Per non travisare il pensiero dei Padri Costituenti
Rileggere i classici del pensiero politico rimane esercizio sempre utile per chi intenda coltivare il proprio senso critico. Tra i libri che, per indubbia acutezza, meritano attenzione vi è La fattoria degli animali che Eric Arthur Blair (1903-1950) – in arte George Orwell – ha pubblicato nel 1945 e che, sin da subito, ha goduto di fama internazionale.
Come è noto, La fattoria degli animali narra della rivoluzione che gli animali della Fattoria Padronale (poi ribattezzata Fattoria degli animali) compiono, riuscendo a liberarsi del fattore Jones e a instaurare – perlomeno nel principio – un sistema di convivenza sociale in cui prevalgono criteri di equità e di solidarietà che, tuttavia, ben presto s’incrinano a favore di un’oligarchia – rappresentata dai maiali – i quali, approfittando della loro particolare intelligenza, riproducono un sistema di sfruttamento che diventa uguale, se non infine peggiore, di quello antecedente.
Il capolavoro orwelliano – che solo in apparenza è di semplice lettura – offre molteplici spunti di riflessione, tra cui quello “costituzionale”. Infatti, gli animali, perfezionata la rivoluzione, sentono la necessità di formalizzare i valori fondanti del rinnovato legame sociale. Scrive Orwell: “I maiali erano riusciti a concentrare i principi dell’Animalismo in Sette Comandamenti. Questi Sette Comandamenti sarebbero stati scritti sul muro: avrebbero così formato una legge inalterabile secondo la quale tutte le bestie della Fattoria degli Animali avrebbero dovuto vivere da quel momento per sempre” (G. Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori, Milano, 2006, p. 19).
I Comandamenti – che dettano regole di convivenza basate sulla fratellanza e sulla tolleranza, oltreché sull’abiura delle nefaste condotte in precedenza tenute dal padrone Jones (si vedano i comandamenti: “Nessun animale berrà alcoolici”; “Nessun animale ucciderà un altro animale”; “Tutti gli animali sono eguali”; etc.) –, dopo essere stati riportati su un “muro incatramato, a grandi lettere bianche che si potevano leggere alla distanza di trenta metri”, diventano punto di riferimento e orgoglio per tutti gli animali che credono, in tal modo, di aver raggiunto livelli di libertà e di civiltà mai ottenuti.
Col trascorrere del tempo, però, i maiali – grazie all’ausilio dei cani che garantiscono l’ordine e di alcuni intellettuali proni al potere (rappresentati in particolare dal maiale Clarinetto) – si ritagliano privilegi che tramutano in migliorate condizioni di vita a discapito degli altri animali. In un primo momento, la forma costituzionale non cambia: la domenica mattina gli animali continuano a riunirsi per deliberare le scelte da compiere nella gestione della fattoria anche se, in realtà, finiscono con l’approvare le decisioni dei maiali.
Acme di questo mutamento – seppur tramezzato da qualche sporadico tentativo di resistenza e di ribellione – si ha quando i maiali si presentano, tra la sorpresa generale, ritti su due gambe. Descrive il passo Orwell: “Tra un tremendo latrar di cani e l’alto cantar del gallo nero, uscì lo stesso Napoleon, maestosamente ritto, gettando alteri sguardi all’ingiro, coi cani che gli saltavano intorno. Stringeva fra le zampe una frusta. Seguì un silenzio mortale. Stupefatti, atterriti, stringendosi assieme, gli animali guardavano la lunga fila dei maiali marciare lentamente attorno al cortile. Era come se il mondo si fosse capovolto”.
Delusi e umiliati, gli animali sentono la “tentazione di pronunciare parole di protesta”, ma l’intervento delle pecore che, dopo aver per anni ossessivamente ripetuto “quattro gambe buono, due gambe cattivo”, adesso (senza il minimo dubbio) belano: “Quattro gambe, buono; due gambe, meglio!”, li fa desistere. Ed è allora che una cavalla di nome Berta prova ad aggrapparsi ai principi costituzionali. Avendo difficoltà a leggere, la cavalla domanda ad un altro animale di nome Benjamin di accompagnarla dov’erano riportati i comandamenti, ma giunti al muro si accorgono che vi fosse più scritto nulla, fuorché un unico comandamento che diceva: “Tutti gli animali sono eguali, ma alcuni animali sono più eguali degli altri”.
E che la classe politica potesse violare i dettami costituzionali non era un pensiero venuto a qualche insulso complottista, bensì una delle principali preoccupazioni dei nostri padri costituenti che, non a caso, crearono una costituzione rigida (dunque modificabile con difficoltà) ed istituirono la Corte Costituzionale a cui assegnarono il compito di difendere i valori costituzionali espungendo dall’ordinamento quei provvedimenti normativi che ne travalicassero i principi.
Ma quando scrissero la Costituzione, i padri costituenti – che pur erano stati attenti a garantire un’equilibrata (se non perfetta) partizione dei poteri – peccarono, in alcuni casi, di sinteticità. Ad esempio, presero in considerazione lo stato di guerra – che doveva essere deliberato dalle Camere (art. 78 Cost.) –, ma non emergenze come quelle di tipo sanitario, con il risultato che il nostro ordinamento si sia trovato in larga misura impreparato a tutelare la notevole (e perdurante) compressione di taluni diritti costituzionali – in particolare la libertà di movimento (art. 16 Cost.) e il diritto al lavoro (art. 1 e 4 Cost.) – che, dall’inizio dell’emergenza da Covid-19, sono stati in prima battuta imposti alla generalità degli italiani, quindi a quelle persone che, per i più svariati motivi, ritengono giusto non ricorrere all’opzione vaccinale.
Senza voler qui entrare nel merito della legittimità o meno di tali provvedimenti – su cui ci riserviamo di ritornare – appare di solare evidenza che, a partire dalla fine del fascismo, mai sia emersa una così forte criticità nel rispetto di valori costituzionalmente protetti (peraltro di fortissimo impatto personale e sociale) e nel rapporto tra gli stessi (indiscusso è che tra la pluralità dei diritti costituzionali non sussista gerarchia, mentre da ultimo pare che l’art. 32 permetta di impunemente travalicare gli altri) con l’effetto che risulti necessario aprire un serio dibattito sia di integrazione e rafforzamento costituzionale (ad esempio, normando lo stato di emergenza di cui non si ravvisa traccia in Costituzione) sia di implementazione del ruolo di tutela della Corte Costituzionale, magari introducendo la possibilità per i cittadini di adirvi senza dover attendere l’introduzione di una vertenza giudiziale.
Non si tratta di un esercizio filosofico per intellettuali, ma di una necessità se si vuole assicurare la complessiva tenuta di quell’impianto liberaldemocratico che, dalle sue radici illuministiche sino all’avvento del periodo pandemico da Covid-19, ha garantito significativi spazi di libertà. Si potrà anche non seguire questa strada, ma è Orwell a ricordarci che non basti scrive su un muro (alias in una costituzione) dei principi perché questi vengano rispettati, altrimenti rimane solamente propaganda costituzionale.