
Assassinio in borgo Dora
Assassinio in borgo Dora, questo il titolo di una delle notizie di cronaca della Gazzetta Piemontese di mercoledì 22 dicembre 1886 dove leggiamo che
Ieri sera, verso le 06:30, due sconosciuti (un uomo e una donna) mandarono la fanciulla S. Margherita, di 10 anni (figlia ad un esercente cantina in via Ponte Mosca) a chiamare il signor Bevilacqua Lodovico, che trovavasi nel proprio negozio di maglierie al n. 14 di detta via.
Appena uscito fuori della bottega, non si sa bene se l’uomo o la donna, gli spararono contro due colpi d’arma da fuoco (probabilmente di rivoltella) che lo colpirono e ferirono al costato sinistro, quindi si diedero alla fuga e scomparvero.
Il povero Bevilacqua venne subito rialzato e portato nel proprio letto da alcuni suoi commessi, ma dopo pochi istanti cessava di vivere.
Pare si tratti di vendetta. Le autorità si recarono sul luogo.
La vittima dell’agguato è Lodovico Bevilacqua, fabbricante di maglie, di 41 anni, nativo di Verolengo. Lodovico è uno dei fratelli proprietari di una azienda che produce capi di maglieria, la Fratelli Bevilacqua. Hanno iniziato la loro attività undici anni prima, nel 1875, con uno stabilimento per allestire farsetti militari, i maglioni indossati dai soldati del Regio Esercito. La Fratelli Bevilacqua occupa un certo spazio nel panorama industriale torinese e uno dei suoi fondatori, almeno per un certo tempo, sarà al centro della cronaca giudiziaria cittadina.
L’omicidio Bevilacqua non ha oscure motivazioni. Il movente di quello che la Gazzetta Piemontese definisce «atroce assassinio» viene chiarito fin dal giorno seguente: l’amore.
Lodovico Bevilacqua amoreggiava con una sua operaia ventenne, Teresa Bonetto, abitante a Torino in una soffitta di via Santa Chiara n. 82. Era ammogliato e non poteva sposarla, le aveva promesso una forte somma di danaro, ma le aveva dato soltanto un anticipo di Lire 100. La Bonetto, stizzita, avrebbe deciso di vendicarsi organizzando l’omicidio in accordo col suo fidanzato, Cesare Ferrando, tornitore d 22 anni, cattivo soggetto secondo la Questura. Dopo, lei è riuscita a fuggire, ma al mattino del giorno seguente, si è costituita alla Polizia di Borgo Dora. Ferrando, invece, è latitante e si apprende che ha organizzato la fuga e si è rifugiato all’estero subito dopo il delitto. La Bonetto sostiene di non sapere dove sia andato.
Il clamoroso processo a Teresa Bonetto dovrebbe iniziare venerdì 15 luglio 1887 alla Corte d’Assise di Torino. Viene rinviato la mattina stessa in cui dovevano iniziare le udienze perché Ferrando è stato arrestato in Francia, pare a Nizza, per un altro delitto. Ha dato il suo vero nome e così le autorità francesi hanno chiesto informazioni su di lui. Da Torino si risponde che un Ferrando è accusato dell’uccisione di Bevilacqua e di interrogarlo in proposito: così lui ammette di essere il latitante ricercato. La giovane imputata non viene neppure condotta all’udienza, con disillusione del pubblico di curiosi.
Il processo contro la Bonetto e Ferrando inizia il 28 ottobre 1887 alla Corte d’Assise di Torino. Si svolge a porte chiuse. Malgrado questo, i cronisti si prodigano per accontentare la curiosità dei lettori e, soprattutto, delle lettrici, attratti da questo processo che ha come vittima un industriale torinese che ha avuto un tragico legame amoroso con una sua operaia.
Alcune cronache giudiziarie della Gazzetta Piemontese sono firmate da Giovanni Saragat, Toga-Rasa. È lui che parla di «processo del giorno a Torino» «destinato a diventare celebre, perché si svolge nel nome d’una donna e perché è una pagina in cui si rispecchia la vita del popolo di questa nostra città, coi suoi vizi, le sue miserie, le sue crudezze» e di una «brutta pagina di vita torinese».
La Bonetto è di carnagione bruna, con gli occhi neri, con l’aspetto di una ragazza buona; tiene la testa sempre bassa, avvolta da un velo nero, e indossa un vestito color cenere.
Ferrando è un bel giovane bruno, dagli occhi neri, pulito, contegnoso, con aria seria e risoluta. Si manifesta il suo animo tempestoso, il suo carattere appassionato, il suo amore per la Bonetto che voleva sposare.
Dalle indagini è emersa una più precisa ricostruzione della genesi dell’omicidio.
Bevilacqua si è incapricciato di Teresa Bonetto e lei, anche se innamorata di Cesare Ferrando, ha accettato l’offerta del principale, sedotta da un biglietto da 100 lire e dalla promessa del condono di venti lire di debito. Ha passato una giornata e una notte con Bevilacqua in un’osteria di Nichelino. Alla mattina, pentita, non osava presentarsi ai genitori e Bevilacqua le avrebbe consigliato di concedersi a Ferrando, che aveva promesso di sposarla, per far ricadere su di lui ogni responsabilità. Le aveva anche promesso di soccorrerla con del denaro.
