Di Alessandro Mella
In questi anni ho avuto il privilegio e l’onore di raccontare tante storie del passato, frammenti di vite dimenticati, vicende spesso difficili, qualche volta gioiose, spesso tragiche, cercando di capire e non giudicare, illudendomi di poter salvare dall’oblio vicende che dovrebbero essere esempio per tutti e tutte.
Questa, la storia di Alfonso Tavernar (a volte citato come Taverna), è forse una delle più significative e toccanti al punto che, per quanto mi sia imposto il distacco, io stesso non ebbi modo di trattenere una lacrima.
Alfonso nacque a Capriana, piccolo comune montano nella Val di Fiemme in Trentino, nel 1904 quando ancora la sua terra apparteneva all’impero dell’anziano Francesco Giuseppe imperatore d’Austria e re d’Ungheria.
Giovanissimo, dopo l’unione di Trento al Regno d’Italia seguita alla Prima Guerra Mondiale, il nostro si arruolò nei Reali Carabinieri e finì per prendere servizio a Novara ove riscosse subito simpatia e stima. La sua carriera scorreva rapidamente ed il Tavernar divenne maresciallo della benemerita indossando orgogliosamente la divisa con gli alamari dei carabinieri. La stessa con cui aveva partecipato alla guerra italo-etiope del 1935 e 1936, come ben percettibile dal nastrino della medaglia commemorativa visibile nel suo ritratto.
Nella bufera, nella tragedia, della guerra egli era riuscito comunque a sposarsi ed a mettere su famiglia beneficiando di una gioia immensa nell’autunno 1943:
Fiocco bianco. La famiglia del maresciallo Alfonso Tavernar, appartenente alla stazione dei carabinieri di Novara, è stata allietata dalla nascita di un bel maschietto, il primogenito, cui sono stati imposti i nomi di Giorgio Augusto. Cordiali felicitazioni. (1)
Nel frattempo, tuttavia, la Storia stava facendo il suo corso. Il regime fascista era collassato il 25 luglio, poi l’armistizio, la proclamazione della disperata Repubblica Sociale Italiana e l’inizio di un turbinio di ferocia impressionante. I Reali Carabinieri erano stati, l’8 dicembre 1943, incorporati volenti o nolenti nella Guardia Nazionale Repubblicana (GNR). Spesso mantenendo, tuttavia, la propria uniforme.
Alfonso fu inquadrato nella Guardia come Aiutante Capo in forza al comando provinciale 604 e destinato alla stazione ex Carabinieri di Mosso Santa Maria, oggi in provincia di Biella, ove agì e servì restando de facto un carabiniere come sempre.
Frattanto, intorno, l’atmosfera si fece sempre più tesa, feroce e violenta ed alcuni partigiani d’orientamento comunista, secondo diverse fonti agli ordini del comandante Piero Maffei, iniziarono a sequestrare alcune persone. Per lo più imprenditori, borghesi, gente che nulla aveva a che fare con il fascismo repubblicano.
La lista dei personaggi da liquidare, etichettandoli come spie, era lunga, ma non si riuscì a completarla perché le autorità intercettarono alcuni di loro. Persi alcuni compagni in uno scontro a fuoco, i partigiani decisero di agire per dare una lezione alla popolazione, dissuaderla una volta di più dal collaborare con il regime di Salò e spargere il terrore. Alle 12 del 18 febbraio, presso il cimitero di Mosso Santa Maria, gli ostaggi furono passati per le armi, fucilati senza pietà, senza processo e senza conforto religioso. (2)
Una strage insensata, pazzesca, odiosa, che non rese onore alla Resistenza ed alla sua storia gloriosa.
Inferociti, tra il 19 ed il 21 febbraio 1945, militi della Legione “Tagliamento” della GNR entrarono in azione, rastrellarono la zona, catturarono e fucilarono sette partigiani, tra i quali due ex prigionieri di guerra alleati. (3)
Ma dopo la strage, poco prima che la vendetta dei militi fascisti si compisse, avvenne un’ulteriore grande e terribile tragedia.
Chiamato dopo la fucilazione degli innocenti al cimitero di Mosso, il maresciallo Tavernar restò sconvolto. Dodici cadaveri di civili, innocenti, in terra; dodici famiglie ferite. Negozianti, imprenditori, donne, commercianti, gente lontana dagli orrori della follia collettiva. Ed ancora non sapeva che il giorno dopo altri sette avrebbero trovato la morte.
