Donald in fibrillazione per Kamala in opposizione
Non servono più le bordate preparate da Trump per affondare la nave di Biden e tornare così a padroneggiare nel mare dei consensi elettorali USA: il nemico si è volatilizzato. Non si è nascosto subdolamente dietro qualche isoletta come fece la flotta dei Greci, avendo lasciato sulla sponda infida un cavallo di troia per proditori attacchi; no, è semplicemente scomparso… e a questo sconvolgente avvenimento della guerra intestina in corso, Donald non era completamente preparato: ci aveva pensato, gli sarebbe piaciuto ma, da imprenditore di lungo corso, sapeva che gli sarebbe costato un sacco di soldi l’approntamento di una diversa campagna elettorale se l’antagonista, che i sondaggi gli davano ormai battuto in partenza, fosse cambiato in corso d’opera.
Gli incarichi politici di prestigio ricoperti sin dal lontano passato, la reputazione internazionale d’un tempo e in qualche modo ancora perdurante, la età pressoché veneranda, rendono Biden, agli occhi dei suoi estimatori appassionati, personaggio insigne sublimis – giunto oltre la soglia: sublime, quindi, attributo che in genere si usa per enfatizzare il rimando al bello e al buono, non ai loro contrari. I palesi mancamenti della sua ingravescente senilità lo stanno però diversamente sublimando e la sua pur piacevole fisicità, custode per tanti anni di una solida personalità, va esalando nell’etere da dove, dicono alcuni analisti, continua comunque ad essere pericolosa minaccia per le mire di Trump, specie dopo la mira sbagliata di chi gli ha sparato, avendo attentato inutilmente alla sua vita.
Con Biden in sublimazione, sublime sta dunque diventando Trump che, per la verbosità aggressiva dei suoi comizi elettorali, pare abbia metabolizzato anche qualcosa di Schopenhauer che, pur distinguendosi per un pessimismo finanche esagerato, o forse per questo, conoscendo bene le tante cose della vita, molto ha scritto circa L’arte di farsi rispettare, L’arte di insultare e pure L’arte di ottenere ragione: ben 38 strattagemmi, questi, fondamentali, specie l’ultimo, da usare quando non si sa più a quale santo votarsi per spuntarla contro un duro oppositore.
Da questo filosofo forse, e certo molto più dalla propria vita vissuta borderline, Donald ha imparato a innervosire e confondere l’interlocutore e irritarlo e fargli perdere le staffe e imbestialirlo con la propria sfacciata e pretestuosa e litigiosa e maleducata e prepotente arroganza. A pennello, dunque, gli calza l’ultimo strattagemma di Schopenhauer, che fa dell’ingiuria gratuita ad personam la risorsa estrema per squilibrare l’avversario e demolirne la stabilità psicofisica fino allo sfinimento organico, nulla potendo contro la solidità del suo intelligente pensiero.
Le offese portate a Biden limitavano il campo d’azione dell’attacco, enfatizzandone anche ridicolmente certe sciatterie da vecchio rincitrullito. Contro la Harris, invece, subentrata nell’agone politico della elezione presidenziale, ci sta andando giù pesante e ne sentiremo certo ancora di più roboanti. La meta è lontana, Kamala non è vecchia né rincitrullita e sono ricca fonte di beceri insulti anche razzisti la formazione familiare afroasiatica della sua pubertà, le caratteristiche somatiche denunciate dal colorito molto ambrato della sua pelle e quelle etniche ereditate dal padre giamaicano e dalla madre indiana, non nativa dell’America, ma dell’Asia: cose queste che già nel passato ne compromisero la candidatura alla vicepresidenza Usa e sono sempre richiamate alla memoria nella politica, che non dimentica.
Si potrebbe scusare barbona e anche pezzente, per il passato da migranti dei suoi genitori, ma scarsa, patetica, cimice e addirittura anche pazza per la sua risata, sono spregevoli offese non perdonabili neanche a un paperone, dalle ambigue ricchezze, peraltro. Quanto a gattara senza figli poi, come più d’una volta Donald l’ha apostrofata, è stereotipo chiaramente sessista e decisamente sprezzante e volgare negli Usa, molto più che da noi, per il contesto dei precedenti che hanno generato localmente questa espressione.
Le sbandate acrobatiche dell’auto di Trump nella melmosa strada nuova della macchinazione elettorale sono spettacolo eccitante per certi suoi esaltati followers, che ne vanno pazzi e forse lo sono davvero quando in modo inconsulto prendono a spaccar vetrine e ribaltare auto per strada, annaffiando di birra piatti ferini conditi talvolta anche di sangue, perché l’istinto primordiale degli umani cavernicoli è sempre pronto a saltar fuori, appena gli si offre l’occasione: homo hominis lupus, ha sentenziato Thomas Hobbes a metà del 1600 riprendendo, dalla Roma antica e grande, un detto, che sarà sempre attuale.
Al molle Biden gli si contrappone ora la tosta Kamala. Per ammorbidirla, però, non basta a Trump storpiarle il nome in modo denigratorio e ringhiando rabbiosamente alitarle addosso Camela – che nella nostra lingua suona quasi vezzoso appellativo. Sbava, Donald, digrignando zanne lupesche per farle paura, ma così mostra anche tutta la propria, che è tanta: Camela sa di femmina, che i suoi avvocati potrebbero tacitare con un pacchetto di dollari ben infiocchettato… e ne parlerebbero i media; Kamala sa invece di donna, che potrebbe infiocchettare lui… e ne parlerebbe la Storia.
Si vales, vàleo.