Senza porre condizioni – parte quarta di cinque
Nello scorso articolo abbiamo formulato una prima ipotesi di lavoro per poter giungere ad una condizione di salute sufficientemente stabile.
Tale ipotesi prevede un nuovo approccio dell’uomo a se stesso in cui si tenga in considerazione che tutto è sempre presente, che ogni parte sta sempre facendo il proprio dovere e non c’è mai nulla di sbagliato in quello che avviene; ciò deve essere compreso a livello intimo, cellulare, atomico, di informazione vitale.
Anche quando riteniamo che ci sia qualcosa di sbagliato in quel momento, è necessario avere la disponibilità ad accettare che il processo in atto si chiuda per vederne veramente il valore, e non intervenire quando pensiamo di doverlo fare, interrompendolo, e quindi, in definitiva, non comprendendo il messaggio che, risultando parziale o spezzato, costringerà la vita a riproporcelo più perentoriamente.
Nessuna parte del processo può essere omessa o ritenuta superflua.
Una parte di quel processo ha bisogno di uno strumento chiamato essere umano biologico, ma per potersi sviluppare correttamente ha bisogno di uno strumento maggiormente adatto chiamato essere umano cosciente.
“Queste apparenti farneticazioni” (non possono essere altrimenti definite in questa fase e per altre ancora) sono semplicemente il principio di un processo di affioramento di una struttura complessa e potente che sta risalendo alla superficie della coscienza dal più profondo; un po’ come avviene per un sommergibile che torna alla superficie: si intravede prima una torretta e un periscopio disgiunti e tutto intorno solo turbolenza di acqua e si fatica a mettere in relazione ciò che si vede in quell’istante con l’intero sistema funzionante che apparirà poco dopo. O come un puzzle di cui manchino ancora troppi tasselli per cercare di fornire le prime impressioni sulla figura che apparirà più tardi.
Molte affermazioni possono essere parziali o sbagliate o fantasiose, ma sono la traduzione dei segnali che giungono attraverso strumenti e codici non ancora affinati e pronti per essere compresi immediatamente da tutti; non sono ancora completi per il compito di comprendere correttamente al primo colpo. Quindi pazienza, apertura e umiltà.
Gli errori sono all’ordine del giorno e poco per volta come i paracarri della strada ci indicano la direzione verso la quale muoverci senza troppi danni (meglio una ammaccatura contro un paracarro che precipitare nel burrone che ci sta dietro).
Anche tutto ciò che smentisce, contesta, contraddice o reinterpreta ci stà, perché fino a quando il gioco non è terminato non lo si comprende veramente. E poi da qualche parte si deve cominciare, giusto o sbagliato che possa apparire.
Quindi lo faremo come ci sarà possibile in quel preciso momento.
Ora, per evitare di parlarci addosso, di dilungarci o compiacerci su parole, concetti o affinità, questo lavoro potrà essere iniziato da chiunque di noi, anche se ciò dovesse rendere più difficoltoso il processo, poiché potrà apparire piuttosto caotico e nebuloso, mettendo ogni sua fase esperienziale a disposizione di tutti per poter essere integrata, corretta o sostituita come in un programma aperto e libero.
Per stimolare la nascita e lo scambio delle domande e strumenti necessari, potremo riportare alla coscienza che solo da poco tempo l’uomo ha scoperto di non essere un individuo monolitico, ma un aggregato di organismi attivi e vivi attraverso i quali si esprime l’io sono della regia temporanea fino al riapparire del vero regista e soprattutto del produttore.
Quindi prima butteremo tutto lì nel calderone, senza preoccuparci troppo della natura e della qualità dei componenti e poi cominceremo a osservarli. Di seguito accenderemo il fuoco sotto il calderone, e man mano che la temperatura del brodo si alzerà vedremo cosa accadrà fino a quando potremo osservare l’apparizione della quintessenza di questo apparente farneticare.
Come iniziare?
Chi osa sbilanciarsi per iniziare?
Per mantenere un sufficiente grado di funzionalità, un essere umano deve agire a partire dal fatto che tutto ciò di cui può aver bisogno esiste già dentro e intorno a lui e deve solo essere lasciato “connettere” e “rendersi disponibile” per lo scambio o integrazione necessari senza bisogno di intermediazioni di persone, cose, indagini, situazioni, strumenti o altro, senza provocare un nuovo tipo di dipendenza (neanche positiva).
