Considerazioni pacifiste di un non-pacifista
Cari amici di Civico 20 News, permettetemi un intervento molto personale, una confessione e un appello fra amici, come fossimo nel salotto di casa e non sulle pagine di un giornale.
Perché questa premessa così confidenziale?
Perché siamo in un momento epocale, drammaticamente epocale, in cui il dramma può girare in tragedia nel giro di pochissimo tempo, investendoci tutti.
Parlo, ovviamente, della guerra in Ucraina.
Tra le tante follie che in questi ultimi tempi hanno segnato il nostro mondo, e di cui ho provato talvolta a rendere conto su questo giornale, oggi ne sta prevalendo una: la follia bellica.
Non sono mai stato un estatico pacifista e so perfettamente che la guerra fa parte della realtà, e che qualche volta è necessaria, ma appartengo anche -come la maggioranza di voi- a una delle generazioni che non hanno mai conosciuto la vera guerra, ma mi angoscia “questa” guerra e ciò che può voler dire per tutti noi, per i miei e i vostri cari.
Abbiamo visto, e in qualche modo vissuto, altri conflitti in questi decenni: dalla Corea al Vietnam, dal Medio Oriente ai Balcani, dall’Irak all’Afghanistan, al netto dei tanti eventi bellici minori che hanno segnato la storia recente.
Ma oggi ci troviamo di fronte a un conflitto profondamente diverso: per la prima volta dal dopoguerra è in atto uno scontro gigantesco e sanguinoso nel cuore dell’Europa, scontro che per ora è relativamente circoscritto ma che da un momento all’altro può degenerare in qualcosa di inimmaginabile, raggiungendo tutti noi, le nostre case, le persone vicine, le nostre vite, cosa che mai si era prospettata dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Improvvisamente, la nostra esistenza fatta di lavoro, vacanze, aperitivi, partite di calcio, turismo, serate fra amici potrebbe scomparire… Al confronto il rivolgimento del Covid che abbiamo vissuto è stato un banale contrattempo, come una deviazione in autostrada.
Ma due cose mi lasciano stupefatto: la prima è che la maggior parte della gente non sembra rendersi conto di tutto ciò, pensando che andrà tutto bene (ricordate quelli sui balconi che, ai tempi del lockdown, dicevano proprio così e cantavano l’inno di Mameli?); la seconda è che molti, soprattutto ai piani alti della politica e del giornalismo, sembrano preda di una incomprensibile frenesia bellica all’insegna del “andiamo, andiamo a morire per Kiev”.
Ora, che l’opinione pubblica possa essere inconsapevole di ciò che sta accadendo e di ciò che potrà accadere è comprensibile, al massimo si sente qualche ironia sulla partecipazione di Zelensky al Festival di Sanremo, cosa orrenda e di pessimo gusto ma tutto sommato di nessun rilievo.
Quello che invece stupisce è che la politica e la grande comunicazione abbiano ormai sposato integralmente la prospettiva interventista e bellicista da cui sono totalmente espulse le parole “pace” e “negoziato”. Sembra che il pacifismo, che non tanti anni fa riempiva le piazze del mondo con milioni di persone e milioni di bandiere arcobaleno, oggi sia fuggito in luoghi remoti e invisibili e non trovi più ospitalità nella comunicazione giornalistica e televisiva.
Persino il mondo cattolico pare assente e rassegnato, avendo delegato le sue inquietudini e la sua presenza morale a qualche esternazione di un papa che sembra non avere, neppure lui, troppa fiducia nei suoi appelli, quasi consapevole che le sue “divisioni” -giusto per ricordare la vecchia, beffarda considerazione di Stalin- sono del tutto inconsistenti rispetto a quelle dei paesi che sono in guerra o stanno per entrarci.
L’”andiamo a morire per Kiev” trionfa dappertutto e ricorda il Matto, quell’arcano dei tarocchi in cui un uomo dallo sguardo sperduto nel vuoto danza sorridente sull’orlo del burrone.
I telegiornali mostrano con orgoglio -quasi li avessero costruiti loro- i carri armati tedeschi Leopard e americani Abrams che verranno inviati a Zelensky per difendere l’Ucraina: quello che irrita non è tanto la notizia che, in quanto tale, è più che legittima ma il contesto tutto compiaciuto in cui viene inserita, dimenticando che si tratta di armi letali comunque destinate a uccidere, distruggere, perpetuare una guerra che sembra piacere a molti, anche al Mentana petulante che ogni sera ci ricorda come in quello scenario esiste “un aggredito e un aggressore”, come se non lo sapessimo e come se in una guerra esistessero solo aggressori o solo aggrediti.
Che esista un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina, è pacifico, e nessuno si sogna di contestarlo. Quello su cui invece si dovrebbe discutere è il complesso di eventi, scelte, ragioni e torti che stanno alla radice di questa incontestabile verità, radice che affonda in una situazione politica, strategica e storica neppure troppo antica, ma di cui sembra che la comunicazione conformista non voglia proprio parlare: troppo complesso per le menti semplici dei telespettatori, almeno così pensano.
