
Due torinesi, il senatore Giovanni Agnelli e l’imprenditore Guido Segre, giocano un ruolo significativo nella prima parte del Novecento
Al di là della tragedia del 1940, quella dell’Arsa è una storia affascinante e rimosso dalla memoria, della quale sinora si sono occupati solo il Circolo di Cultura istro-veneta “Istria”, che ha editato una pubblicazione bilingue in italiano e croato e l’Associazione “Undecimum” di San Giorgio di Nogaro che ha ripubblicato un quaderno storico sulla tragedia.
Il fatto storico risale al 28 febbraio 1940, in cui muoiono 185 minatori italiani (bilancio superiore alla tragedia di Marcinelle, in Belgio) e oltre 150 rimangono feriti.
Partiamo dalla storia di questo distretto minerari. Lo sfruttamento del bacino carbonifero dell’Arsa ha una lunga storia; viene codificato da due decreti di inizio Ottocento di Eugenio di Beauharnais, viceré francese del Regno d’Italia napoleonico. In realtà si tratta di regolamentazioni dell’attività estrattiva preesistente: già nel 1785, durante il dominio veneziano, a Carpano una quarantina di operai producevano annualmente circa 560 tonnellate di carbone. Nella prima metà dell’Ottocento il pacchetto azionario delle prime miniere vere e proprie passa nelle mani dei Rothschild.
Le dure condizioni di lavoro ed i bassi salari sono all’origine di molte agitazioni operaie, fin dal 1861; il primo sciopero avviene il 14 marzo 1883. Nel 1867 a Carpano viene fondata la “Società di mutuo soccorso”, la prima associazione dei minatori.
Nel 1881 il nuovo consorzio Trifailer Kohlen Gesellschaft vi opera notevoli investimenti. In quel periodo le miniere danno lavoro a un migliaio di operai e la produzione si aggira sulle 90.000 tonnellate annue.
A cavallo di fine secolo si prodigano per gli operai due figure illuminate, l’educatrice e letterata Giuseppina Martinuzzi e il barone Lazzarini, detto “il barone rosso”, per la sua ispirazione socialista. Un’ondata di nuovi scioperi dei minatori si ha, come nel resto dell’Impero Austro – Ungarico (“scioperi neri”), nel 1900. Nuove agitazioni avvengono nel 1901 e nel 1902.
I minatori hanno il sostegno del deputato Felice Bennati e del barone Lazzarini, che viene anche arrestato per minacce verso crumiri macedoni. Alla manifestazione operaia del Primo Maggio 1906 si avrà il discorso in italiano del barone Lazzarini.
Il gruppo viennese Trifailer Kohlen Gesellschaft possiede solo più il 40% delle azioni, il cui controllo viene acquisito a poco prezzo dalla famiglia Agnelli, che se ne libera presto, ritenendo l’investimento non redditizio per le condizioni del mercato post-bellico, la non ottimale qualità del prodotto e gli alti costi di estrazione. Agli Agnelli subentrano alcune banche e compagnie di navigazione triestine. Entriamo in questa complessa storia. Sono gli anni in cui gli interessi degli Agnelli si intrecciano molte volte con quelli di Riccardo Gualino, spesso con chiaroscuri ancora da chiarire, in una girandola di compravendite e cessioni di quote societarie, compresa la compagine azionaria detentrice della FIAT.
Nel 1919, quando le miniere istriane dell’albonese e dell’interno sloveno diventano di proprietà italiana, dopo la fine delle ostilità, a Trieste viene costituita la Società Anonima Carbonifera Arsa (o CarboArsa, o semplicemente Arsa),
Nello stesso 1919 il direttore della Trifailer, Julije Belak, è costretto a firmare un contratto di coproduzione con un gruppo di capitalisti e imprenditori italiani rappresentati da Guido Segre (1), arrivato a Trieste dal Piemonte nel 1918 come ufficiale decorato e rimastovi dopo il congedo. Nazionalista, si iscrive dal 1922 al Partito Fascista ed avrà un ruolo importante nella vita economica del territorio.
