
Gli effetti sull’economia e le sfide per il futuro
Da ieri sono trascorsi due anni dall’insediamento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi dopo la vittoria alle elezioni di settembre 2022. Due anni in cui il consenso nell’esecutivo in generale e in FdI in particolare ha continuato a crescere: un dato che la dice lunga, sulla fiducia che il Paese ripone nel presidente del Consiglio e della sua squadra, anche perché in controtendenza con quelle che sono le “storiche” oscillazioni del consenso per le forze governative, che spesso vedono ripiegare la fiducia a distanza di tempo dal loro insediamento.
La sinistra e certa magistratura le provano tutte ma l’opinione che gli italiani hanno del governo Meloni rimane positiva. L’ultimo rilevamento è quello di Vis Factor, che sottolinea come, a due anni dall’insediamento, il gradimento per l’esecutivo si affermi al 46.1%. Un anno fa, il governo guidato dalla leader di Fdi era al 46.9%.
Per la ricorrenza di questi due anni di governo, Giorgia Meloni dice la sua in un breve messaggio pubblicato sui social. “Finché avremo il sostegno dei cittadini, continueremo a lavorare con determinazione, a testa alta, per realizzare il nostro programma e aiutare l’Italia a crescere, diventare forte, credibile e rispettata. Lo dobbiamo agli italiani, a chi ci ha scelto e a chi, pur non avendo votato per noi, spera che facciamo bene il nostro compito. Al lavoro, senza sosta, senza paura“, conclude il premier alla vigilia del giorno esatto dell’anniversario di governo.
Parole piene di orgoglio, energia e impegno. Parole da leggere anche con il filtro dei fatti degli ultimi giorni, a partire dallo stop del Tribunale di Roma ai centri di trattenimento dei migranti in Albania e fino ad arrivare ai fatti emersi domenica 20 ottobre, alla email del sostituto procuratore di Cassazione, Marco Patarnello, che definisce Meloni “pericolosa” perché agisce in base “alla sua visione politica” e non per “interessi personali”. Una email al centro di un enorme caso politico e di un’aspra polemica, in un contesto in cui il rapporto tra magistratura e governo si fa sempre più complesso, anzi aspro.
Nelle parole per celebrare i due anni, Meloni mette al centro l’impegno a “realizzare il nostro programma”, poiché “lo dobbiamo agli italiani”. Parole chiare, con le quali il presidente del Consiglio ribadisce le priorità, nonostante l’impegno di una parte della magistratura e di una sinistra lacerata, a fermare l’azione del governo.
“Il governo e Giorgia Meloni tengono sostanzialmente rispetto allo scorso anno per tre motivi fondamentali: hanno dato stabilità al Paese, non hanno commesso errori sostanziali, non esiste al momento un’alternativa credibile”, spiega Tiberio Brunetti, fondatore di Vis Factor.
Le opposizioni ignorano i problemi reali degli italiani e si baloccano tra gay pride e difesa ostentata degli immigrati irregolari, anche quando delinquono.
In questi ultimi mesi dell’anno poi – come sempre – gli elettori guardano soprattutto in direzione della manovra di bilancio.
A 24 mesi dall’avvio dell’esecutivo lo spread si è dimezzato mentre occupazione ed export sono da record. Ma tra riforme, Pnrr e vincoli in bilancio il resto della legislatura rischia di essere in salita.
Adesso, in cima ai pensieri della premier c’è la manovra da 30 miliardi: cinque in più della prima – varata in corsa dopo l’avvicendamento con Mario Draghi in piena crisi energetica – due in meno della scorsa. Per il 2026-2027, invece, le leggi di bilancio costeranno rispettivamente 35 e 40 miliardi.
A dare man forte al Mef saranno le maggiori entrate, frutto sì del contrasto all’evasione (2,2 miliardi che, insieme ai 3,6 del fondo per la delega fiscale, andranno a finanziare il taglio del cuneo), ma soprattutto di un’occupazione giunta a luglio a livelli record (+62,3%), con la disoccupazione ai minimi dal 2008: dall’ottobre di due anni fa, la crescita degli occupati si attesta sul 3%. Di questa dinamica hanno beneficiato anzitutto le casse dello Stato: con il +13,4% certificato da Bankitalia ad agosto, il totale degli introiti da inizio anno si è portato a 371,1 miliardi, oltre cinque punti in più rispetto allo stesso periodo del 2023.
