Una vicenda da cui nessuno esce bene
Anche Orbán, il tosto, l’incorruttibile, il sovranista con gli attributi alla fine ha ceduto e, nel Consiglio europeo di pochi giorni fa, ha approvato l’erogazione di cinquanta miliardi di euro a Zelensky e alla sua Ucraina sull’orlo della sconfitta militare e della bancarotta finanziaria, denaro naturalmente destinato a gravare sul bilancio dell’Unione Europea e, quindi, indirettamente sulle nostre tasche. Il tutto grazie anche alla mediazione di Giorgia Meloni, che ha giocato sul doppio tavolo della fedeltà europea e dell’amicizia politica col presidente ungherese.
Anche se il nostro capo del Governo lo presenterà come un successo diplomatico e politico suo personale, la vicenda non ha nulla di apprezzabile, sia sotto il profilo del merito sia sotto quello del contesto in cui è maturata.
Non vogliamo accodarci alle sinistre che naturalmente dipingeranno l’evento come un bluff, com’è ormai consuetudine per qualunque pensiero, parola, opera od omissione di Giorgia Meloni, ma vogliamo semplicemente evidenziare come questa soluzione prodotta a Bruxelles sia pessima sotto almeno tre profili: quello strategico, quello etico-politico, quello politico-nazionale.
Primo profilo. Ormai tutti – l’uomo della strada come i grandi centri di studi strategici e militari – sanno che Putin sta vincendo la partita ucraina e Zelensky la sta perdendo, cosa peraltro prevedibile sin dall’inizio del conflitto, e pertanto ogni aiuto militare all’Ucraina, senza un intervento diretto sul terreno (cosa che l’occidente non farà mai per non scatenare una guerra mondiale), è destinato solo a prolungare inutilmente e crudelmente l’agonia di civili e soldati di entrambe le parti in quello scenario.
La retorica della difesa dell’Occidente dall’aggressività russa, del contenimento dell’imperialismo putiniano, della difesa in Ucraina anche della nostra libertà (come tanti anni fa gli Usa dicevano della guerra in Vietnam) sono solo espedienti propagandistici per non guardare in faccia la sgradevole realtà: Mosca non rinuncerà mai alle conquiste territoriali fatte e consolidate, e quindi dalla sua posizione di forza può anche permettersi di attendere il collasso ucraino ancora per un po’di tempo, anche se non all’infinito, in attesa che venga avviata una seria trattativa di pace la quale non potrà prescindere dal coinvolgimento e dalle condizioni di Putin, piaccia o no all’occidente.
Ogni giorno di proroga di questo conflitto significa solo morti, distruzioni, sofferenze inutili in più. E il denaro inviato a Zelensky, le armi che gli vengono regalate sono carburante per il devastante incendio che sta bruciando quelle terre, sempre che finiscano veramente ai combattenti ucraini e non sul mercato nero degli armamenti in giro per il mondo, come è stato fatto notare da più parti.
E l’Europa, sempre più assorbita nella politica degli Stati Uniti (a cui ben poco importa dell’Ucraina, ma che vogliono solo, con quel pretesto, stroncare la rivale potenza russa) con lo stanziamento finanziario dei giorni scorsi si è prestata irresponsabilmente a questo gioco al massacro, forse pressata dall’imminenza di una vittoria di Donald Trump, ormai data per scontata, che rivoluzionerebbe del tutto lo scenario mondiale; e comunque in spregio, come sempre, dell’opinione pubblica europea in straripante maggioranza contraria a scelte belliciste o comunque in grado di alimentare la guerra.
Secondo profilo. Il metodo con cui si è arrivati a ottenere il consenso di Orbán è molto simile all’estorsione. E’ stato detto che il leader ungherese stava ricattando l’Unione utilizzando il suo potere di veto al fine di non concedere all’Ucraina il denaro che essa chiedeva per continuare ad armarsi. Intanto va detto che la posizione di Orbán era perfettamente legittima, anche se non condivisa dai partners europei, e dettata da una scelta di politica internazionale coerente da sempre con la sua posizione filorussa (non è obbligatorio essere sempre filo-occidentali); e poi, essendo il diritto di veto riconosciuto dall’ordinamento dell’UE, non si comprende perché debba essere criminalizzato in nome di un unanimismo forzoso non previsto da nessun trattato.
Quando tale principio sarà abolito dal voto a maggioranza -cosa dai rischi enormi, come abbiamo già avuto modo di rilevare- tale problema non si porrà più, ma non ora. Bullizzare l’Ungheria per aver utilizzato apertamente un suo diritto è una posizione senza alcuna logica.
Ci si domanda invece se il ricatto non sia pervenuto proprio dall’UE, e in modo pesantissimo. L’Ungheria di Orbán è stata minacciata di sanzioni feroci che andavano dal blocco dei fondi già assegnati sino alla revoca del suo diritto di voto in seno agli organismi europei, cosa che di fatto equivale alla sua estromissione dall’Unione. Non ci stupisce questo modo di agire dell’UE che rivela la sua natura arrogante e autoritaria già dimostrata in molte occasioni, ma ci preoccupa che esso diventi la prassi futura, trasformando quella che dovrebbe essere una democratica associazione di stati liberi in un monolite totalitario al servizio di interessi che non coincidono più neppure in parte con quelli dei popoli che vorrebbe rappresentare.
L’ideologismo politicamente corretto, la follia ambientale, l’ecologismo esasperato, il recente autoritarismo sanitario, gli assalti alla libertà di informazione, la demenza normativa che proprio in questi giorni ha portato migliaia e migliaia di agricoltori in protesta per le strade e per le città d’Europa ci dimostrano non solo il drammatico scollamento tra istituzioni europee e società civile europea, ma fanno anche intravedere un possibile futuro scenario di ribellione, o addirittura di rivoluzione, verso le istituzioni di Bruxelles che ormai sembrano rappresentare solo se stesse e i loro referenti mondialisti.
E comunque nella “vicenda Orbán” non si salva nessuno, a partire dal diretto interessato che alla fine ha piegato la schiena come uno dei tanti sudditi timorosi a cui l’Europa impone i suoi diktat.
Terzo profilo, quello politico-nazionale. Giorgia Meloni, ormai sempre più scrupolosa esecutrice delle volontà euro-atlantiche a trazione statunitense, ha ricondotto la pecorella smarrita ungherese all’ovile della NATO e dell’UE usando la sua antica amicizia col premier di Budapest. Molti, nel centro-destra italiano, vedranno in tutto ciò un rafforzamento della sua immagine in Europa dopo lo screzio sulla mancata ratifica del MES riformato, ma a noi non sembra gran cosa, anche perché nella questione dei fondi all’Ucraina erano in gioco, come abbiamo provato a dimostrare più sopra, alcuni principi non trattabili: l’autonomia degli stati, il contrasto al bellicismo imperante, la dignità e la libertà nazionali, il rispetto della volontà degli elettori.
E’ evidente che le elezioni europee, e altre minori, si stanno avvicinando col tutto il loro potere di inquinamento sulla lucidità e sulla coerenza dei discorsi politici; ed è anche vero che un capo di governo, ma anche capo della prima forza politica nazionale, ha il dovere di tutelare se stessa e le forze che la sostengono, ma è altrettanto importante, a nostro avviso, saper dimostrare alla società civile che si è forti e determinati nel difendere gli interessi italiani e gli ideali condivisi col suo elettorato.
Cose che, nell’ambigua vicenda europea dei giorni scorsi qui delineata, non sembrano proprio avvenute.
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