Parola dell’anno 2023
A Ferragosto, come ormai da qualche tempo, dal Viminale è arrivato anche quest’anno il dossier sulle attività del Ministero degli Interni. Con la freddezza che distingue tutti i comunicati di questo genere, riporta, tra l’altro, le cifre indicative dei fatti delittuosi, che hanno punteggiato nel passato 2023 la vita degli Italiani; per tanti, sono particolarmente attrattivi i reati discriminatori in materia sessuale; in particolare, i femminicidi.
“Questi tipi di uccisione, che colpiscono la donna perché donna – scrive Milena Anzani, volontaria del Servizio Civile Nazionale presso l’Università di Padova – non costituiscono incidenti isolati, frutto di perdite improvvise di controllo o di patologie psichiatriche, ma si configurano come l’ultimo atto di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico, fisico o sessuale. Le discriminazioni di genere, gli stereotipi sulle donne radicati nel substrato socioculturale, la divisione di ruoli e l’esistenza di relazioni di potere disuguali tra donne e uomini sono fattori che costringono la donna a permanere in una condizione di subalternità in cui si alimenta il ciclo della violenza. I femminicidi sono pertanto gesti estremi di violenza che sottendono una realtà complessa di oppressione, di disuguaglianze, di abusi, di violenza e di violazione sistematica dei diritti delle donne”.
Nati spesso dalla gelosia, i femminicidi possono anche essere frutto di una vendetta o della incapacità di accettare la fine di una relazione. Ma possono essere pure sentimenti più struggenti, quali quelli per una grave malattia della partner, la causa di certi folli gesti, che inducono talvolta il femminicida a suicidarsi dopo. Questi suicidi, peraltro, potrebbero addirittura essere l’epilogo di un programma concordato: una tremenda, comune decisione, vista come soluzione unica per liberarsi da deprimenti affanni insieme con la donna amata, specie quando l’orizzonte di vita si percepisce ormai prossimo per entrambi, nella consapevolezza di un vissuto appagante e di un futuro insopportabile.
Il femminicidio, uccisione di una donna in quanto tale, è giudicato socialmente come atto manifesto di una atavica cultura maschilista e patriarcale che ha sempre considerato la donna come essere inferiore e subordinato all’uomo. Nel nostro sistema giuridico dei delitti e delle pene entra nell’anno 2013, dopo la abolizione, nel 1981, del delitto d’onore. Questo prevedeva attenuanti per la uccisone della donna ritenuta adultera; prevede invece aggravanti il femminicidio, termine usato per la prima volta nel 1976 dalla sociologa sudafricana Diana Russell e registrato nel 2008 da “Neologismi Treccani”.
Il dossier del Viminale riferisce di un femminicidio ogni tre giorni; ma non è questa la ragione per cui il termine è stato selezionato dall’Istituto della Enciclopedia Italiana come “Parola dell’anno 2023”. La scelta non è motivata dalla quantità degli eventi di questo tipo, che comunque scuote non poco, ma dalla loro rilevanza “dal punto di vista socioculturale”, spiega Valeria della Valle, direttrice scientifica del Vocabolario Treccani. La frequenza della parola femminicidio dice molto anche della connotazione politica acquisita dagli accadimenti cui si riferisce e dalla attualità della discriminazione di genere.
Il termine genere, nella circostanza, non fa riferimento a caratteristiche o funzioni biologiche femminili, ma a tradizioni, abitudini culturali, credenze popolari o religiose delle donne; alla tipicizzazione sociale, culturale e psicologica che differenzia le femmine dai maschi. La Convenzione del Consiglio d’Europa firmata a Istambul nel 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, riferisce la parola genere a ruoli, a comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti, che una determinata società considera appropriati per le donne, ma anche per gli uomini.
Come Parola dell’anno 2023, femminicidio potrebbe richiamare l’attenzione dei distratti dai tanti avvenimenti destabilizzanti del vivere comune, anche sugli episodi di femminicidio, che non sono secondi rispetto agli altri e che, pur nella loro aberrante criminalità, per antichi e odiosi pregiudizi misogini, rischiano di non essere adeguatamente considerati nella loro devastante valenza sociale.
Si vales, vàleo.
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