La figura di questo torinese merita una narrazione a parte. Guido (Isacco) Segre nasce a Torino il 7 novembre 1881. Il padre, agente di cambio, dopo il matrimonio assume una parte di primo piano nella gestione della banca di proprietà del suocero – la Ovazza & C., fondata nel 1866 –, un istituto finanziario privato di piccole dimensioni, attivo nel contributo allo sviluppo dell’industria regionale piemontese. Nella seconda metà del 1915, in un momento di difficoltà nella conduzione della FIAT, Guido Segre è nominato direttore amministrativo, ma dopo pochi mesi le divergenze con Giovanni Agnelli lo inducono a lasciare l’incarico. Trasferitosi a Trieste, vi rappresenta il gruppo FIAT, con il quale non ha dismesso i rapporti. Nel 1929 la Società Anonima Carbonifera Arsa (dal nome del fiume – odierno Raša – che attraversa la zona di Albona), presieduta da Segre e quasi in dissesto; nel 1930 riuscirà a salvarsi, grazie a un primo intervento dello Stato per contenere il passivo di bilancio e a un successivo finanziamento del Consorzio di credito per le opere pubbliche, che la porta il definitivo risanamento.
Torniamo alla vicenda strettamente carbonifera. Nell’estate 1920, dopo uno sciopero di diciotto giorni, inserito nelle agitazioni del “biennio rosso”, i minatori ottengono un aumento del 10% ed eleggono alla guida del loro sindacato il socialista Giovanni Pippan, che sarà oggetto delle violenze fasciste, uno dei fatti che daranno l’avvio all’interludio della “Repubblica di Albona”, stroncato nel sangue, nata nel 1921, dopo che i fascisti occupano la sede del Comitato dei Lavoratori a Trieste, lo incendiano e attaccano i rappresentanti del sindacato minerario. Sull’onda di questo evento e a causa dei sistemi sfruttatori dei proprietari della miniera dell’Arsa, la Società Anonima Carbonifera Arsa, circa 2.000 minatori scendono in sciopero, proclamano la repubblica nelle miniere occupate il 7 marzo con lo slogan Kova je naša (“La miniera è nostra”). Organizzarono un governo e la Guardia Rossa come protezione dalle forze dell’ordine italiane, iniziando a gestire da soli la produzione. L’8 aprile 1921 l’amministrazione italiana in Istria, rispondendo alle richieste di intervento dei proprietari delle miniere, decide di porre fine alla repubblica con un intervento militare.
Intanto, a Stermazio viene aperto il Circolo operaio “Giuseppina Martinuzzi” (3), che ormai ultrasettantenne continua a sostenere la causa dei minatori e la fratellanza internazionalista tra le genti italiche e slave. La Martinuzzi morirà ad Albona il 25 novembre 1925.
In quegli anni l’Arsa, Società Anonima Carbonifera, ha sede a Trieste in via D’Annunzio 4. Una pubblicazione pubblicitaria del 1935 descrive le miniere: oltre 150 chilometri di gallerie si intersecano nel sottosuolo fino a 250 metri sotto il livello del mare, dalle banchine del Canale d’Arsia grandi gru caricano sui piroscafi fino a 6000 tonnellate al giorno, mentre la cittadella operaia, con la chiesa di Santa Barbara e una piscina all’aperto di dimensioni olimpiche, ospita tremila minatori. L’Arsa è uno dei fiori all’occhiello del regime, i cinegiornali Luce raccontano al Paese le meraviglie dei moderni impianti di estrazione.
Dal 28 luglio 1935 fino al 1º maggio 1945, l’A.Ca.I. (la successiva Azienda Carboni Italiani), tramite la Società Anonima Carbonifera Arsa, gestisce le miniere di carbone (insieme ai relativi pozzi carboniferi) con gli impianti di produzione e, in regime esclusivo, amministra le strutture architettoniche e urbanistiche della città mineraria di Arsia delle frazioni minerarie, come Pozzo Littorio d’Arsia (oggi Piedalbona), e Vines e altri edifici sparsi nel territorio istriano.
L’A.Ca.I., diretta dal Segre, dà il decisivo impulso alla crescita produttiva, a seguito delle sanzioni comminate all’Italia dalla Società delle Nazioni. L’A.Ca.I. è una società a capitale misto pubblico e privato, la quale detiene l’Arsa e le miniere sarde del Sulcis, nell’ambito di un programma per valorizzare la produzione del carbone italiano. Da qui prende avvio la crescita industriale dell’Arsa ed è in questo contesto che le sue miniere di lignite diventano strategiche e vengono sottoposte ad uno sfruttamento intensivo senza precedenti, al punto che la produzione raggiunge in breve tempo il milione di tonnellate di carbone annue, grazie ad una forza lavoro di circa 7.000 addetti. A fare le spese di questa produzione febbrile e incosciente sarà la sicurezza dei lavoratori, al punto da mettere a rischio la loro stessa vita, fra silenzio e indifferenza. Infatti, già prima del disastro del 28 febbraio 1940, si verificano altri incidenti collettivi, di cui due particolarmente gravi, nel 1937 e 1939 che causano la morte di 13 e 7 operai.
