Incultura democratica e difesa della democrazia
Già ministra della Salute, e anche presidente della Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, il 12 settembre dello scorso anno su Lavialibera, una rivista fondata da Libera e Gruppo Abele, Rosy Bindi ha scritto che il sistema politico italiano soffre da sempre di un male oscuro, non perché sconosciuto, ma perché negato o quanto meno sottovalutato… La sua causa principale è la non piena accettazione del contenuto della nostra democrazia, della sua forma di stato e di governo, dei suoi principi di uguaglianza sostanziale. Ne discende una diffusa incultura democratica che colpisce anche le classi dirigenti, i parlamentari, i componenti del governo, il mondo dell’informazione. Sopravvive un blocco, fortemente conservatore, che non si è mai rassegnato a vivere in un Paese regolato dalla Costituzione “più bella del mondo”.
Da Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, nel suo secondo 25 aprile di festa nazionale in Roma, all’Altare della Patria per commemorare con Sergio Mattarella e con altre alte cariche dello Stato la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal fascismo, Giorgia Meloni ha detto che questa liberazione con la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia e ha poi promesso di continuare a lavorare per difendere la democrazia e per un’Italia finalmente capace di unirsi sul valore della libertà.
Per Rosy Bindi, dunque, la nostra democrazia è in declino. Giorgia Meloni, qualche mese dopo, ne ricorda invece il ritorno per l’ormai lontano 25 aprile del 1945 e con la sua promessa attuale sembra riconoscere che di fatto c’è ancora qualcosa da fare: se la nostra democrazia ha bisogno di difese, è perché è ancora alquanto debole.
Nella percezione di alcuni, certi sbandamenti nel nostro attuale sistema sociale e politico sarebbero indicativi di non completa efficienza e bisognerebbe mettere un po’ d’ordine nel disordine attuale, che per altri, invece, è solo il segno dei tanti, troppi problemi ereditati, i quali pongono talvolta in affanno i nuovi governanti e rischiano addirittura di comprometterne la coesione di intenti, già loro forza vincente, che scosse il Paese. Gli analisti guardano le cose con oggettivo distacco e sono concordi, intanto, nel ritenere che non siamo affatto nel caos, ma ci sarebbe comunque l’esigenza di un poco più di ordine.
Una scrivania ingombra può far pensare che sia occupata da una persona disordinata; una scrivania sgombra e ordinata può far pensare che sia occupata da chi non abbia niente da fare. In proposito, però, pare che per Einstein a cluttered desk is a sign of genius: spesso, infatti, c’è un genio, dietro l’apparente disordine di una scrivania. Una bella metafora, questa, cui la psicologia dedica molte pagine, ma che potremmo decontestualizzare e spingerne all’estremo il significato.
Sotto un governo dittatoriale tutto appare ordinato. Ma la dittatura è come una bella pentola di Papin, una pentola a pressione, che ha però la valvola di sicurezza pericolosamente tappata: fa bene comunque il suo servizio, ma con la valvola tappata, per le pressioni interne, che ci sono e non si vedono, a un certo momento scoppia e crea molti danni.
Piacciono, dunque, i governi d’ordine, ma occorre ricordare che l’ordine assoluto è possibile, forse, soltanto in un governo non democratico. Churchill, uno che di governo se ne intendeva, avrebbe creato scandalo se avesse detto solo che la democrazia è la peggior forma di governo e non avesse aggiunto subito dopo che non conosceva governi migliori di quelli democratici.
Sono governi d’ordine, questi, e l’ordine, che pure ha proprie regole di moderazione, deve essere la Stella polare d’ogni buon governo, per la miglior guida di un popolo, il quale deve essere lasciato comunque libero di decidere il proprio ritmo sociale, in un contesto in cui ciascuno può dire quel che pensa e fare quel che crede, permettendo ad ogni altro di poter dire e fare altrettanto, tollerando anche le zuffe, ma restando capace di trovare sempre l’unità, nella comunanza di intenti, non solo quando il mare si fa grosso e il vento della tempesta fischia nel sartiame, perché in queste situazioni è solo la paura che fa da collante.
Si vales, vàleo.
© 2024 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata