L’avvincente lezione del Professor Stefano Ruzza presso la Sezione Bersaglieri “A. La Marmora
Nei giorni scorsi, il professor Stefano Ruzza, docente associato presso l’Università degli Studi di Torino, dove insegna Scienza Politica e Peace & Conflict Studies, e ricopre l’incarico di Vicepresidente del Corso di Laurea Magistrale in Scienze Internazionali, ha svolto un’interessante conferenza sul conflitto in Ucraina dopo quasi due anni dall’invasione russa.
E’ stata una trattazione scientifica che ha dissipato gran parte delle notizie che animano giornali e contenitori televisivi da oltre un anno.
Le origini della invasione hanno radici lontane. Sembra esclusa l’interferenza delle Nato, considerato che l’Alleanza Atlantica non si è mai immischiata in conflitti avviati o latenti, tra stati in procinto di richiedere l’adesione e che l’accesso alla Nato dei Paesi limitrofi all’Ucraina risale ad oltre dieci anni or sono. Le motivazioni potrebbero ricondursi alla scelta occidentale dell’Ucraina anche prima della presidenza di Zelensky.
Affrontando l’analisi del conflitto sotto il profilo militare, si smentisce la fama della forza militare dirompente della Russia, come la scelta di non affidarsi alle forze aeree, per mancanza di mezzi e di logistica.
Un attacco lampo, per essere vittorioso, si fonda sul successo in quattro dimensioni chiave. La prima di queste è la soppressione delle difese aeree dell’avversario, ottenuta per mezzo di missioni SEAD (Suppression of Enemy Air Defenses). In questa dimensione, lo sforzo esercitato dai Russi è stato non debilitante per le difese ucraine.
I principali motivi del fallimento sono stati l’inesperienza dell’aeronautica russa nel condurre questo tipo di operazioni, e il fatto che siano concepite dallo Stato Maggiore come missioni tattiche, invece che come operazioni aeree indipendenti che richiedono capacità e risorse dedicate: ciò ha comportato la mancanza di addestramento specialistico dei piloti e la conseguente criticità nel coordinamento del fuoco aereo tra le forze terrestri e l’aeronautica militare.
La seconda dimensione chiave è consistita nella creazione di una testa di ponte su obiettivi strategici. Il controllo di obiettivi chiave all’interno del territorio nemico è una precondizione essenziale della guerra lampo.
Nel contesto dell’operazione russa in Ucraina il caso più esemplificativo è quello dell’aeroporto di Hostomel: il 24 febbraio la 45esima Brigata Spetsnaz e le unità speciali della VDV (Vozdushno-desantnye Voyska Rossii, i paracadutisti russi) atterrarono direttamente sulle piste dell’aeroporto dopo l’attacco di circa 30 elicotteri d’assalto Kamov Ka-52 “Alligator” alle difese antiaeree ucraine.
A difesa dell’aeroporto l’Ucraina aveva schierato un piccolo contingente della Guardia Nazionale, che attivò immediatamente la Quick Reaction Force (la 4a Brigata di Intervento Rapido) e dispiegò i caccia e gli elicotteri d’assalto rimasti illesi dalla prima ondata di bombardamenti russi.
Nel giro di tre ore gli Ucraini riuscirono a ristabilire il pieno controllo dell’area, evitando così l’atterraggio di 18 aerei russi da trasporto truppe e materiali (Ilyushin Il-76) carichi di forze speciali pronte all’assalto in direzione Kiev.
Le perdite umane e materiali dei Russi furono ingenti e costrinsero le unità di élite a ritirarsi dall’area in attesa di rinforzi da parte delle colonne meccanizzate provenienti dal confine bielorusso.
L’insuccesso russo, nel rendere sicuri i cieli sopra la zona di lancio e la conseguente incapacità di ritardare l’arrivo dei rinforzi ucraini, condannarono al fallimento la cruciale operazione aviotrasportata su Hostomel fin dall’inizio, con importanti conseguenze per la riuscita dell’intera operazione. Avendo fallito nelle SEAD, i Russi non sono riusciti a creare le condizioni per prendere l’aeroporto e a cascata non hanno ottenuto la testa di ponte di cui avevano bisogno per l’ingresso di nuove truppe e il supporto a quelle già in campo.