Le vicende di confine successive alla Seconda Guerra Mondiale, il sistema dei blocchi contrapposti e le relazioni di vicinato con la Jugoslavia hanno prodotto una colpevole e omertosa rimozione dei morti dell’Arsa: in un tragico gioco a rimpiattino con l’oblio, i caduti sono stati considerati croati dall’Italia, italiani e fascisti dai croati. In realtà tra le maestranze ed i caduti si contano italiani, sloveni e croati, in una grande commistione da zona di confine, oltre a immigrati da tutto il nord Italia, dalla Toscana e dalla Sardegna. Nel 1935 si producevano 350.000 tonnellate circa con 1839 operai, nel 1936 raddoppiano la produzione e il numero degli addetti, nel 1939 si raggiunge il milione di tonnellate con quasi 9.000 operai. L’Arsa è diventata la più grande miniera d’Italia, mentre cade vittima delle leggi razziali anche l’architetto Gustavo Pulitzer, uno degli ideatori e realizzatori dell’avveniristico borgo è città razionalista di Arsia, ad emigrare negli Stati Uniti.
L’artefice principale di questo strepitoso sviluppo economico è proprio l’imprenditore Segre che, con l’Azienda Carboni Italiani collega le miniere sarde e quelle istriane e segna una svolta decisiva nello sviluppo dei rispettivi bacini minerari con l’intento di assicurare all’economia autarchica fascista la maggiore quantità possibile di combustibili, allo scopo di renderla il più possibile autosufficiente nel campo energetico.
Le miniere di carbone locali (con i relativi pozzi carboniferi) sono tante ed è giusto elencarle:
Miniera di Albona (Jama Labin o Rudnik Labin) e Miniera di Ripenda (Rudnik Ripenda o Jama Ripenda), Littorio d’Arsia o Miniera di Piedalbona (Rudnik Podlabin) e Miniera di Vines (Rudnik Vinež) nel territorio di Albona;
Miniera di Stermazio (Rudnik Štrmac) nel territorio di Santa Domenica, già Comune di Albona;
Miniera di Arsia (Kova Raša o Rudnik Raša o Ugljenokop Raša), Miniera di Capano (Rudnik Krapan) e Discenderia Valmazzinghi (Niskop Koromačno) nel territorio di Arsia;
Miniera di Sicciole (Rudnik Sečovlje) nel Comune di Pirano;
Miniera di Pédena (Rudnik Pićan) e Miniera di Tupliacco (Rudnik Tupljak) nel territorio di Pedena, già Comune di Pisino;
Miniera di Sottopédena (Rudnik Podpićan o Rudnik Potpićan) nel territorio di Chersano, già Comune di Pisino.
Veniamo, infine, a quel che si sa della strage di minatori consumatasi il 28 febbraio 1940. Siamo alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia. Segre è stato esautorato, dopo le leggi razziali, nonostante la sua adesione al fascismo dalla prima ora; alla dirigenza delle miniere si insediano «persone incapaci», come le definisce l’Ingegnere Capo del distretto di Firenze del Corpo Reale delle Miniere, Luigi Gerbella. La necessità di aumentare la produzione in vista dell’imminente sforzo bellico fa passare in secondo piano tutte le questioni legate alla sicurezza.
E così, dopo una serie di incidenti minori, alle 4.35 del 28 febbraio 1940 uno sparo mine nella Camera uno innesca una violenta esplosione di grisou, e l’ossido di carbonio satura tutti i cantieri limitrofi e la Camera tre. Le prime squadre di soccorso esplorano i livelli 14, 16 e 17 recuperando sessanta cadaveri e un centinaio di feriti. Nei giorni successivi il numero delle vittime cresce fino ad arrivare, il 24 marzo, alla cifra definitiva di 185 morti e oltre 150 feriti: cittadini italiani di nazionalità italiana, croata e slovena. La stampa fascista non diffonde la notizia, anche se si è trattato del più grande disastro minerario della storia per numero di vittime italiane. In prima battuta il “Piccolo” di Trieste relega la notizia della sciagura in seconda pagina, ponendo l’accento soprattutto sulla tempestività dei soccorsi e l’impegno dei dirigenti di regime.
Una storia italiana, dunque, aggravata dalla omertà e dal silenzio caduto su questa vicenda, che nessuno, al di fuori del piccolo territorio in cui è accaduta, vuole o ha interesse a ricordare.
Sitografia
https://www.adriaeco.eu/2017/03/03/a-ricordo-della-tragedia-mineraria-di-arsia/
dal quale è tratta la foto di copertina
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