A Torino, oltre all’antica Abbadia di S. Giacomo di Stura, si svolgevano grandi festeggiamenti sul Po.
Il culto riservato a questo santo, che ha il suo apice a Compostela e a Pistoia, anche a Torino è assai antico. Nell’area nord della città, l’origine del monastero – ospedale di S. Giacomo di Stura risale al 1146 quando Pietro Padisio, giureconsulto torinese, fonda l’abbazia assegnando a Vitale, monaco di Vallombrosa (FI), numerose terre per farvi sorgere un ospedale con la duplice funzione di assistenza ai pellegrini e cura dei lebbrosi. Alcuni anni dopo i Vescovi di Torino, i Marchesi di Monferrato e i Conti di Savoia arricchiscono l’abbazia con cospicue donazioni. Il Papa Martino V interviene nella disputa fra i Savoia e i Marchesi del Monferrato, aggregando i beni e le proprietà dell’abbazia alla Mensa Arcivescovile di Torino. I monaci controllavano il traghetto sulla Stura, nasce da qui il nome di “Regione Barca”, ancora oggi in uso. Nel Settecento l’Abbadia di Stura diventa parrocchia per la piccola comunità locale e il Cardinal Roero, Arcivescovo di Torino, fa costruire un arco d’ingresso all’Hortus Conclusus (il giardino delle erbe, N.d.A.), rinnovando la chiesa secondo il gusto barocco, come si legge sopra la lapide marmorea, ornata dello stemma cardinalizio con tre ruote, che sovrasta tutt’oggi il portale. L’Abbadia ha un ruolo importante nella bonifica della zona: si deve all’opera dei monaci la rete di “bialere” che caratterizzava questa zona, abitata in prevalenza da comunità di lavandai, fino ai primi decenni del Novecento.
Nel 1954 l’Abbadia viene dichiarata pericolante e vi sono sospese le funzioni religiose, nel 1960 è sconsacrata. In stato di semiabbandono, con strutture fatiscenti, l’antica Abbadia di Stura è oggi proprietà privata, in parte adibita a civile abitazione.
Nella tradizione torinese la ricorrenza di S. Giacomo si celebrava all’ombra del Monte dei Cappuccini, nel Borgo Po, sulla riva destra del fiume, di fronte alla piazza Vittorio Emanuele (ora piazza Vittorio Veneto). Il 25 luglio di ogni anno un grande barcone infiorato, seguito da altre imbarcazioni addobbate a festa, trasportava una tinozza colma di pesci, infiocchettati uno per uno. Dopo la benedizione nella scomparsa chiesa di San Lazzaro (1), i pesci venivano gettati in acqua e i giovani pescatori si tuffavano subito dopo. Il primo che ne prendeva uno con le mani veniva proclamato Re della Festa, che si sarebbe protratta fino a notte inoltrata con musiche, balli e fuochi d’artificio.
Come si svolgeva questa festa? Entriamo nel vivo della memoria cittadina più antica. Alle ore 11 antimeridiane parecchie barche parate a festa si muovono sul Po, al di sotto del Monte dei Cappuccini. Su una imbarcazione di maggiori dimensioni, adorna di drappi e bandiere, si raccolgono i capi della festa (gli Abbà), la banda militare, un picchetto di soldati e i giovani che gareggeranno nella pesca sportiva. Circa mezz’ora dopo le barche si muovono, attraversano il fiume fino alla scomparsa chiesa di San Lazzaro, dove gli Abbà scendono a terra per far benedire una ventina di pesci raccolti in una tinozza; le barche si dispongono, quindi, a formare un quadrato al centro del Po. Il capo della festa getta i pesci in acqua, adorni di nastri, dopo aver fatto loro compiere un arco in aria. I giovani in gara si gettano nel fiume, per raccogliere con le mani i pesci gettati poco prima. Chi afferra il pesce di maggiori dimensioni è proclamato Re della Festa.
Nel corso del tempo la festa perde man mano importanza, a metà Ottocento rimangono un ballo e una fiera nel quartiere di Borgo Po.
In passato, inoltre, molte trattorie portavano il nome “Ai pesci vivi”, probabilmente in ricordo di questa festa; un nome che è andato via via perdendosi, fino a rimanere il ricordo di un passato remoto.
Una incisione del 1861, in vendita on line, rappresenta “La Festa popolare di San Giacomo sul fiume Po a Torino”, tratta da una rivista dell’epoca. Una simile opera si ritrova con la data di quattro anni dopo, sempre in vendita sul web; anche in questo caso, aiuta a fare memoria di un antico avvenimento perduto.
Note
1.La contrada e il vicolo di San Lazzaro, con l’omonimo cimitero, erano in corrispondenza al fondo dell’attuale via dei Mille. Qui viene sepolta, fino alla soppressione, la “Dama Velata” di Torino.
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