Tornata a Torino, Teresa ha incontrato Ferrando e, secondo il consiglio di Bevilacqua, gli ha dato appuntamento per un incontro galante. Nel pomeriggio del 20 dicembre si sono trovati in una stanza a ore vicino a piazza Carlo Emanuele III. Ma i progetti della Bonetto non sono andati a buon fine: Ferrando, scoperta l’infedeltà della fidanzata, è andato su tutte le furie e ha voluto sapere il nome del seduttore. Lei ha indicato Bevilacqua. Ingelosito, Ferrando le ha manifestato il proposito di ucciderlo. Sono usciti e, passando in via Palazzo di Città, Ferrando ha comprato una rivoltella. Poi se ne sono andati in giro insieme a spassarsela nelle osterie, per tutta la notte e il giorno seguente, spendendo i soldi di Bevilacqua.
Verso le 16:30 del 21 dicembre, Teresa, Ferrando e due amici di lui stavano pranzando nell’osteria della Tesoriera. Ferrando ha impugnato la rivoltella e manifestato i suoi propositi di vendetta. Aveva ormai consumato quasi tutto il denaro di Bevilacqua, ottenuto dalla fidanzata col suo disonore, e non ha pagato tutto il conto dell’osteria. Ha incitato Teresa ad andare da Bevilacqua per farsi dare altre 100 lire. Lei ha esitato, ma il fidanzato ha insistito e lei ha accettato, a condizione che lui rimanesse lontano durante il colloquio.
La comitiva ha lasciato l’albergo della Tesoriera ed è rientrata in Torino ormai col buio. I due amici di Ferrando si sono fermati in un caffè di Porta Palazzo. Ferrando è avanzato lungo via Ponte Mosca [corso Giulio Cesare, N.d.A.], mentre Teresa, da sola, si è diretta al portone della fabbrica Bevilacqua. Ha incontrato Margherita Susbengo, ragazzina di dieci anni che lei conosceva, e l’ha mandata a chiamare Bevilacqua, dicendogli di uscire un momento perché voleva parlargli. La bambina ha esitato; Teresa le ha promesso un regalo, il che l’ha convinta a far la commissione. Poi la bambina è tornata fuori per diventare uno dei testimoni più importanti del processo: riferisce che Teresa ha fatto un segnale di chiamata a un giovanotto fermo dall’altra parte della via. Questi è venuto avanti, accanto a Teresa, e quando Bevilacqua è uscito, senza una parola gli ha sparato a bruciapelo due colpi di rivoltella, uno dei quali lo ha colpito in pieno petto e lo ha steso esanime al suolo.
Teresa è accusata di complicità necessaria, per aver scientemente aiutato Ferrando nell’esecuzione nell’assassinio, senza prendervi parte.
Ferrando ammette l’omicidio, ma nega la premeditazione. Non è un brutale malavitoso, invoca motivazioni d’onore, ma, con comportamento incoerente, ha monetizzato il disonore della fidanzata.
Teresa sostiene di non essersi accordata con Ferrando quando ha compiuto l’omicidio. Il suo comportamento non è facilmente decifrabile e si stenta a comprendere il suo ruolo nell’uccisione di Bevilacqua, visto che è stata lei a farlo chiamare dalla bambina, addirittura promettendole un regalo.
La sentenza giunge il 1° novembre 1887. I giurati assolvono Teresa Bonetto e giudicano Cesare Ferrando con severità: pienamente colpevole, ma con le attenuanti. La Corte lo condanna ai lavori forzati a vita, pena che lui ascolta in apparenza impassibile. Commenta il cronista della Gazzetta Piemontese: «Così ebbe fine questo dramma giudiziario in cui ci si presentò una delle pagine della vita barabbesca romantizzata poco giustamente dagli uni, spogliata erroneamente dagli altri di ogni sentire delicato.
Sentono ed amano anch’essi i barabba, ma le loro passioni scattano miste di delicatezze e di basse crudeltà quali risultarono dall’affetto del Ferrando per la Bonetto». Salomonica considerazione che dimostra come il processo abbia dato luogo a discussioni e a differenti letture dell’episodio.
Con l’annuncio del 22 febbraio 1888 che la Cassazione di Torino ha respinto il ricorso di Cesare Ferrando, l’iter giudiziario della vicenda si conclude definitivamente.
L’omicidio Bevilacqua viene trasposto in una canzone popolare dal titolo Le Fije ‘d Bevilacqua, con suggestioni ideologiche di ispirazione anarchica e socialista. Grazie a Paolo Sirotto, ne conosciamo due versioni. La prima, elaborata nel 1965 da Roberto Balocco, pare derivare dal testo di un foglio volante, ormai perduto, dedicato all’omicidio del 1886, pur con vistosi scostamenti dai fatti reali, come l’evocazione di più sorelle disonorate e di due fratelli vendicatori. Una seconda versione è stata recuperata da Alberto Cesa nel 1992, col testo tramandatogli da Paola Soleri e ricondotto a uno sciopero del 1906 delle operaie del Maglificio Fratelli Bevilacqua – trasferito in corso Palermo 2 – a causa della riduzione del salario. I versi inneggianti alla rivendicazione sindacale sono stati sovrapposti ai precedenti, incompleti, e mal decifrabili per chi non conosca la vicenda del 1886.
Si ringrazia Paolo Sirotto per le preziose informazioni.
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