Rientrò in caserma, devastato nell’animo e nello spirito, lui che comandava i carabinieri di Mosso non aveva saputo, forse meglio dire potuto, evitare quelle morti, quell’orrore, quella catena di ferocia. La pena riempì il suo cuore, lo sconvolse, ne spezzò animo e coscienza ed a soli 41 anni (alcune fonti indicano per errore 39), con un figlio di pochi mesi, Alfonso Travernar sfilò la pistola dalla fondina, la portò al capo, in un solo rapido istante tutto finì, per sempre. Bastò un colpo, uno solo, per tentare di ridare pace al suo spirito tormentato. Forse temette, un domani, di non saper spiegare a quel figlio perché suo padre non era riuscito a fermare quella violenza inaudita. Morì così, vittima dello strazio interiore.
Gli eventi di Mosso Santa Maria turbarono tutti ed anche le autorità della RSI compresero la portata e la gravità di quanto accaduto in quei giorni:
Vercelli. Lo spirito pubblico è lievemente migliorato. L’ordine pubblico è quasi normale, tranne nel Biellese dove tutt’ora si aggirano bande di ribelli, la cui attività si estrinseca in rapine, estorsioni, furti ed atti di rappresaglia.
Vivissima impressione ha suscitato nella popolazione del Biellese l’uccisione, ad opera di ribelli, di dodici persone a Mosso S. Maria e di altre due a Cossato, nonché la fucilazione, sempre ad opera di ribelli, di un appuntato dei carabinieri.
La situazione alimentare è sempre disagiata.
Esistono lagnanze per la irregolare distribuzione dei generi razionati e per l’assoluta deficienza di grassi e sapone. Negli ambienti agricoli è motivo di serie preoccupazioni la preannunciata requisizione dei cavalli, ritenuti in atto indispensabili per la cultura dei terreni, mancando i carburanti per il funzionamento dei trattori. (4)
Curiosamente la “guardia” si guardò bene dal citare la non meno violenta e feroce rappresaglia che seguì.
Ancora oggi è difficile riconoscere i fatti per quello che furono e cioè un terribile eccesso dovuto alla politicizzazione di una parte del mondo partigiano cui seguì una non meno feroce e non meno perdonabile vendetta fascista. (5) Senza innocenti e con tutti colpevoli ognuno per la propria parte della tragedia. La violenza chiamò la violenza.
In tutto questo, in tale turbinio di ferocia senza eroi e con tanti colpevoli, solo una figura si erse come limpida, pulita ed umana. Forse l’unico a non avere colpe ma quello che pagò più di tutti perché vittima non dell’odio tra le parti ma della propria coscienza, della propria onestà e della propria umanità. Il maresciallo dei carabinieri Alfonso Tavernar, un eroe che si uccise, si suicidò ancorché da poco padre, per un senso dell’onore estremo ma commovente. Una figura che l’Arma dei Carabinieri dovrebbe ricordare e commemorare con affetto e devozione. Un uomo che meriterebbe almeno l’intestazione di una via ed invece riposa, dimenticato, in un piccolo loculo di un cimitero periferico in provincia di Torino. Dove i passanti scorrono senza sapere quale storia nasconda quella lapide abbandonata. Con queste poche righe si è cercato, almeno, di rinnovare la memoria di questo vero, luminoso, adamantino e grande eroe.
Alessandro Mella
NOTE
1) La Gazzetta del Lago, 86, Anno XXXVI, 6 novembre 1943, p. 1.
2) Pisanò, Giorgio, Storia della guerra civile in Italia, (1943-1945), Edizioni Fpe, Milano, 1965, pp. 147-148.
3) http://lagranderupe.altervista.org/mosso-17-febbraio-1944-fucilati-mosso/ (Consultato il 16 settembre 2023).
4) Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana, 20 marzo 1944, p. 7.
5) I dodici civili fucilati dai partigiani a Mosso S. Maria: Carlo Botta 59 anni e le sue due figlie Duilia di 23 anni e Gemma di 21; Francesco Repole 61 anni agricoltore; Raffaele Veronese 42 anni impiegato; Giuseppina Goi 49 anni operaia; Ernesto Ottina 46 anni negoziante e sua moglie Tecla Graziola di 45; Leo Negro 46 anni commerciante; Giovanni Maffei 39 anni agricoltore; Sandro Tallia 25 anni commerciante; e Palmira Graziola 57 anni. I sette partigiani fucilati dai fascisti per rappresaglia: Antonio Cavasso di anni 18, Palmino Camerlo di anni 18, Corrado Lanza di anni 18, Francesco Crestani di anni 26, Roberto Arrigoni di anni 18, Frank Bowes (soldato neozelandese) e Harry Miller (soldato australiano).