Abbiamo detto che ogni intervento diretto produce una stasi, una fermata, una cicatrice nel processo e quindi lo altera o deturpa. Così ogni tentativo di trattenere o possedere l’effetto che osserviamo come positivo, l’istante successivo, può volgersi nel suo contrario o impedire qualcosa, con conseguenze inimmaginabili.
Non si può cementare o chiudere in un contenitore ermetico un respiro per avere a disposizione l’ossigeno che occorre per respirare per il resto della vita, anche se tale condizione può sembrare rassicurante. Non è diventando una statua di marmo che possiamo prolungare più a lungo la vita.
La coscienza non ha vincoli se non quelli che le vengono imposti, e, se non le viene impedito da preconcetti o convinzioni, è in grado di comprendere tutto.
Nella continua ricerca di un nuovo equilibrio essa non scarta a priori aspetti strani o difficili da comprendere ed accettare. Tra questi può riconsiderare se sia veramente necessario alimentarsi per vivere, oppure far dipendere la nostra sicurezza da mezzi esterni a noi, come le case e i vestiti, o se sia imprescindibile dover lavorare in un certo modo per poter avere tali mezzi.
Di conseguenza ciò che esprimiamo come vita attraverso la società, i rapporti tra le persone, la ideazione e costruzione di mezzi e strutture per migliorare le condizioni di vita, di indagine nell’infinitamente grande o piccolo, nel cercare spiegazioni trascendenti in qualsiasi forma codificata, nell’abbozzare teorie sul funzionamento dei massimi sistemi, nella ricerca filosofica, passando necessariamente attraverso queste intermediazioni, non è effettivamente ciò che noi viviamo e sperimentiamo, ma risposte mediate da convenzioni alla richiesta di vivere una vita reale.
Ciò comporta che noi non viviamo realmente, ma immaginiamo di vivere, esattamente come accade quando pensiamo a qualcosa che ci ha fatto arrabbiare e, anche se il fatto e la persona non sono più presenti, ci arrabbiamo nuovamente.
Quindi risulta importante il ruolo che la memoria, giusta o sbagliata, parziale o distorta, gioca nel fornire elementi a questa immaginazione per riprodurre nuovamente le situazioni richiamate. Se non ricordassi più l’episodio per cui mi sono arrabbiato, non potrei arrabbiarmi nuovamente. Se non mi ricordassi che forma ho, la forma potrebbe cambiare secondo la necessità dell’essenza che la determina.
Ma senza memoria cosa accadrebbe?
Ed è possibile cancellare la memoria, o una sua parte, senza modificare altre parti che non conosciamo o non consideriamo in quel momento?
Da qualche parte bisogna cominciare, essendo forte la percezione della necessità di fare questo salto, questo movimento, di lasciare che le cose si sviluppino secondo le proprie caratteristiche, partecipandovi, come e quando richiesto, senza stabilire modalità a priori e senza risparmiare niente.
Naturalmente ciò comporta il rischio di errori, il tentativo di costruirsi un rifugio protetto da regole, nuovamente autoimposte, come una sorta di corazza, di schermo protettivo dietro il quale nascondersi dal confronto con ciò che la vita chiede di sperimentare.
Non essendo né medici, né scienziati, né specialisti, ma semplicemente sperimentatori della vita in quanto esseri umani chiamati a cercare senza ulteriori indugi le ragioni di ciò che ci muove e accade dentro e fuori di noi, diversamente o a integrazione di quanto ad oggi abbiamo più subìto che vissuto, cercheremo di rispondere a questa esigenza vitale nel modo che ci è possibile, senza curarci della forma e neanche della correttezza di ciò che metteremo nel calderone. L’interazione continua con la vita vissuta provvederà direttamente alle rettifiche necessarie, che “noi accetteremo senza riserve”.
Ci deve essere altro da vivere e un modo per poterlo vivere, che oggi non possiamo far altro che immaginare come un risanamento dell’intero essere in modo che possa correttamente assolvere le sue funzioni, le funzioni previste dalla vita, che non sono solo quelle biologiche, senza alcuna limitazione.
Ringraziamo quindi chiunque abbia qualcosa da mettere nel calderone e anche chi ci aiuterà a levare tutte le scorie che si produrranno durante l’ebollizione della zuppa, chi metterà la propria esperienza, intuizione, energia perché ciò possa essere nuovamente permesso.
Ringraziamo chiunque parteciperà a questo lavoro mettendosi a completa disposizione affinché l’essenza dell’essere possa liberarsi dai vincoli di cui è prigioniera, a qualunque costo.
Continua nella quinta ed ultima parte
Schemi e testo
Pietro Cartella
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