Le vergognose intese tra democristiani e comunisti per cancellare i crimini di guerra e sottrare i responsabili alla giustizia
Ogni giorno ci tocca ascoltare il tormentone di una sinistra elettoralmente perdente, elettrizzata dal voto francese, che non dimentichiamo, non ha ancora potuto dimostrare i suoi effetti, continua a straparlare di pericolo fascista, di libertà di stampa negata e alte facezie, mentre le ansie per una situazione mondiale minata da terrorismo e aggressività non viene neppure citata e considerata.
Se invece di limitarci a cancellare con fastidio gli odierni luoghi comuni, cerchiamo di approfondire, come dev’essere nostro dovere, la memoria ci porta in anni lontani, ove al governo dell’Italia imperavano la democrazia cristiana e il partito comunista. Potremo giustamente accusarli di filo nazismo, perché questi partiti si macchiarono di un misfatto crudele ai danni di italiani e famigliari che soffrirono realmente per colpa del nazifascismo e fu loro impedito di risalire ai colpevoli di omicidi e stragi.
Per essere maggiormente documentati ricorriamo a decenni di distanza a due testi che hanno spiegato gli obbrobri compiuti e il modus operandi della Democrazia Cristiana.
Lo storico Mimmo Franzinelli ha scritto “Stragi nascoste” (Mondadori Editore) un libro drammatico, ma veritiero che nel 2002 ha spalancato agli italiani, l’armadio della vergogna, rendendo pubblico e documentato ciò che per circa 50 anni era stato occultato nella sede della procura generale militare.
Fra il 1943 e il 1945 decine di migliaia di civili furono vittime di 2273 stragi brutali compiute da nazisti e fascisti lungo il territorio del nostro paese.
Un elenco tragico che comprende nomi ormai noti e tanti altri completamente sconosciuti: Stazzema, Marzabotto, Fivizzano, Fossoli, Capistrello e cento altri comuni.
Nei mesi successivi alla Liberazione, molti dei colpevoli furono individuati e su di loro aperti procedimenti penali. Ma nel 1947 una mano ignota mise tutto a tacere, e i fascicoli con i nomi dei responsabili di quelle stragi finirono sepolti dentro un armadio custodito nella sede della Procura generale militare. Quest’iter di cui non pochi sapevano, fu perpetrato sino agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso.
Non ci furono istruttorie né processi. Tutto fu avvolto nel silenzio imposto dal potere.
In quel periodo al Ministero di Grazia e Giustizia sedeva il comunista Fausto Gullo e al Ministero della Guerra il repubblicano Ciprino Facchinetti, nell’ultimo governo capeggiato da De Gasperi con la partecipazione principalmente della Democrazia Cristiana e del Partito comunista Italiano. Negli anni seguenti il predominio governativo della Dc non conobbe tentennamenti al riguardo.
La descrizione di quei misfatti, le prove, le testimonianze, vennero scoperte per caso mezzo secolo più tardi, nascoste in quel vecchio armadio rifilato in un vano recondito, le ante chiuse a chiave, rivolte verso il muro. Grazie a quell’armadio gli assassini hanno goduto di sessant’anni di impunità. Grazie a quell’armadio è stata consumata l’ingiustizia più grande nei confronti del popolo italiano.
Una storia che riguarda 695 fascicoli processuali, contenenti denunce precise di eccidi commessi in Italia durante l’occupazione nazista dai tedeschi, ma anche dai collaborazionisti e dai reparti della RSI. Una sequela sconvolgente di atrocità compiute, da Acerra a Trieste, nei confronti di detenuti politici, partigiani, ebrei, anarchici, antifascisti, gente comune e popolazione inerme.
Vicende dimenticate fino al 1994, quando, per puro caso, il procuratore militare Antonino Infelisano, che in quel periodo si occupava del processo contro l’ex ss Erich Priebke, cercò in quello sgabuzzino. Vi trovò un armadio, rimasto per anni con l’apertura rivolta verso il muro, all’interno del quale c’erano dei documenti, archiviati provvisoriamente 34 anni prima, che provavano quelle atrocità.
L’armadio conteneva il promemoria “Atrocities in Italy” (atrocità in Italia), che portava stampigliato in chiara evidenza il timbro «secret». L’elenco proveniva dal comando dei servizi segreti britannici, venuti a sapere dei fatti durante la campagna d’Italia.
«Gli inglesi – spiega Franzinelli – avevano raccolto le denunce presentate dai parenti delle vittime e le avevano integrate con accertamenti e istruttorie sommarie, sufficienti però ad identificare gli elementi principali di ogni singola vicenda. Quando consegnarono il materiale ai giudici italiani, questi pensarono bene di rendere pubbliche solo le denunce contro ignoti, si optò invece per “l’impropria giacenza” in quei casi dove le denunce consentivano di individuare i militari, e non solo tedeschi, colpevoli degli eccidi».
