Dal mistero della Resurrezione al Sacro Lino conservato in Duomo
Secondo la tradizione, la Sindone (o Sacro Lino) è il tessuto che avrebbe contenuto il corpo di Gesù, dalla morte in Croce alla Resurrezione. Una prima testimonianza di questi due eventi ci viene dal racconto dell’evangelista Giovanni.
La sepoltura di Gesù. «Dopo questi fatti, Giuseppe d’Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa venti libbre (1). Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della parasceve dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino» (Gv 19, 38 – 42).
E’ una concreta e poetica descrizione della traslazione di un corpo, da un luogo di sofferenza e morte, ad un sepolcro nuovo dove depositarlo.
La Resurrezione di Gesù. «Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro, e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che erra giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20, 1 – 8).
Il fatto è avvenuto: Maria di Magdala si reca al sepolcro, trova la pietra ribaltata, le bende per terra e il sudario “piegato in un luogo a parte”. Una descrizione minuziosa, per un fatto che non i discepoli riescono a comprendere, che anche la razionalità fatica a capire, a distanza di oltre duemila anni.
Il sudario e le bende, quindi: due oggetti diversi, che i discepoli trovano in due posti diversi. Possono essere la Sindone e la Veronica, giunti sino a noi e venerati oggi in luoghi diversi? A questa domanda, soltanto la fede può dare risposta.
A Torino, all’interno del Duomo, è conservata la Sindone, sulla quale la Chiesa non ha dichiarato un dogma di fede, né pronunciato una parola definitiva, sia prima che dopo i contestati esami al carbonio14.
Ci introduce nel luogo sacro Monsignor Silvio Solero (1889-1968), canonico e teologo del Capitolo Metropolitano di Torino, nel 1956 autore del testo Il Duomo di Torino e la R. Cappella della Sindone (Alzani Editore, Pinerolo), con una breve storia delle chiese precedenti.
«Le tre vetuste basiliche, che per 10 secoli erano state insieme la Cattedrale e la Chiesa madre di Torino, incominciarono nel 1490 a cadere sotto il piccone demolitore.
Esse erano fatiscenti e pericolanti, non lo neghiamo. Ma quante memorie – sepolcri, lapidi, monumenti – custodivano dai tempi di San Massimo a quelli dei due Vescovi di Romagnano!
Esse tre chiese erano state per mille anni il sacrario delle più care memorie del popolo, il simbolo e l’espressione monumentale della storia e della tradizione torinese… Là, fra quelle mura, avevano pontificato Vescovi apostolici e santi, provvidi e guerrieri; là avevano orato Papi e Imperatori, come Carlo Magno e Federico Barbarossa, Eugenio III e Martino V. I Dinasti Sabaudi – dalla Contessa Adelaide, ava della Casa, al primo Duca Amedeo VIII – avevano mirato nel San Giovanni il simbolo delle loro ascendenti fortune in attesa di ricingerlo con la loro reggia fastosa e severa» (pag. 42).
L’area sacra su cui sorge oggi il nostro Duomo era anticamente costituita da tre chiese paleocristiane, probabilmente edificate sulla base di edifici pubblici o templi pagani preesistenti, dedicate a San Salvatore, a Santa Maria di Dompno e a San Giovanni Battista.
La principale fra le tre viene consacrata al Battista dai Longobardi, sotto Agilulfo (re dal 591 al 615), la cui moglie, Teodolinda, fa proclamare san Giovanni patrono del regno. Nel 662 la chiesa di San Giovanni sarà teatro di un cruento fatto di sangue, in una lotta di successione al trono longobardo» (2).
Quando arriva alla Sindone, Mons. Solero scrive: «La Sindone è quel sacro Lino o Lenzuolo, nel quale Giuseppe d’Arimatea – dopo aver deposto il corpo di Gesù morto sulla croce – lo avvolse e ripose nel sepolcro.
La S. Sindone – che da cinque secoli è proprietà della Real Casa di Savoia e da oltre due secoli e mezzo è custodita nella Cappella Guariniana sovrastante al Duomo di Torino – è una tela di lino spiegato, cioè tessuta a spina di pesce alla maniera di Damasco, misurante m. 4,36 di lunghezza per 1,10 di larghezza. Il suo colore, originariamente bianco, è oggi quasi di color avorio, offuscato sia dal tempo che dal fumo e dal fuoco d’un incendio scoppiato nella santa Cappella di Chambéry nel 1532, come diremo».
Quarantasei anni dopo l’incendio, nel 1578, la Sindone viene trasferita da Chambéry a Torino e diventa la reliquia sacra che non lascerà più la nuova capitale di Casa Savoia (eccetto brevi spostamenti in tempi di guerre o aggressioni straniere).
In quel lontano 1956, Mons. Solero ci offre un punto di osservazione privilegiato sul più misterioso e affascinante reperto della cristianità, ben prima che si versino fiumi di inchiostro in dissertazioni e descrizioni (sia favorevoli che contrarie alla Sindone). Egli non poteva prevedere che un altro e più disastroso incendio avrebbe messo a repentaglio la sopravvivenza e la conservazione della reliquia, alle soglie del Terzo Millennio, quando l’azione del fuoco, nel 1997, devasta in gran parte la Cappella della Sindone, con i suoi manufatti d’arte; un lunghissimo e minuzioso lavoro di recupero e restauro ha portato alla riapertura del luogo sacro, in una rinnovata scenografia storica e visiva.
Ci auguriamo, quindi, che per il 2025 si prepari una nuova Ostensione, per far uscire dal buio della Teca la Sindone e offrirla di nuovo ai fedeli e ai pellegrini che vorranno onorarla della loro visita.
Note
- Venti libbre equivalgono a poco più di trenta chili. Tale misura sta ad indicare l’importanza della persona defunta, il cui corpo andava trattato con ogni riguardo e cura.
- Per questa oscura vicenda, cfr. Luigi Cibrario, Storia di Torino, pag. 82 e Milo Julini – Ezio Marinoni, Torino bianca e noir, Graphot, 2023, pagg. 34/35.
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