Un ricordo a settant’anni dalla morte
Ieri si è formalmente ricordato Alcide De Gasperi a settant’anni dalla sua dipartita. La Fondazione De Gasperi, con a capo Angelino Alfano ha organizzato una Messa in memoria dello statista Dc, a Roma, alla Basilica di san Lorenzo Fuori le Mura dove è sepolto, celebrata da monsignor Baldassarre Reina, vicegerente della Diocesi di Roma.
Le autorità – tra le quali il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri avanti al monumento funebre nell’atrio della Basilica, hanno deposto le corone di alloro. Il 25 ottobre si terrà presso l’aula della Camera dei Deputati una solenne commemorazione di Alcide De Gasperi, alla presenza del Presidente della Repubblica.
E’ doveroso evidenziare i punti salienti della sua azione politica.
Ha ereditato un’Italia in brache di tela che è diventata la sesta potenza economica mondiale, con il conseguente benessere per le famiglie.
Ha impresso il rigore nella spesa pubblica coniugando il Liberalismo di Einaudi ed il mito Keynesiano dell’intervento dello Stato.
Ci ha indicato la forza della politica che decide per il bene comune e non si piega alle furbizie della politica politicante e dei profittatori. Per lui, in polemica con le sinistre, essere antifascista significava essere contro ogni forma di totalitarismo.
Per lui, senza partiti autorevoli non c’era politica. Oggi purtroppo sulla scena politica si pretende di governare, all’opposto con i Partiti avulsi da ogni principio o modello cui ispirarsi, ma espressione di leader, senza storia e privi di carisma.
Ma come siano giunti a tanto?
Maria Romana De Gasperi nel libro scritto nel decennio della morte di suo padre sosteneva che la DC avrebbe pagato negli anni il successo ottenuto alle elezioni del 18 aprile del 1948 ed aveva perfettamente ragione.
Dobbiamo amaramente documentare il “tradimento dei chierici” della conventicola della nefasta sinistra interna del partito, cioè dell’ala di Dossetti, Fanfani, Lazzati, Lapira, Moro, Gronchi.
I “professorini” come venivano chiamati, in combutta con le sinistre riuscirono ad inserire nella Costituzione il principio della progressività delle imposte.
Dopo la morte di De Gasperi la sinistra Dc si impadronì della sua memoria, perché De Gasperi era stato indiscutibilmente un gigante; ma gli avevano sempre fatto la guerra, quando era in vita, e distrussero tutta la sua eredità, una volta preso il controllo del partito.
Tra la Dc di De Gasperi (1945 -1954) e la Dc post De Gasperi c’è fortissima discontinuità. Craveri parla di “irresistibile metamorfosi sociologica e politica della democrazia Cristiana” post De Gasperi. Qualcuno ha parlato addirittura della Dc di De Gasperi come della “DC prima dei democristiani”.
La giovane generazione, quella appunto dei Dossetti, Fanfani e Moro, non aveva nulla in comune né con Sturzo, che li criticò sempre, sino alla morte, né con De Gasperi. C’era una differenza enorme nella visione del partito, del rapporto con la Chiesa, del rapporto con la società, dell’economia, della politica estera…
Fanfani, Dossetti (padrino politico di Romano Prodi), e Moro, soprannominati i “professorini”, come noto aprirono a sinistra, all’alleanza con il PSI di Pietro Nenni con cui De Gasperi mantenne sempre un rapporto umano amichevole, ma una contrapposizione politica totale e radicale.
Se De Gasperi sconfisse Pci e Psi e li mantenne per anni fuori dai governi, riscostruendo così il paese, costoro al contrario fecero l’impossibile per un’alleanza che in breve avrebbe trasformato la DC in un partito senza ideali né identità, succube, culturalmente, della sinistra. Da quella scelta discende l’esplosione della spesa pubblica incontrollabile e per molti versi parassitaria.