L’occultamento e la copertura dei responsabili furono, secondo l’autore, un fenomeno dovuto alla continuità dell’amministrazione della giustizia tra fascismo e democrazia, condizionata da magistrati che si erano formati professionalmente e culturalmente sotto la dittatura.
Franzinelli nel libro riproduce molti documenti, le foto delle esumazioni dei martiri di Fossoli, l’elenco delle atrocità nascoste, comprendente luogo, data e una sintesi dei fatti, e un utilissimo indice dei nomi e dei luoghi.
Ripercorre l’iter giudiziario della strage del campo di Fossoli, dove vennero uccisi 67 internati e conclusosi con l’archiviazione e propone, come in una sorta di compensazione per la giustizia negata ai primi, l’intera sentenza di condanna contro il boia di Bolzano, Michael Seifert.
Il ritrovamento tardivo dei fascicoli ha fatto sì che la maggior parte dei responsabili rimanessero impuniti e al contempo ha ostacolato la ricostruzione storica di quei crimini. «Le atrocità commesse e per anni nascoste all’opinione pubblica – conclude lo storico – a distanza di tanti anni, con la scomparsa dei protagonisti, trovano oggi nell’azione dei giudici, non una punizione, ma una testimonianza per le generazioni future».
Nel corso della XIV Legislatura (2001-2006) è stata istituita una Commissione Parlamentare d’inchiesta che ha fatto luce sulla vicenda del cosiddetto “Armadio della vergogna”, dal titolo di una delle inchieste giornalistiche relative già ampiamente citata e descritta.
A partire dal 16 febbraio 2016 l’Archivio storico della Camera dei deputati ha reso accessibili on line, gli indici dei documenti declassificati utilizzati durante i lavori dalla Commissione d’inchiesta.
Queste sono le responsabilità criminali insabbiate anche dai politici del tempo e principalmente il Partito Comunista Italiano e la Democrazia Cristiana. E poi continuate dalla Dc.
La testimonianza di questo modo di procedere la troviamo in parte spiegata in un lucido libro scritto da Lelio Basso nel 1951: “Due Totalitarismi: Fascismo e Democrazia Cristiana”.
Basso nega la differenza fra «regime democristiano» e fascismo. «La vera differenza tra la tecnica fascista e quella democristiana del colpo di Stato è che in realtà Mussolini e i fascisti amavano far mostra di forza e di violenza anche quando non la esercitavano (…) laddove i democristiani (…) preferiscono. ammantare di ipocrisia e nascondere sotto frasi melate la violenza sostanziale» (p. 168).
È sulla base di una concezione analoga che i socialisti giudicarono inizialmente Mussolini come un perfetto omologo di Giolitti e Amendola, in tal modo rendendosi corresponsabili della sconfitta delle forze democratiche di fronte al fascismo”.
D’altronde Amintore Fanfani un leader democristiano allora emergente, negli anni del fascismo fu docente di Mistica fascista e collaborò con la Scuola stessa e scrivendo articoli per la sua rivista Dottrina fascista”
Fanfani prese posizioni marcatamente razziste: in un saggio del 1939 affermò che «per la potenza e il futuro della Nazione gli italiani devono essere razzialmente puri» e in un suo libro del 1941, illustrava «il problema della difesa della Razza come necessità biologica e come fatto spirituale di fronte all’urgente necessità di distruggere quel fenomeno dell’ebraizzazione che dall’unità d’Italia in poi dilagò in tutti i campi della cultura, della economia, della politica»
Aldo Moro iniziò la carriera accademica sotto il fascismo e fece parte del GUF, come molti esponenti di primo piano del Partito comunista Italiano tra i quali emergevano Pietro Ingrao, Maio Alicata, Giorgio Napolitano, Franco Calamandrei, Giuseppe D’Alema. Alessandro Natta e i democristiani Paolo Emilio Taviani, Luigi Guy, Mario Ferrari Aggradi, Danilo De’Cocci pe citare i principali.
Tutti voltagabbana, dopo il 25 aprile 1945, ma il marchio resisteva ed emergeva nel momento di fare i conti con il passato
Così per tornare ai nostri giorni cos’hanno avuto in comune gli anagraficamente giovani ministri del Governo Meloni, rispetto ai tanti democristiani e comunisti che sotto il regime fascista rivestirono ruoli di responsabilità nei gruppi universitari fascisti e vincendo cattedre universitarie? Nulla!
Un ritorno alla Storia e alle vicende documentate avvenute nel nostro Paese eviterebbe forse di inseguire i fuochi fatui ed ingannare i cittadini che dalla politica si aspetterebbero ben altro.
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