Lo ricordiamo oggi nel sessantesimo anniversario della sua morte
Palmiro Togliatti, colpevolmente dimenticato fu il fondatore del partito Comunista italiano e leader indiscusso sino alla morte improvvisa che lo colse a Yalta in Crimea, sessant’anni ad oggi.
E’ un figura che, soprattutto dopo decenni dal termine della sua lunga attività politica, merita una rivisitazione. Potremo definirlo, Intelligente, cinico e stratega.
Sono molte le nubi che caratterizzano il suo percorso: dal cinismo dimostrato nei confronti dei fuoriusciti italiani a Mosca durante il fascismo, avviati ai gulag o fucilati, sino alla ferma solidarietà espressa a Mosca nel corso dell’invasione dell’Urss in Ungheria del 1956, che per alcuni storici fu da lui sollecitata.
Ma sin dalla Costituente non tralasciò nessuna occasione per porre il suo partito al centro dl dibattito della politica italiana, con particolare attenzione al mondo della cultura e al rapporto tra cultura e partito Comunista.
Al momento della morte stava per presentare a Nikita Kruscev un documento sulla “Via italiana al socialismo”, meglio noto come Memoriale di Yalta.
Togliatti annota parte della sua teoria sulla via italiana al socialismo ma anche severe critiche all’URSS e sottolinea la necessità che tutti gli stati socialisti avviassero profonde riforme volte a ottenere una società più democratica, intuendo così il cambiamento e l’evoluzione di tempi.
Concentreremo il suo ricordo sull’impronta che dette alla politica italiana che cercava di affacciarsi ala democrazia dopo la caduta del fascismo e la conclusione rovinosa della seconda guerra mondiale.
Siamo nel 1944, ottant’anni or sono, quando a fatica a Salerno in un territorio già sotto il controllo degli americani, sbarcati ad Anzio, si cerca di ridare vita a una forma di Stato all’Italia liberata in quanto il centro Nord era ancora dominato dalle truppe tedesche e dalla Repubblica Sociale Italiana.
ll 2 aprile 1944 segna una data cruciale nella storia politica italiana, una svolta che avrebbe non solo delineato il futuro del Partito Comunista Italiano (PCI) ma anche influenzato il corso della Resistenza e il destino del Paese nel dopoguerra. In quel giorno, Palmiro Togliatti, segretario e leader indiscusso del PCI, annunciava dal quotidiano del partito, l’Unità, una strategia politica che sarebbe passata alla storia come la “Svolta di Salerno”.
Togliatti, rientrato in Italia dopo un esilio di diciotto anni, assume la responsabilità di indirizzare il PCI in un momento storico in cui il fascismo sta collassando e si apre la possibilità di una svolta democratica. La Svolta di Salerno rappresenta un’apertura verso le altre forze antifasciste, nella proposta di un governo di unità nazionale che superi le divisioni ideologiche in nome della lotta contro l’occupazione nazista e la ricostruzione post-bellica.
In quest’ottica, si avanza l’idea di un accordo politico che include anche le forze monarchiche e di centro, delineando un’inedita coalizione che avrebbe dovuto condurre l’Italia verso la liberazione e la democrazia.
La scelta di Togliatti di sostenere un governo che prevedeva la temporanea conservazione della monarchia – fino a quando non si fosse tenuto un referendum – fu un atto di pragmatismo politico, ma anche una mossa che divise e creò scompiglio all’interno delle file comuniste e dell’estrema sinistra, più incline ad una rottura radicale con il passato monarchico e fascista, seguendo l’impostazione settaria che aveva caratterizzato il PCI sin dalla nascita nel 1921.
E’ lo stesso Togliatti, nel corso di una testimonianza tenuta a Torino, al teatro Alfieri nella primavera del 1960 a ricordare i presupposti della sua azione:
“Che cosa bisognava fare in quella situazione? Noi comprendemmo e dicemmo apertamente che bisognava unire le forze e gli animi di tutti gli italiani, di tutta la nazione per far risorgere la nazione italiana, e che questa resurrezione doveva incominciare dalla partecipazione dell’Italia alla guerra contro la Germania. Due terzi dell’Italia erano in mano del tedeschi e noi sapevamo che nelle regioni settentrionali già erano organizzate le unità partigiane e i migliori tra gli italiani combattevano. Bisognava che questo sforzo che era partito dal basso, riuscisse a culminare in un governo nazionale in cui tutti gli italiani potessero sentirsi rappresentati e che potesse dirigere lo sforzo di tutto il paese per risorgere, riprendere un posto in mezzo alle nazioni e risanare le piaghe. Questa fu la nostra aspirazione fondamentale, il nostro punto di partenza. Accettandolo, ci muovemmo in piena coerenza con esso per trattare e superare le divergenze esistenti tra le differenti forze politiche”.
La decisione di Togliatti fu anche un segnale verso gli Alleati e le forze democratiche del Paese, evidenziando la volontà del PCI di partecipare costruttivamente al processo di rinascita nazionale. Questa apertura non era priva di calcoli strategici: posizionare il PCI come una forza politica responsabile e pronta al compromesso avrebbe aumentato la sua legittimità e il suo potere nell’immediato dopoguerra.
L’impatto della Svolta di Salerno fu considerevole. Nel breve termine, facilitò la formazione del primo governo post-fascista di Pietro Badoglio e la nascita del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), organismi nei quali i comunisti ebbero un peso rilevante.
Tuttavia, si posero le basi anche per i contrasti futuri, soprattutto in vista del tanto discusso referendum istituzionale del 1946, che vedrà l’Italia scegliere tra monarchia e repubblica, e le elezioni per l’Assemblea Costituente, che avrebbero definito il profilo istituzionale del nuovo Stato italiano.
La Svolta di Salerno si impone come un momento di grande importanza strategica, un esempio di realpolitik che ha permesso al PCI di influenzare la fase di transizione post-bellica, posizionandosi come una forza politica capace di superare i propri confini ideologici per il superiore interesse nazionale.
Togliatti e il PCI entrarono definitivamente nella storia d’Italia, contribuendo alla nascita della Repubblica e all’evoluzione della democrazia italiana.
Sulla scia di questa decisione si verificarono altre convergenze nel corso dei lavori della Costituente per inserire nella nascente Costituzione principi finalizzati a polarizzare le masse comuniste e cattoliche in contrapposizione verso i socialisti e i partiti laici.
Seguendo il filone, a Bergamo, nel 1963, Palmiro Togliatti pronuncia uno storico discorso intitolato “Il destino dell’uomo”. “L’esigenza di un fronte comune contro il consumismo e la mercificazione della vita, sono le cerniere che devono fare da ponte tra credenti e comunisti” afferma. Temi che meriterebbero ampie trattazioni.
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