Maometto, un mistero irrisolto
Risulta molto difficile per gli studiosi esprimere un parere privo di qualche ragionevole dubbio, sui rapporti autentici che intercorsero tra Dante e la religione islamica.
Dante conosceva molto bene l’Islam, il suo Maestro Brunetto Latini, possedeva una biblioteca fornitissima, con numerose traduzioni di testi musulmani e rare opere provenienti da ogni parte del mondo. Diventa facile supporre che Dante le potesse consultare.
Nel suo Capolavoro, il Poeta, colloca alcuni esponenti della religione islamica nel Limbo e nell’Inferno.
Il Limbo, la cui esistenza, ricordiamo, non ha mai trovato una precisa conferma nella Teologia cristiana, venne definitivamente abolito nel 2007 da papa Benedetto XVI.
Dante pone il Limbo nel primo Cerchio dell’Inferno, complanare all’Antinferno, e separato da quest’ultimo dal fiume Acheronte.
E’ anche probabile che il Limbo sia stato, per il Poeta, uno strumento molto utile per offrire una collocazione di comodo, togliendosi da situazioni che avrebbero potuto creare un certo imbarazzo.
Tre personaggi islamici particolarmente significativi che vivono nel Limbo dantesco sono: Averroè, Avicenna e il Saladino.
La presenza di questi illustri personaggi nel Limbo appare misteriosa.
Averroè, il filosofo nato a Cordova nel 1126, scrisse un’opera su Aristotele che Dante stesso definisce un “gran comento”, sostenendo apertamente l’averroismo cristiano che si poneva in netto contrasto con il pensiero di Tommaso d’Aquino. Il più noto esponente dell’averroismo cristiano fu Sigieri di Brabante, considerato eretico ma posto da Dante in Paradiso.
L’oggetto del contendere tra averroisti e cristiani fu sostenere, dai primi, che fosse possibile vedere Dio anche da vivi, mentre per i cristiani e per l’aquinate questo non era assolutamente possibile.
Tutta la Divina Commedia assume quindi un colore averroista, così come averroista è il Libro della Scala, nel quale viene descritta la visione di Dio da parte di Maometto.
Altra presenza imbarazzante, o quantomeno misteriosa, è quella del Feroce Saladino, il più temuto avversario della cristianità e protagonista assoluto delle crociate che, forse, avrebbe dovuto meritare una collocazione meno generosa.
Il punto cruciale che ha creato non poche questioni, anche in tempi recenti, è la posizione di Maometto.
Il Profeta musulmano viene posto nel XXVIII Canto dell’Inferno:
Mentre che tutto in lui veder m’attacco, 28
guardommi, e con le man s’aperse il petto,
dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco!
vedi come storpiato è Maometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
Il Profeta viene accusato di scisma, avendo Egli, come allora si credeva, separato una parte dei fedeli cristiani convertendoli all’Islam. Per questo motivo viene descritto con il petto squarciato. Il contrappasso è evidente.
Come sostiene giustamente la dantista Maria Soresina, a qui tempi non era illogico porre Maometto all’Inferno, semmai incomprensibile il Saladino nel Limbo. Ora i tempi sono cambiati e la presenza di Maometto all’Inferno crea un comprensibile disagio.
Dante nei versi riferiti a Maometto e a suo genero Alì, fa compiere al Profeta islamico una autentica profezia post eventum:
Maometto dice a Dante di avvisare Fra Dolcino di armarsi di vivanda, cioè di fare scorta di provviste, per superare il blocco delle vie di comunicazione dovuto alla neve di un rigidissimo inverno che avrebbero potuto dare la vittoria al vescovo di Vercelli, cosa che infatti avvenne nel 1307 (l’Inferno fu scritto in quel periodo storico tra il 1307 e seguenti).
Per quale motivo, si chiedono alcuni, Maometto avrebbe dovuto far avvisare Fra Dolcino ? … Resta un mistero.
Uno studioso arabo, Fuad Kabazi, ipotizzò addirittura che non sia stato Dante a mettere Maometto all’inferno, bensì suo figlio Pietro. Pietro figlio di Dante e Gemma Donati, potrebbe aver compiuto una autentica sostituzione.
Lo studioso ipotizza che la sostituzione abbia interessato la figura di Gherardo Segarelli, predicatore e fondatore della setta degli Apostolici, che aveva tra i suoi seguaci proprio Fra Dolcino.
In altre parole, Fuad Kabazi, sostiene che Pietro Alighieri abbia volutamente contraffatto un frammento (terzina?) inserendo il nome di Maometto al posto di Segarelli.
Lo studioso ovviamente non propone un possibile testo alternativo a mano di Dante, si limita a sostituire il nome di Segarelli a quello di Maometto.
