez de Cepeda, proveniente da Toledo, si trasferì con la famiglia ad Avila. Aveva un passato movimentato, ma poi ebbe un matrimonio agiato, signorile, sposò donna Caterina del Peso che morì giovane, dopo tre anni, ebbero tre figli. Alfonso si risposò con la giovane Beatrice de Ahumada. Gli Ahumada appartenevano anche loro al gruppo dei signori di Avila.
Papasogli racconta le varie genealogie dei protagonisti di questa bella storia, ma noi sorvoliamo. Tuttavia i due coniugi entrambi possedevano un patrimonio abbastanza notevole, tra terre e denaro liquido. Vivevano nella casa de la Moneda. I tre figli con la prima moglie erano ancora piccoli, intanto da Betrice ebbe ben nove di figli, tra cui Teresa che prende il cognome della madre, de Ahumada. Attenzione 9 figli in quattordici anni di matrimonio. Anche lei si spense prematuramente. Il 1° capitolo dedicato all’infanzia di Teresa. Peraltro, precisa l’autore del libro, non si può dire che la sua infanzia abbia sofferto di solitudine o di malinconia.
Interessante la figura di Beatrice madre eminentemente cristiana che ha assolto il compito della maternità egregiamente nonostante le sue malattie e le preoccupazioni. Morì a trentacinque anni lasciando nove figli. Il 2° capitolo dedicato alla giovinezza e la prima infanzia. Anche qui l’autore ci descrive le numerose relazioni vissute da Teresa nella sua casa de la Moneda insieme ai suoi tanti fratelli e sorelle, e poi i tanti cugini figli di don Francisco Alvarez de Cepeda (fratello di don Alfonso) e di Maria de Ahumada, cugina di donna Beatrice, sommando 11+8, diventano 19 giovinetti che crebbero insieme, un vero esercito. Come se non bastasse si aggiungevano altri cugini, figli di donna Elvira de Cepeda (sorella di don Alfonso).
Una magnifica brigata, dove Teresa ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza. Ragazzi e ragazze, perfetti castigliani dei loro tempi, “cioè solidi, e al tempo stesso sognatori, innamorati delle idee belle e grandi, pronti a dar la vita per Dio e per il re”. Chiaramente non posso addentrarmi nei minuziosi racconti di Giorgio Papasogli, ci limitiamo en passant a catturare delle notizie che riterrò importanti da segnalare. La morte della mamma aveva sconvolto l’organizzazione familiare e soprattutto il padre che era rimasto solo e doveva ora badare ai figli. Io cercherò di seguire Teresa e le sue preferenze, a quattordici anni aveva già deciso di entrare in convento. Alla fine entrò per studiare.
Intanto il padre trova l’appoggio nella figlia maggiore Maria. Arriva la vocazione per Teresa e subentrano le difficoltà dell’abbandono del padre che non era d’accordo per la sua entrata in convento. Teresa non arretra nonostante il “no” paterno. Papasogli descrive il dissidio interno che ha dovuto subire Teresa, tra l’amore per il padre e quello di Dio. Dal 4° capitolo inizia la parte più attraente e più importante nella vita di Teresa de Ahumada, secondo Papasogli. “Gli esercizi della vita religiosa mi erano deliziosi, e provavo soprattutto una speciale compiacenza quando mi capitava di dover spazzare in quelle ore che prima ero solita dedicare alla vanità”, questo diceva Teresa del suo inizio di vita monacale, nel monastero di clausura dell’Incarnazione ad Avila, dove c’erano ben centocinquanta monache.
Il 3 novembre 1537 Teresa fa la sua professione, successivamente si ammala di una malattia misteriosa. Il libro segue i vari dettagli, chi gli stava vicino erano pronti a preparare la sua morte. Tuttavia nel testo si cerca di capire i suoi frequenti disturbi fisici che accompagnarono tutta la sua vita (palpitazioni, vomiti abituali e stati febbrili). La Santa così descrive le sue sofferenze: “Sopportai tutto con piena rassegnazione alla volontà di Dio”. Intanto don Alfonso poteva frequentare il monastero e avere colloqui con sua figlia, quindi poi non era tanto lontana, scrive Papasogli, rispetto agli altri figli che erano partiti per il Perù, “ma Teresa restava. Colei che sembrava essersi allontanata per prima […]”. Certo apparteneva ad una famiglia religiosa, ma era lì sempre pronta ad accoglierlo.