Con la prossima legge di bilancio, il governo onorerà l’impegno di rendere strutturali il taglio del cuneo (rimodulato) e l’Irpef a tre aliquote, con possibilità di un pur minimo ritocco su quella mediana in base all’esito del concordato preventivo. Tra le altre battaglie date per vinte dalla maggioranza, quella dei «sacrifici» chiesti a banche e assicurazioni che, però, nei fatti si tradurranno in anticipi di imposte
. Certamente nessuna tassa andrà a scalfire le case degli italiani: neutralizzata l’anomalia Superbonus, i bonus ristrutturazione al 50% e 36% per prima e seconda casa rimarranno nel 2025. Rientrato il rischio di una revisione generale del catasto: assunto che nessuno, nel centrodestra, intende vessare il «sacro mattone».
A due anni dal varo del suo esecutivo, Giorgia Meloni può rivendicare fondamentali economici in fase di sostanziale tenuta, a dispetto di un quadro geopolitico sempre più turbolento (dalla Crimea a Gaza) e una Germania sempre meno locomotiva d’Europa.
Fattore, quest’ultimo, che non ha impedito all’Italia di superare per la prima volta il Giappone nella graduatoria dei Paesi esportatori nel primo semestre di un 2024 di ritrovata centralità nel contesto internazionale, coronata dalla presidenza G7: dall’ottobre 2022, l’export made in Italy è salito del 3,34%. Sullo sfondo, le elezioni americane più importanti degli ultimi 15 anni, almeno.
La convivenza tra governo e Piazza Affari è apparsa finora pacifica: dal momento dell’insediamento a oggi il Ftse-Mib ha registrato una progressione di quasi 14 mila punti (+62,46%). Di segno diametralmente opposto, l’andamento del famigerato spread Btp-Bund, crollato dai 233 punti del 22 ottobre 2022 ai 117 dell’ultima seduta (-48,75%). Un attestato, se non di stima, quantomeno di fiducia nella sostenibilità del debito, a dispetto del +7% macinato nell’ultimo biennio, con la soglia psicologica dei 3 mila miliardi sempre più vicina.
Per provare a frenare, pur in minima parte, la corsa del debito il governo ha messo in campo un piano di privatizzazioni che nel triennio 2024-2026 dovrebbe portare incassi per un punto di pil, circa 20 miliardi: dal novembre scorso, in vendita sono già andate due quote di Mps (25% e 12,5%, con una terza in cantiere già forse entro l’anno), e una di Eni (4%).
Con il ripristino del Patto di Stabilità dopo la pausa Covid, ci sarà di nuovo da fare i conti con Bruxelles, che ha già notificato a Roma una procedura d’infrazione per deficit eccessivo causata dal boom del disavanzo 2023 (7,2%) alimentato dalla bolla del Superbonus. Una volta usciti dalle pastoie della procedura e rientrati nel recinto del 3% (nel 2026, secondo le previsioni del Piano Strutturale di Bilancio), toccherà avviare la dieta del debito, con i primi effetti a partire dal 2027.
E la crescita? In questi due anni si è registrato un timido mezzo punto di pil in più. Meglio di niente, certo, e meglio di altri Paesi europei. Ma poco, troppo poco. Secondo le stime del Documento Programmatico di Bilancio (sulle quali restano i dubbi di Palazzo Koch), nel 2025 il pil dovrebbe crescere dell’1,2%, mentre l’1% atteso dal governo per il 2024 sembra destinato a sfumare.
A sostenere la ripresa potrebbe intervenire il combinato disposto del calo dell’inflazione (scesa a settembre al +0,7% su base annua) e della riduzione dei tassi di interesse Bce con il taglio del costo del denaro di 0,25 punti di giovedì scorso. Guardando indietro di due anni, si nota come la bolla dell’inflazione esplosa con la guerra in Ucraina si sia praticamente sgonfiata: il 22 ottobre 2022 era all’11,8%.
All’orizzonte si intravede già la triplice sfida delle regionali (Liguria, Umbria, Emilia-Romagna), nuovo test di tenuta per un governo che, in 24 mesi, non ha di fatto mai mostrato segni di cedimento in termini di consenso. Una luna di miele, quella tra Giorgia Meloni e gli italiani, che da qui a fine legislatura sarà chiamata a imboccare una serie di tornanti insidiosi: le riforme di sistema (premierato, autonomia differenziata, giustizia), la messa a terra del Pnrr e il ripristino dei vincoli del Patto di Stabilità, passando per le possibili turbolenze geo-economiche.
A Gennaio, archiviata la stagione dei bilancio ci occuperemo delle riforme che la premier Meloni ha da tempo annunciato e su cui governo e Parlamento, ognuno per la sua parte, dovrebbero essere al lavoro.
Mancano all’appello provvedimenti forti e incisivi che possano caratterizzare l’azione dell’esecutivo, ma per questo ci sono ancora tre anni di tempo”, ha chiosato infatti il fondatore di Vis Factor.
Forse qualche correzione nella squadra di governo potrebbe agevolare gli sforzi di Giorgia Meloni. Ne riparleremo.
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