La terza dimensione fondamentale delle guerre lampo riguarda l’utilizzo di elicotteri d’assalto per proteggere le teste di ponte, interrompere i movimenti via terra dell’avversario e condurre missioni volte a distruggere le difese nemiche (DEAD, Destruction of Enemy Defenses).
È quasi superfluo dire che senza aver prima raggiunto la superiorità aerea e aver neutralizzato (o almeno ridotto sensibilmente) le difese aeree nemiche è impraticabile conseguire tali obiettivi. E così è stato, infatti, per i Russi: essendo ancora largamente esposti ai moderni sistemi di difesa antiaerea ucraini, i piloti russi sono stati costretti a condurre sortite a quote di sicurezza, cioè a mantenere altitudini molto elevate quando alla guida di caccia e molto basse nel caso di elicotteri d’assalto. Il risultato è stato sotto agli occhi di tutti: minore efficacia e precisione nel colpire obiettivi militari e maggiori danni “collaterali” sui civili.
Tutte queste criticità incidono significatamene anche sull’ultima delle quattro dimensioni chiave prese in esame: l’assalto ai centri urbani condotto da brigate meccanizzate leggere.
Nel tentativo russo di Blitzkrieg, l’obiettivo era far breccia nelle difese cittadine con l’intento di accerchiare e isolare i difensori impedendo l’afflusso di rifornimenti dall’esterno. In assenza di protezione aerea, le colonne russe sono state costantemente oggetto di attacchi mirati da parte dei letali e moderni droni turchi TB2 “Bayraktar” recentemente acquisiti dall’aeronautica ucraina.
Non riuscendo a raggiungere gli obiettivi prefissati, le forze terrestri russe sono spesso rimaste isolate in territorio nemico, tagliate fuori dalle linee di rifornimento e costrette ad abbandonare i propri mezzi, lasciandoli alla mercé della popolazione ucraina.
E’ diventata iconica l’immagine degli agricoltori ucraini che con i loro trattori trainano i carri armati russi senza munizioni né carburante ed è significativo notare che a fine marzo, l’esercito ucraino contava più carri armati di quelli che possedeva il 23 febbraio.
Sono quindi bastate 48 ore dall’inizio dell’offensiva russa per definire le sorti del tentativo di guerra lampo.
Con il fallimento russo nelle quattro dimensioni chiave, la dinamica dello scontro è inevitabilmente divenuta quella di attrito. Questo cambio di passo ha però portato alla luce ulteriori criticità sistemiche dell’apparato militare di Mosca, a partire dalla dottrina di comando e controllo.
Quella russa si fonda su un modello centralizzato e, di conseguenza, meno flessibile rispetto alla controparte NATO, basato invece su un modello “mission-oriented” che permette di sfruttare maggiormente l’iniziativa autonoma delle singole unità e, quindi, di adattarsi alle esigenze di un campo di battaglia caotico e in continua evoluzione. Pur essendosi modernizzato negli anni di governo di Putin, l’esercito russo non ha mai abbracciato la più flessibile struttura di comando e controllo decentralizzata, come invece hanno fatto gli Ucraini.
In ultima analisi, l’insieme dei problemi elencati ha avuto e continua ad avere un impatto dirimente sulla capacità della Russia di condurre con successo le proprie operazioni belliche.
D’altra parte, l’Ucraina ha saputo sfruttare efficacemente le molte vulnerabilità del nemico, e ne vanno riconosciuti importanti meriti anche nelle fasi di preparazione e gestione del conflitto, a partire dallo schieramento delle proprie forze.
La scelta di Kiev è stata quella di concentrare l’esercito regolare, addestrato e ben armato, nelle operazioni di guerriglia fuori dalle città e di utilizzare le milizie e i volontari civili per il presidio delle aree urbane.
