Di Alessandro Mella
Gli anni tormentosi dell’ultima guerra mondiale furono intrisi di grandi sofferenze, di storie drammatiche e di vicende, innumerevoli, dai contorni dolorosi eppure da dover ricordare con impegno e perseveranza.
Tra queste vicende ci fu anche quella di Leone Casale, nato a Brandizzo il 9 giugno del 1917 da Pasquale e da Caterina Merlo. Giovanissimo, servì nell’artiglieria alpina del Regio Esercito Italiano e si diede alla professione di muratore. (1)
Dopo il drammatico armistizio dell’8 settembre 1943 e la nascita della Repubblica Sociale Italiana il nostro Leone, sbandato come tanti altri, rifiutò l’arruolamento imposto dai Bandi Graziani e decise di salire sulle colline di Casalborgone per non dover subire un’adesione forzata e non sentita. (2)
Fu qui che decise di fare la sua parte nella lotta contro il fascismo ormai al crepuscolo e contro l’occupante tedesco la cui ferocia si era già abbondantemente mostrata. Aderì, quindi, alle formazioni partigiane unendosi all’11ª Divisione Garibaldi dal 1° febbraio 1944 come partigiano combattente.
Ma solo per pochi mesi egli poté dare il suo contributo alla grande causa nazionale poiché ad un tratto fu catturato dai militi delle Brigate Nere e tradotto a Chivasso. (3) Dove esisteva, in effetti, un presidio della 1ª Brigata Nera Ather Capelli, comandato da Mario Volonté padre del celeberrimo attore Gian Maria.
Vi restò, tuttavia, pochissimo poiché venne da lì a poco trasferito all’Albergo Nazionale di via Roma a Torino dove avevano sede i comandi SS, SD e Gestapo di Torino. Da qui egli prese la via del campo di smistamento di Bolzano, anticamera dell’invio nei famigerati lager sparsi per l’Europa occupata.
Da Bolzano riuscì ancora a scrivere alla famiglia prima del trasferimento a Mauthausen ove fu recluso con il numero di matricola 115.428. Qui, purtroppo, si spense il 31 marzo 1945. Secondo altre fonti, invece, morì il 23 febbraio 1945 ma vi è da dire che le schede per il riconoscimento delle qualifiche partigiane presentano spesso delle incongruenze dovute a tante ragioni non ultima le difficoltà dell’epoca nel raccogliere dati e notizie.
Gli autori Anselmo e Gosso attinsero, per il loro bel volume, notizie direttamente dalla famiglia del Casale per cui è ragionevole supporre che la loro data sia la più credibile.
In ogni caso, al netto dei dettagli, quel che resta sono le riflessioni che questa vicenda ci procura. Il pensiero di questo giovane catturato, malmenato, caricato su di un treno e portato all’inferno a trovare una morte drammatica cui avrebbe potuto forse sottrarsi accettando qualche compromesso. Ma lui no, la sua limpidezza umana e morale non gli permisero di sacrificare dignità ed onore. Questa sua grandezza senza fine lo condusse tra i reticolati del lager dove il suo cuore, quello sì, non fu corrotto e restò libero fino all’ultimo respiro. Un esempio da ricordare, sempre, da indicare ai nostri giovani ed alle generazioni future.
Alessandro Mella
NOTE
1) Commissione regionale piemontese per l’accertamento delle qualifiche partigiane, scheda Leone Casale tramite il portale Partigiani d’Italia.
2) Anselmo, Claudio; Gosso, Simone, La fatica della libertà – Brandizzo dalla dichiarazione di guerra alla liberazione, Blu Edizioni, 2005, p. 80.
3) Secondo il volume di Anselmo e Gosso la cattura avvenne il 4 novembre 1944 mentre secondo la scheda per l’accertamento delle qualifiche partigiane avvenne il 4 dicembre 1944. Al momento non vi è certezza sulla data esatta. Nelle sue ricerche Leonardo Sandri rievocò una denunzia di Pasquale Casale a carico di uno squadrista locale non estraneo all’arresto del figliolo.
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