Il pensiero del governo sulla scuola pubblica
Qualche tempo fa, all’epoca dell’elezione di Elly Schlein a segretaria del PD, mi sono imbattuta in una delle innumerevoli “tirate” di Italo (un nome, una garanzia) Bocchino nei confronti della allora non ancora armocromatica Elly, rea, a suo avviso, di avere buone possibilità economiche nonché di avere frequentato scuole private, nonostante la sua strenua difesa, a parole, della scuola pubblica.
Qualche precisazione: non ho idea di quali idee politiche avesse il padre di Italo Bocchino, ma se erano nostalgicamente coerenti con il nome scelto per il figlio, scuramente si sarà rallegrato nel vedere tale coerenza perpetuarsi nella sua stirpe. Ma forse Italo era semplicemente il nome del nonno. Passiamo a Elly: che male c’è ad avere buone disponibilità economiche e a presentarsi come progressisti, sostenitori delle classi più disagiate?
A parte il fatto che secondo Bocchino il PD tutto fa fuorché questo, la storia è piena di esempi di questo genere: il nostro Risorgimento è stato un movimento guidato da ricchi borghesi liberali e il sessantotto, con tutti i distinguo del caso, è stato “portato avanti”, secondo il lessico dell’epoca, dai rampolli della ricca borghesia italiana. Per non parlare degli ideali illuministici di fratellanza, cosmopolitismo e tolleranza sostenuti innanzitutto dai nobili parigini più ricchi e blasé.
Il problema della ricchezza, in politica, trascende i limiti della famiglia Schlein, penso; il denaro diventa un problema, a mio parere, quando gli interessi ad esso legati sono tali da permettere di spingere verso la promulgazione di leggi ad personam, a modifiche della costituzione e delle leggi per lo stesso motivo, ad indirizzare le scelte strategico-economiche del paese per il proprio tornaconto. Penso a patrimoni come quello della famiglia Agnelli, penso a Berlusconi, a Trump o anche ai Kennedy, con tutti i distinguo legati alle situazioni diverse dei due paesi. Non credo proprio che la famiglia Schlein appartenga a questa schiera.
E adesso torniamo alla scuola.
La segretaria dem sostiene di avere frequentato la scuola dell’obbligo in Svizzera, dove allora risiedeva, scuola che, a quanto mi risulta, è gratuita. Si pagano le tasse solo per gli ultimi due anni (non obbligatori). Ma ciò che mi ha colpito è stato un punto del discorso di Bocchino, più o meno del tenore che segue. Uso le virgolette per dare l’idea dell’intervento in diretta di Bocchino, non perché abbia pronunciato esattamente queste parole.
“La Schlein difende la scuola pubblica, pur sapendo che è quello che è… tanto cosa le importa, lei si rivolge alla scuola privata” dice (più o meno) alzando le spalle, come ad aggiungere che lei, l’imputata Schlein, in quanto ricca può avere il meglio. E qui proprio non sono d’accordo. Innanzitutto vorrei chiedere a Bocchino se conosce la differenza tra scuola privata e scuola paritaria: la prima, per sintetizzare, non è sottoposta a regole e controlli statali, per cui può gestirsi come meglio crede, con il limite, naturalmente, che non può rilasciare titoli o certificazioni con valore legale.
In soldoni: se un bambino ha frequentato la seconda elementare in una scuola privata e poi decide di trasferirsi in un in istituto pubblico, deve sostenere un esame per essere ammesso in terza, un esame che verificherà se sa quanto in una scuola pubblica è richiesto per frequentare la terza. Purtroppo non molti dei genitori di bambini che frequentano le scuole private sono al corrente di questo “dettaglio”. Nella mia quarantennale esperienza di docente della scuola pubblica ho purtroppo assistito più volte ad episodi del genere: all’avvicinarsi dell’Esame di Stato in quinta liceo, diversi studenti hanno scoperto, dopo aver pagato diverse migliaia di euro, di dover sostenere, prima dell’Esame di Stato, anche un esame di idoneità alla classe quinta, un esame che verte su tutte le materie e riferito ai programmi di tutti gli anni che i malcapitati (ma direi anche ingenui e creduloni, come i loro genitori) studenti hanno frequentato presso la scuola privata, senza sostenere un esame prima di accedere alla classe successiva.