…Mentre che tutto in lui veder m’ attacco,.
guardommi, e con le man s’ aperse il petto,
dicendo: “Or vedi com’ io mi dilacco!.
vedi come storpiato e’ Gherardo Segarelli! (Maometto)
.Dinanzi a me sen va piangendo Ali’ ,…”.
Ovviamente nella proposta di Kabazi non c’è nessuna pretesa di rispetto della metrica o delle assonanze, la terzina indicata è di 15 sillabe e non fa certo rima con “petto”, questo dimostra solo l’aspetto ipotetico della proposta di Kabazi, senza offrirci alcuna accettabile alternativa vagamente proponibile.
A titolo d’esempio, o meglio di divertissement, avremmo potuto almeno prendere in considerazione qualcosa di più accettabile come:
Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi, e con le man s’aperse il petto,
dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco!
Vedi Gherardo innanzi tuo cospetto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
Sebbene sia sempre pericoloso, se non ridicolo, scherzare con Dante si sarebbe reso necessario correggere anche il nome di Alì… ma forse le cose si sarebbero complicate oltre ogni accettabile misura. Resta quindi un’ipotesi che galleggia sul mare delle possibilità poco probabili, un mare procelloso e ricco di naufragi.
Proponiamo un’altra interessante osservazione di Maria Soresina pubblicata sul Web:
… Nel 1928 il prof. Luigi Valli pubblicò Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore. I «Fedeli d’Amore» erano i poeti del cosiddetto Dolce Stil Novo. Luigi Valli ha analizzato tutte le loro poesie e ha scoperto che usavano un linguaggio segreto. Tra le tante parole che Valli ha decodificato c’è anche «pietra», che significava nelle loro poesie la Chiesa di Pietro (cioè la Chiesa di Roma), la Chiesa che «impietra» come la Medusa.
Ora Malebolge, il cerchio in cui si trova Maometto, viene introdotto con queste parole:
Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno.
Malebolge è un luogo di «pietra». Quindi rappresenta la Chiesa. A confermarlo ci sono altre piccole cose: per esempio, la basilica di San Pietro viene nominata due sole volte in tutta la Commedia: entrambe in Inferno, entrambe in Malebolge.
E non è tutto: Dante dà due sole volte nel poema l’indicazione di una misura precisa, espressa in miglia. Entrambe riguardano Malebolge: della penultima bolgia, che, guarda caso, è proprio quella in cui c’è Maometto, dice che miglia ventidue la valle volge, e della successiva ch’ella volge undici miglia. Secondo i critici Dante voleva dire solamente che le bolge diventano più strette man mano che si scende e se dà delle dimensioni esatte è solo, affermano, «per un preciso senso di realismo descrittivo». No! La misura di «ventidue miglia» (quella della bolgia in cui c’è Maometto) ha un valore particolare, di cui i critici si guardano bene di parlare: ventidue miglia era, allora, la lunghezza delle mura della città di Roma, ovvero della sede della Chiesa. Lo riportano i documenti ufficiali dell’epoca, nei quali del «murus civitatis Romae» è detto: «In circuitu vero sunt miliaria XXII». Documenti che evidentemente Dante conosceva: evidentemente, perché altrimenti non avrebbe dato proprio questa misura e proprio qui.
A questo punto chi mai saranno i neri cherubini, come Dante chiama i diavoli che governano Malebolge? Sono gli uomini della Chiesa. Sono loro che «storpiano» Maometto.
Per concludere è possibile che Dante avesse a cuore l’Islam e tutta la cultura musulmana, sicuramente la collocazione di Maometto nell’Inferno lascia molto perplessi, come lascia perplessi quella di Farinata degli Uberti e di altri personaggi che condividevano col il Poeta posizioni non troppo ortodosse. A quei tempi si scherzava poco e le affermazioni che riguardavano altre confessioni religiose o altre posizioni politiche potevano creare serissimi problemi. Dante scrisse la Commedia dall’esilio con una condanna a morte che gli pendeva sul capo. Viene quindi da chiedersi se le collocazioni di molti personaggi nei tre ambienti dell’oltretomba siano da considerarsi in linea col pensiero di Dante o non siano invece frutto di compromessi politico-religiosi.
Viene anche da chiedersi se l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso danteschi siano in linea con l’ortodossia e la Teologia cristina… spesso la collocazione di alcuni personaggi crea forti dubbi.
Dante era coltissimo e non poteva sicuramente aver trascurato gli scritti arabi e l’escatologia di quei popoli. Il confronto tra le topografie dantesca e araba offre al lettore ampi spunti di approfondimento e la sensazione che la Conoscenza, o Canoscenza per dirla con il Poeta, sia un bene a cui tendere risulta essere un’ovvia conclusione.
Per chi volesse approfondire:
http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/dante-e-lislam/
http://www.ernandes.net/kabazi/tesi.htm
https://medievaleggiando.it/gherardo-segarelli-lapostolo-di-parma/
Fine della quarta e ultima parte.
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