Quando il padre cadde gravemente ammalato, la priora diede il permesso a Teresa di Gesù (questo il suo nome da sorella conventuale) di assistere a casa il padre e di fargli da infermiera. Il padre dopo quindici giorni si spense recitando il Credo.
Nella presentazione del libro trascuro alcuni aspetti come quelli dell’orazione o delle meditazioni della Santa, anche perchè non ho le competenze per descriverle. Per esempio “i gradi dell’orazione: la prima acqua, l’orazione dei principianti”. “La seconda acqua:orazione di raccoglimento e di quiete”. Oppure, “La terza acqua: orazione di quiete ed angustie”. Mi limito a segnalare che a pagina 132, c’è una bellissima miniatura francese del XVII sec. Visioni di S. Teresa. Tra le varie annotazioni nel testo, merita attenzione nel cap. 12 l’incontro con San Francesco Borgia.
Nei vari racconti della vita di Teresa di Gesù si incontrano spesso figure nobili, non solo i re o le regine, ma anche principi, principesse, marchesi e tanto altro che ha a che fare con la nobiltà spagnola, ma non solo. Ora Francesco Borgia era il marchese di Lombay, un quasi fratello per la coppia sovrana di Spagna, cioè di Carlo V e Isabella di Portogallo. Francesco ha assistito al funerale della bellissima regina ed è rimasto scosso, “le ore passate accanto alla regina morta, gli avevano trasformato l’animo”, scrive Papasogli. Egli non era più il gran signore di corte, “ma un uomo nuovo: aveva toccato con mano, aveva ‘visto’ il nulla di tutte le cose umane”. Il marchese cadde in silenzio e pur rimanendo tra gli uomini pensò soltanto a Dio.
Successivamente entrò nella Compagnia di Gesù. Interessante il suo dialogo con l’imperatore Carlo V, il più potente del mondo di allora. Il sovrano aveva pronosticato dopo la morte di Isabella, a Francesco Borgia del ritiro di entrambi dal mondo. Infatti Carlo V entrò anche lui nel convento a Yuste. Comunque è interessante il colloquio del Borgia con Teresa e poi anche la corrispondenza tra i due ne parla padre Silverio. Naturalmente il testo di Papasogli fa riferimento spesso alla Vita di S. Teresa di Gesù, sia per quanto riguarda le visioni e le apparizione di Cristo. Un’altra figura particolare e singolare da approfondire, che incontra la nostra santa è Pietro d’Alcantara, uno dei più grandi santi che ci abbia dato la Spagna.
Teresa quando lo vide, ebbe l’impressione che “fosse fatto di radiconi d’albero”, tanto era ossuta, eccessiva, la magrezza. A combinare l’incontro fu donna Guiomar de Ulloa nel suo palazzo Salobralejo, che ormai era diventato una succursale dei monasteri. Anche il francescano Pietro d’Alcantara aveva iniziato una riforma chiamata degli alcantarini. I due parlarono in libertà di spirito. “Sentivano che non parlavano di loro stessi ma soltanto di Dio”, scrive Papasogli. “Mi disse che da quarant’anni, se ben mi ricordo, fra notte e giorno non dormiva che un’ora e mezzo. La sua più dura penitenza, al principio, fu appunto questa di vincere il sonno, e a tale scopo si teneva sempre in piedi o in ginocchio”.
Racconta Teresa di Gesù. Era solito mangiare ogni tre giorni, col tempo ci si poteva abituare. Povertà estrema, non alzava mai gli occhi da terra, per più anni non guardò in viso nessuna donna. Quando fu vicino alla morte, si mise in ginocchio e spirò. Ho sintetizzato il racconto della Santa. Papasogli ci provoca: immaginiamoli uno di fronte all’altra, vera personificazione di un’austerità che ha del sovrumano. Una affinità dei loro compiti di riformatori. Papasogli scrive che ha percorso finora nei vari capitoli un sentiero contrastato, ma trionfale, per quanto mi riguardo ho cercato di descriverlo sintetizzando.
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