Sanità e privacy al giro di boa. Il Ministro Schillaci corre verso la digitalizzazione dei servizi ma non tutti son concordi.
In questi giorni si fa un gran parlare della scomparsa delle famose ricette bianche, in formato A5, che i medici ci facevano per prendere antipiretici, sonniferi, antinfiammatori, necessitevoli di prescrizione per essere ritirati in farmacia.
In tutti gli organi di informazione se ne parla e non manca la giusta contrapposizione tra favorevoli e contrari.
Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, padre putativo di questa “rivoluzione”, ha dichiarato: “E’ stata una misura condivisa con i medici per diminuire il carico di lavoro amministrativo”.
Viene spontaneo chiedersi: perché non condividere la decisione anche con i pazienti?
Quando si parla di salute e sanità sembra che gli unici attori con voce in capitolo siano i “camici bianchi” ma – e il Covid-19 avrebbe dovuto insegnarcelo – nelle decisioni che riguardano la salute pubblica tutti i coinvolti debbono aver diritto di parola, in special modo gli ammalati.
Tra l’altro, come fanno sapere dalla Redazione di “AdnKronos”, “l’Ordine dei Medici ha espresso perplessità relative alla tenuta dei sistemi informatici di supporto alla massa di prescrizioni previste”.
Nonostante ciò, il Ministro Schillaci ha sostenuto che questa è “una riforma importante che va proprio in direzione di rendere più facile e meno burocratico il lavoro soprattutto dei medici di famiglia”.
Nell’edizione delle 12:00 del TG4 dell’11 novembre scorso, in un puntuale servizio di Tito Giliberto, si è detto: “Addio a ricetta medica su carta, sostituita da un codice su WhatsApp. Con l’anno prossimo scompare la prescrizione del dottore per i farmaci comprati direttamente dal paziente. Basterà andare in farmacia e mostrare il messaggio sul telefono. Non sarà necessario passare dallo studio medico a ritirare il classico foglietto”.
Tutto questo fa indignare, e non poco, le associazioni dei consumatori, i sindacati e i giuristi. Questa nuova fase procedurale prevede, infatti, che il cittadino debba scaricare WhatsApp – di proprietà di Mark Zuckerberg – e debba fornire il suo account al medico di base.
Dove sta scritto che una persona deve avere sul proprio telefono un’applicazione che magari non vuole avere? Migliaia di italiani, tanto per fare un esempio, hanno sostituito WhatsApp con Telegram e Facebook con VKontakte, per non aver più nulla a che fare con il magnate della Silicon Valley, incline alla censura e al blocco dei profili.
Per quale motivo, dunque, il Ministero della Salute ha preso una così importante decisione senza ascoltare chi tutela i consumatori e i contribuenti?
Prosegue Tito Giliberto: “Il sistema informatico si allarga ai farmaci di “Classe C” come, ad esempio, alcuni sfebbranti, antinfiammatori, o sonniferi a pagamento. Col nuovo anno, dunque, l’ultimo tipo di ricetta cartaceo, rimasto in uso fino ad oggi, dovrebbe sparire”.
Questa mossa del Ministero della Salute va nell’ottica di avere “fascicoli sanitari” sempre più completi e alla mercé di chiunque.
Il paziente, ormai, di fatto, non ha più il diritto di tenere per sé la propria storia clinica ma deve – praticamente in modo obbligato – condividerla con migliaia di soggetti che hanno accesso a tali piattaforme.
Uno dei componenti della Segreteria Nazionale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG), il dottor Paolo Misericordia, intervistato dal TG4 ha detto: “Abbiamo utilizzato da molti anni ormai il Sistema della Ricetta Elettronica e abbiamo apprezzato i vantaggi, soprattutto durante l’epidemia Covid, però dobbiamo renderci conto che, in alcuni momenti, questo sistema non funziona. Non possiamo interrompere l’attività assistenziale per nessun motivo, tantomeno perché non funziona un sistema elettronico”.
Argomentazioni valide che il dottor Misericordia adduce ad una tesi decisamente da ponderare. Non si può fare di tutta la nazione un unico calderone. Nei paesi di alta montagna, per esempio, basta una nevicata per mandare “in pappa” il sistema. Cosa si fa? Si negano i farmaci a chi ne necessita?
La corsa alla digitalizzazione dei servizi, il ricorso esagerato all’Intelligenza Artificiale, il voler, ad ogni costo, costringere l’utente ad essere iscritto su piattaforme dove chiunque può entrare è pericoloso ma, soprattutto, lesivo della privacy.
Alcuni avvocati hanno già detto che si prevedono valanghe di istanze al Garante per la Protezione dei Dati Personali che, per funzione e attribuzione, dovrà mettere al primo posto il diritto del consumatore e dell’utente.
Già nel settembre 2023, il Garante per la Protezione dei Dati Personali aveva stilato un “Decalogo per la realizzazione di servizi sanitari nazionali attraverso sistemi di Intelligenza Artificiale”, nel quale diceva con chiarezza che si debbono “ridurre i rischi per i diritti e le libertà degli interessati, con particolare riferimento al rischio di discriminazione, che potrebbe verificarsi relativamente all’accesso alle cure, alla quota di partecipazione al costo in carico all’assistito e addirittura all’appropriatezza dei percorsi diagnostici e terapeutici”.
La questione è molto delicata. Con la salute non si scherza e con la privacy ancor meno.
Con tutte le iniziative che si devono prendere per migliorare il SSN proprio con questa boiata il ministro deve perdere tempo?