L’esercito regolare è stato così suddiviso in strutture di livello plotone e compagnia con capacità di combattimento autonome. Queste forze sono prevalentemente equipaggiate con armi anti-carro e svolgono attività di ricognizione e pattuglia a lungo raggio andando a intercettare le unità mobili russe per tendere letali imboscate (soprattutto alle colonne di mezzi di trasporto rifornimenti) per poi disperdersi rapidamente.
Va poi menzionato il tema della resistenza popolare. La straordinarietà risiede nel numero e nella velocità della mobilitazione: in meno di una settimana le cosiddette “forze di difesa territoriale” (composte da civili armati) hanno superato in numero gli effettivi dell’esercito regolare. La compattezza e determinazione del popolo ucraino e l’abile strategia comunicativa del presidente Zelensky hanno inoltre creato condizioni di deterrenza credibili ed efficaci, anche per un nemico che, sulla carta, potrebbe apparire come un gigante invincibile
Quali dunque le debolezze principali della logistica militare russa? Vale la pena considerare quattro elementi sopra tutti gli altri: il sottodimensionamento della logistica in generale, la dipendenza dalla rotaia, le deficienze del trasporto su gomma (camion), i danni causati dalla corruzione e da una cattiva esternalizzazione (privatizzazione) dell’apparato militare.
Il primo di questi quattro punti – il sottodimensionamento della logistica – significa che le forze armate russe impiegano relativamente poco personale e poche unità per il supporto della componente combattente, comparativamente meno di quanto non avvenga nelle forze armate dei paesi occidentali.
Ad esempio, la proporzione tra personale di supporto e personale combattente è di molto inferiore al rapporto 10:1 che si trova nell’esercito statunitense, e le unità di supporto sono mediamente di due ordini di grandezza inferiori rispetto a quelle di manovra (ovvero combattenti) invece di uno solo, come avviene in ambito NATO. Secondo quanto pubblicato dall’International Institute of Strategic Studies (IISS), a fronte della necessità di sostenere in tutto dodici armate e quattro corpi d’armata indipendenti, la Russia disponeva nel 2021 di sole dieci brigate di supporto: dunque unità comparativamente piccole a supporto di un numero superiore di grandi unità.
In conclusione, nonostante il tentativo di guerra lampo sia chiaramente fallito, la Russia può ancora tentare di ottenere una qualche vittoria rivedendo il suo piano originario e cercando di impiegare a suo vantaggio il fattore tempo.
Più tempo significa avere la possibilità di riorganizzare le unità logorate, mobilitare i coscritti della nuova leva ed eventualmente spingersi fino a dichiarare ufficialmente lo stato di guerra.
Quest’ultima manovra ha un costo politico elevato, ma consentirebbe al Cremlino di ricorrere all’economia di guerra e al reclutamento di massa per sostenere uno sforzo bellico prolungato.
Sul fronte ucraino, invece, il fattore limitante è proprio quello umano poiché tutte le forze mobilitabili sono già sotto stress dal 24 febbraio 2022 e gli aiuti occidentali non possono rimpiazzare soldati e ufficiali.
Non si sa quanto a lungo il popolo ucraino potrà resistere alle enormi sofferenze causate dalla guerra, né per quanto tempo la Russia riuscirà a far fronte alle pesanti sanzioni economiche impostegli dall’Occidente.
Ma se la partita diventa lunga, Putin può sperare che con l’estensione della durata del conflitto inizino a manifestarsi crepe nella compattezza fin qui manifestata dall’Occidente.
Il 2024 si presenta come l’anno cruciale. In Russia si tengono le elezioni, anche se Putin confida nella vittoria, i morti pesano.
Negli Stati Uniti si terranno le elezioni presidenziali e Joe Biden al momento si presenta con due fronti di guerra aperti nel mondo.
Se la sua non eclatante popolarità s’incrinasse ulteriormente, la probabile vittoria di Donald Trump potrebbe dare credito alla “vendetta russa”.
E l’Europa, sulla quale gli Stati Uniti vorrebbero scaricare gran parte delle spese militari, come potrebbe reagire?
L’altro convitato di pietra pare indubbiamente la Cina. Ma qui le mosse sono più felpate con finalità ed obiettivi da raggiungere a lunga scadenza.
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