Una corona contro Hitler, di Alessandro Mella
Il 28 agosto 1943 a Sofia faceva molto caldo, il Re da giorni dava segnali di malessere lamentando una pesantezza insopportabile sul petto ma nessuno, probabilmente, immaginava che quel giorno stesso egli avrebbe chiuso gli occhi per l’ultima volta.
Boris III di Bulgaria era asceso al trono nel 1918 quando suo padre aveva abdicato dopo la pesante sconfitta subita nella Grande Guerra europea. Aveva solo 24 anni ma carattere, cultura ed animo formidabili.
Nel 1930 aveva sposato la Principessa Giovanna di Savoia, figlia del Re d’Italia Vittorio Emanuele III, diventata così Regina consorte di quel magnifico paese che è ancor oggi la Bulgaria.
Come tutti i sovrani, pur facendo valere il proprio ruolo, Re Boris regnava ma non governava dovendo mediare con le intenzioni dei politici del suo paese i quali, nel frattempo, avevano avvicinato sempre più il paese alla Germania ed alle forze dell’Asse. Al punto che in molti accusarono, poi, il sovrano di manifesta connivenza con i nazisti, accusa poi gonfiata a dismisura dal regime comunista.
Le cronache disinteressate e libere da faziosità, oggi, gli riconoscono l’aver tollerato malvolentieri quell’ingombrante vicinanza. Con la guerra l’allontanamento si fece sempre più marcato. Aldilà dei sorrisi diplomatici di circostanza, tra il Re di Bulgaria ed Hitler si allargava sempre più una crepa insanabile che traeva origine nel marcato rifiuto delle autorità bulgare di consegnare gli ebrei al Terzo Reich e nell’atteggiamento tenuto dalla Bulgaria rispetto al conflitto in corso.
Ma cosa accadde in quell’agosto 1943?
Il sovrano si era recato in Germania, al Quartier Generale di Rastenburg, per un burrascoso incontro con Hitler il quale, irritato per lo spirito indipendente del governo bulgaro, l’aveva fatto attendere in estenuante e lunga anticamera.
Al dittatore tedesco pesava, ancor più della protezione accordata agli ebrei bulgari, la resistenza opposta da Re Boris all’ipotesi d’una sua impopolare dichiarazione di guerra alla Russia. Del resto la Bulgaria già stava vivendo l’incubo dei bombardamenti per via del conflitto dichiarato agli angloamericani ed inoltre i bulgari sentivano comunque antichi legami e antica simpatia per lo “zio Ivan”.
Nel suo volume autobiografico, il figlio Simeone II scrisse a pagina 92:
«Il suo viaggio in Slesia era durato soltanto tre giorni, ma era rimasto sconvolto da quell’incontro, perché i dibattiti con Hitler erano stati movimentati: dapprima mio padre aveva rifiutato che toccassero i nostri compatrioti ebrei, poi d’inviare truppe bulgare sul fronte orientale. (…)
Il segretario del Re, Slavomir Balan, che aveva fatto il suo viaggio con lui avrebbe in seguito riferito che il volto del “capo” era livido. (…) Da parte sua Hitler temeva che mio padre volesse uscire dalla guerra, come l’Italia avrebbe presto fatto. Sospettava una alleanza in questo senso tra le due famiglie reali. Alcuni dissero che, opponendosi in quel modo ai nazisti, avesse firmato la sua condanna a morte, ma rispetto a questa questione occorre mantenersi prudenti. Il Re Boris fu accusato ingiustamente di collaborazione con loro, mentre al contrario lottava per salvare quei sette milioni di compatrioti».
Al ritorno, dopo alcuni giorni, il sovrano morì per una grave angina pectoris dopo una strana agonia che alimentò una lunga serie di leggende e ipotesi.
I nazisti, consapevoli di passare per i principali mandanti, diffusero la voce che egli fosse stato avvelenato dai servizi segreti inglesi o addirittura da Casa Savoia attraverso le vitamine e ricostituenti che Vittorio Emanuele III, tramite la Svizzera, gli faceva pervenire.
Accusarono perfino la Principessa Mafalda, sorella di sua moglie che morì poi prigioniera nei lager nazisti l’anno dopo.
I più, invece, sostennero che fossero stati proprio i tedeschi a punire il coraggio di Boris III avvelenandolo. Forse attraverso le maschere d’ossigeno del velivolo personale di Hitler, il focke wolf 200, con cui il Re era rientrato in patria.
Nella già citata autobiografia di Re Simeone II, a pagina 96, si legge:
«Nel suo taccuino mia zia Eudoxia scrive: “I nazisti gli hanno bruciato i polmoni…”. Hans Baur, il pilota dell’aereo tedesco, che era stato prigioniero in Russia, e che mia sorella incontrò di nuovo dopo la guerra, le confermò che era impossibile che il Re fosse stato avvelenato durante il volo: “Principessa, il mio copilota ed io non avremmo mai permesso a uno di quei porci di avvicinarsi all’aereo, ancora meno di entravi, SS o Gestapo che fossero”».
Baur, in quanto pilota personale di Hitler, indossava l’uniforme delle SS per ragioni d’opportunità politica. Tuttavia la sua testimonianza è credibile dal momento che il ruolo gli imponeva di proteggere il velivolo da chiunque, tanto più che congiure ed attentati non si potevano mai escludere a priori contro lo stesso führer.
È ragionevole supporre, quindi, che tale dichiarazione abbia del vero.
Ci fu chi considerò anche l’ipotesi che l’avvelenamento potesse esser stato organizzato dai sovietici per sbarazzarsi di un ostacolo al loro ormai prossimo controllo sulla Bulgaria ma è ipotesi piuttosto controversa.
In effetti ad oggi, 2018, nessuno è in grado di stabilire se il sovrano morì per cause naturali o se la sua morte fosse stata indotta con veleni o altri artifizi meschini e vili.
La certezza è che la morte di Boris III aprì, alla Bulgaria, la strada dell’abisso.
Alla scomparsa improvvisa del padre il giovanissimo Principe Simeone ascese al trono con la reggenza dello zio Principe Cirillo. Ma la guerra fu fatale per il Regno di Bulgaria spazzato via dalla protervia comunista.
Solo dopo la crisi del blocco sovietico la infamante propaganda marxista smise di gettare fango sulla Casa Reale ed il Re Simeone poté tornare in patria per rivendicare, con legittimo orgoglio, anche il ruolo storico di primaria importanza di suo padre.
Finalmente la figura di Boris III ha trovato, in Bulgaria ed in Europa, la giusta collocazione nella memoria collettiva grazie ad un attento studio della verità storica. Studio libero dai tutti i condizionamenti di parte e della faziosità della vulgata postbellica.
Oggi, 28 agosto 2018 e a settantacinque anni dalla sua morte, possiamo indicarlo serenamente come esempio di coraggio, eroismo, dignità, umanità e amore per la libertà. Egli non fu “unicamente” un Re ed un capo di stato ma fu prima di tutto un vero “padre della Patria” per una Bulgaria in marcia verso un futuro tutto da costruire anche nel nome e nel ricordo di chi spese la propria vita per la sua libertà.
Alessandro Mella
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