Il paradosso sta qui: che Dossetti, Fanfani, Moro, prima di fare i “catto-comunisti” erano stati più o meno “catto-fascisti”.
Fanfani aveva insegnato alla Scuola di mistica fascista; Dossetti aveva preso la tessera del fascio; Moro era iscritto ai GUF (Giovani Universitari Fascisti) e difendeva nei suoi scritti il regime, il concetto di razza e persino la guerra a fianco dei nazisti.
L’unico popolare di vecchia data che affiancò i giovani “professorini”, facendo la fronda a De Gasperi e agli altri fondatori ex popolari, fu Giovanni Gronchi: popolare della prima ora, sottosegretario nel governo Mussolini nel 1922, aderì alla Dc nel dopoguerra, favorendo poi l’apertura a sinistra grazie all’elezione a Presidente della Repubblica.
A questa carica fu eletto anche con i voti dei missini e dei monarchici, dei socialisti e dei comunisti, dopo la morte di De Gasperi, nel 1955 (Gronchi fu il primo presidente della Repubblica della DC).
Ebbene De Gasperi – che aveva sempre avuto in Gronchi uno strenuo oppositore- lo aveva sempre detto: “non mi fido di coloro che sono stati educati sotto il fascismo, perché hanno non di rado la stessa mentalità dei socialisti e dei comunisti”.
Chiamava i comunisti, infatti, “fascisti rossi” oppure “squadristi rossi” (e conosceva bene la corte fatta da Togliatti ai tanti che avevano aderito al fascismo da sinistra).
De Gasperi riteneva che il dilemma tra fascismo e comunismo fosse un “falso dilemma”. Storicamente, aveva perfettamente ragione: era stato Mussolini, nel 1919, a ricordare che il fascismo in fondo era uno “scisma” all’interno del partito socialista.
Ma nonostante il tradimento dei meschini, l’eredità di De Gasperi resite nei punti salienti
Grazie alla sua credibilità, determinazione e intelligenza, ci ha tirato fuori dalla condizione umiliante di paese paria, sconfitto, ex alleato della Germania.
In secondo luogo – con il partito da lui fondato e con il sostegno della Chiesa di Pio XII- ha impedito che l’Italia precipitasse di nuovo in una guerra civile, come dopo la prima, tra rossi e neri; ha marginalizzato ogni sciocco revanscismo, e soprattutto ha tenuto a bada i comunisti, molti dei quali pronti allo scontro anche militare, che adoravano Stalin e Tito, e volevano fare dell’Italia un paese satellite, sebbene in modo “originale”, di Mosca; in terzo luogo ha permesso la rinascita economica e civile del paese.
Infine, fu uno dei padri nobili dell’Europa unita, benchè nella sua visione avrebbe dovuto diventare qualcosa di ben diverso dalla conventicola degli affari cui si è ridotta nel corso degli anni.
Ci furono personaggi dopo di lui, grazie ai quali, il ruolo alto della DC, in alcuni contesti riuscì ad emergere. Ci riferiamo in particolare al suo ministro del Tesoro e delle Finanze e poi presidente del Consiglio, Giuseppe Pella. Nella generazione successiva a Francesco Cossiga, presidente del consiglio e poi della Repubblica e al piemontese Edoardo Calleri di Sala, primo presidente della Regione Piemonte.
I politici e le giovani generazioni dovrebbero imparare da De Gasperi: la sua serietà, il suo stile, il suo coraggio, il suo idealismo, la sua concretezza, perché Il suo alto senso della politica possono ancora insegnare molto!
Purtroppo oggi, nonostante la difficile situazione internazionale, i conti pubblici allo sfascio, le lotte intestine tra i piccoli leader che ci governano ci pongono dinanzi all’irresponsabilità e al rischio per il nostro futuro.
Oggi in Italia servirebbe un uomo come lui, anche per liberarci dei tanti smandrappati che infestano il governo in carica, oltre ai partiti politici.
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