Naturalmente non tutte le scuole private si comportano in questo modo; non sarebbe giusto fare di ogni erba un fascio. La scuola paritaria presenta una situazione diversa: è più o meno sottoposta agli obblighi della scuola pubblica, ma non dimentichiamo che sono gli studenti, con le rette che pagano i loro genitori, a permettere all’istituto di proseguire nella sua attività. Non mi sembra un dettaglio da poco; sempre nella mia quarantennale esperienza di commissario esterno o di presidente di commissione in una scuola paritaria mi è capitato spesso (non sempre, naturalmente: esistono scuole paritarie ottime e serissime) di dover chiarire con chi di dovere che omaggi di vario genere non erano graditi e che avrei valutato allo stesso modo il compito di maturità di tutti gli studenti, compresi i figli dei notabili locali. Non sarò risultata simpatica, ma mi piace avere la coscienza pulita. Non dimentichiamo poi che la costituzione permette a chiunque di fondare una scuola privata, ma senza oneri per lo stato.
Non so se le recenti, pericolose modifiche alla costituzione abbiano cambiato qualcosa in merito, ma comunque già prima era stato trovato un brillante escamotage: lo stato non dava denaro alla scuola, ma direttamente ai genitori che sceglievano la scuola “libera”, come la chiamava Berlusconi, sulla base di dichiarazioni dei redditi quanto meno fantasiose. Ho conosciuto proprietari di ville favolose che hanno avuto il buon gusto di non richiedere rimborsi ( o di qualunque altra forma di pagamento si tratti), ma avrebbero potuto farlo.
“Così va il mondo, caro Renzo” dice la saggia Perpetua.
E anche qui chiariamo un paio di cosette: scuola “libera”, diceva Berlusconi. Ma cosa significa? Libera da chi e da cosa? Le scuole paritarie sono o laiche o confessionali. Se confessionali non sono “libere” per statuto: intendono diffondere una certa idea religiosa e, ove possibile, creare una futura classe dirigente che perpetui nella società certi principi invece di altri. Dov’è la “libertà” di insegnamento per i docenti che vi lavorano e che devono adeguarsi a questa linea, tanto più considerando che vengono scelti dalla scuola e non sulla base di graduatorie statali, che hanno mille difetti, ma che certo non escludono nessuno se mangia o non mangia carne il venerdì o se è circonciso o meno? Ed è chiaro che gli studenti, anche nelle scuole più aperte, non sentiranno mai dire, se si tratta di una scuola cattolica, che Gesù potrebbe non essere il figlio di Dio, né tanto meno che Dio è uno solo, che lo chiamiamo Yahweh, il Padre di Cristo, Allah, il Grande Architetto e che le dottrine scintoiste, induiste e buddhiste hanno pari dignità rispetto alle altre.
Mi sembra che qualche dubbio sul rispetto della libertà di pensiero degli studenti dovrebbe emergere. Quanto a quelle laiche, spesso (non sempre, per carità: anche qui non bisogna fare di ogni erba un fascio) sono imprese nate per creare profitto, senza il quale ovviamente rischiano di chiudere; spesso quindi sottoposte a storture, problemi e difficoltà economiche cui possono per lo più sopperire solo aumentando le rette o rivolgendosi ai loro “azionisti”, cioè gli studenti e alle loro famiglie, in un balletto di do ut des spesso (non sempre; di nuovo, non facciamo di ogni erba un fascio) non proprio edificante. E se invece ricevono denaro dallo Stato, la questione è ancora più grave, perché tutti sappiamo quanti tagli vengano fatti in ogni finanziaria all’istruzione pubblica e alla cultura.
Ma qui aprirei un capitolo che meriterebbe non un articolo, ma una serie di articoli. Non mi dilungo sui cosiddetti diplomifici, ricettacolo di corruzione ed illegalità ad ogni livello i cui responsabili meritano solo di essere assicurati alla giustizia. Torniamo alle parole di Bocchino: trovo scandaloso che un rappresentante del governo sembri dare per scontato che chi può permetterselo è ovvio che si rivolga alla scuola privata ( sempre ammesso che sappia di cosa stia parlando), per sua natura migliore e più efficace ai fini della ricerca di un buon lavoro (sic!), proprio lui che rappresenta un’istituzione, la Repubblica italiana, che dovrebbe avere come obiettivo primario una scuola pubblica laica e aperta a tutti, oltre che, naturalmente, gratuita.
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