Comunicazioni fonetiche subliminali oltre il significato corrente.
Durante una discussione sull’uso corretto delle parole rispetto al loro significato, un caro amico mi fece notare che oggi, nell’uso comune, molte parole hanno assunto un significato diverso da quello originale. Che questo sia giusto oppure no, mi disse, non ha più grande importanza in quanto le parole sono mezzi per esprimere quanto meglio possibile quello che si intende trasmettere, e quindi anche il loro contenuto si trasforma, adeguandosi alle necessità comunicative correnti.
Capirete facilmente che, da tecnico progettista di automobili, non potevo far finta di niente e mandare giù il rospo senza minimamente replicare. Così feci, obiettando una quantità di ragioni legate particolarmente alla necessità di usare termini condivisi per poter trasferire il più correttamente possibile contenuti, in gran parte, già di per sé discutibili.
Tuttavia il seme del dubbio era ormai stato seminato e nelle buie profondità della coscienza aveva trovato un terreno fertile nel quale germogliare.
Ed è così che da quel seme sono spuntate due parole equivoche che sembrano entrambe ricondurre ad una necessaria e più profonda attenzione su un possibile altro significato contenute in esse.
Esse sono “anarchia” ed “anestetico”.
Infatti la prima, secondo il vocabolario, deriva dal greco anarkhìa, letteralmente assenza di governo o principio. Ma, ad una diversa indagine, da un altro punto di vista, potrebbe egualmente trovare origine nella composizione di a+nàrkosis, dove a significa assenza o negazione e nàrkosis, dal greco, induzione alla narcosi, ovvero assenza di induzione alla narcosi, o stato di negazione di una condizione che induce narcosi.
L’altra, suggeritami di conseguenza dalla giovane volontaria della biblioteca del mio paese, è anestetico, farmaco che induce una anestesia, ovvero un sinonimo di narcotico configurabile come composto da an+estetico, cioè assenza di estetico, che, nel caso di applicazione traslata, potrebbe significare stato di narcosi indotto da una mancanza di senso estetico oppure stato di narcosi indotto dalla ricerca di senso estetico (come sembra avvenire per alcune sindromi che colgono gli osservatori di alcune opere o espressioni artistiche).
E quindi? Dove vanno a parare queste note?
A niente di particolare se non che:
– primo: forse è meglio non dare mai per scontato ciò che è codificato come significato immutabile,
– secondo: se abbiamo una coscienza è meglio farne uso.
Perché?
La risposta si propone da sé attraverso altre domande.
Che cosa distingue il fatto di scoprire di avere una coscienza dal semplice credere di averne una?
Quanti di noi si sono posti questa domanda?
E cosa è successo dopo?
Se qualcosa è rivelato, ascoltandone e seguendone le suggestioni ci siamo trovati di fronte ad un bivio emblematico lungo il nostro cammino.
Un bivio da cui partono due possibilità:
una è quella di continuare a condividere cose belle e magnifiche solo perché lette nei libri, senza che siano state realmente vissute e comprese; cose che però non provocano elaborazioni profonde, ma suscitano solamente larghi consensi, perché in fondo non cambiano e non possono cambiare veramente nulla di strutturale, soddisfacendo e consolidando così la propria idea di coscienza ma impedendole praticamente una reale possibilità di nascere ad una propria autonomia;
l’altra è quella di dire e fare cose di cui si comprende realmente il senso perché provengono dalla nostra più intima essenza; tali parole e tali gesti colpiscono con diversa forza la nostra coscienza, che è matura per affrontarne le logiche conseguenze pratiche in modo sufficientemente libero e responsabile.
Tuttavia, anche se chiamata dal nostro essere più profondo, questa seconda possibilità si scontra con le tendenze abitudinarie volte a mantenere le cose come sono.
Mentre l’essere che anela al VERO è disposto a tutto per perseguirlo.
Un tutto che richiede di fare almeno un primo passo nella sua direzione; mettere in discussione ogni certezza e ogni autorità esterna, accettando la responsabilità e conseguenze dei propri atti indipendentemente dal nome col quale sarà identificato lo stato di coscienza che si configurerà di conseguenza:
una assenza di narcosi!
E con il rischio, sempre presente, di scivolare in una narcosi ancora più profonda, convincendosi, ancora più radicalmente e “onestamente”, del contrario.
Chi può intendere in+tenda; gli altri tutti sdraiati a guardar le stelle!
(parole del qual significato, come dei precedenti, non son certo!).
Foto e testo
Pietro Cartella
© 2024 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata
Scarica in PDF