Meglio, molto meglio, la narrazione manichea e moralistica dell’aggredito e dell’aggressore, della Russia impero del male e di un Putin demente, di un’Ucraina innocente e della difesa ad oltranza anche della “nostra libertà”, come se, per riprendere un’antica e pittoresca immagine della guerra fredda, i cosacchi stessero per abbeverare i cavalli nelle fontane di piazza San Pietro.
Evidentemente molti storici della domenica credono che la Russia abbia intenzione di varcare i confini dell’Europa occidentale per farsene un ricco bottino e rievocano il 1938 e la conferenza di Monaco in cui, si dice, la cedevolezza delle potenze democratiche diede a Hitler il tempo e l’occasione per scatenare la guerra.
A questo proposito, forse andrebbero ricordate almeno tre fondamentali differenze.
Prima: la politica hitleriana era fortemente espansionista mentre quella russa attuale è fondamentalmente difensiva, e l’invasione dell’Ucraina, piaccia o no, e pur in tutta la sua evidente brutalità, si inquadra in una visione difensiva di fronte al rischio che l’Ucraina finisse nelle mani della NATO.
Seconda: la Germania nazista era in mano a psicopatici e megalomani che avevano perso il senso della realtà mentre la Russia di Putin, pur negli indubbi tratti autoritari, è comunque una potenza razionale e calcolatrice in grado di valutare le sue azioni e le relative conseguenze, tant’è che finora non ha voluto dispiegare a pieno la potenza militare di cui dispone.
Terza: la Germania nazista era una potenza convenzionale anche, se molto ben armata, contro cui era possibile schierare l’apparato militare delle nazioni democratiche con la ragionevole prospettiva di una vittoria, la Russia di Putin è una potenza nucleare che, se messa con le spalle al muro, può scatenare un conflitto non convenzionale che porterebbe alla distruzione di vaste terre d’Europa, e forse anche oltre.
Ecco, è questa ipotesi agghiacciante -tutt’altro che remota- che dovrebbe indurre noi e tutti i governi dell’Occidente a chiedere con forza una soluzione negoziale, sia a chi ha ragione sia a chi ha torto. Anche al querulo Zelensky che passa da uno schermo all’altro chiedendo armi, ancora armi, sempre armi per continuare una guerra disastrosa per l’Ucraina e per il mondo.
Bisogna avere il coraggio di imporre duramente anche a lui, con le buone o con le cattive, al di là di ogni piagnisteo moralistico, una trattativa vera e realistica. L’alternativa è la nostra e la loro distruzione fisica. Scusatemi, ma io non ci sto, neanche per difendere la libertà di un paese lontano, che per di più non è neppure esente da colpe pregresse.
In fondo chi di noi si è mai sacrificato fino in fondo per la libertà e le sorti dell’Irak, della Palestina, della Libia, della Serbia, dello Yemen?
Non è un appello rivolto a un Biden assente e senescente, comandato da chissà quali lobby militari ed economiche, né ai suoi vassalli-alleati che non obiettano mai nulla e che, qualche giorno fa, hanno partecipato a un incontro umiliante nella base militare di Ramstein (e quindi in territorio americano) dove facevano mostra di sé solo bandiere statunitensi e ucraine e dove le danze sono state condotte dal segretario alla difesa USA Lloyd Austin.
L’appello è ai nostri rappresentanti politici: Meloni, Crosetto, Tajani che sembrano affetti da sonnambulismo geopolitico limitandosi a dire di sì alle visioni e alle iniziative euro-atlantiste e ubbidendo ai comandi degli ipnotizzatori di Washington e Bruxelles.
E’ sicuramente vero che l’Italia è inserita in organizzazioni sovranazionali e che ha le mani legate dai trattati a suo tempo sottoscritti, peraltro siglati in epoche lontane e radicalmente diverse. Ma è altrettanto vero che l’Italia è una nazione sovrana -cosa che soprattutto per Giorgia Meloni dovrebbe significare qualcosa- e che potrebbe dimostrare qualche volta uno scatto d’orgoglio facendo qualche proposta originale.
Ad esempio, perché non subordinare l’invio di armi all’Ucraina a un impegno formale di quella nazione ad avanzare proposte negoziali?
Oppure perché non prendere iniziative negoziali noi stessi? In fondo un altro politico membro della NATO come Erdogan l’ha fatto e lo sta facendo. Perché non sollecitare un intervento di peace keeping o peace enforcing dell’ONU, come avvenuto in altre occasioni, magari provando a svegliare quella nobile organizzazione dal suo sonno senza sogni?
Se i nostri Meloni-Crosetto-Tajani non sono in grado di fare nulla di tutto ciò, allora chiediamoci perché li abbiamo mandati a formare un governo che -ci sembra- aveva pure qualche ambizione sovranista, almeno in campagna elettorale, e dopo traiamo le debite conclusioni.
E se poi proprio quelle persone non possono fare a meno di fare gli euro-atlantisti con elmetto e baionetta, non lo esibiscano platealmente come stanno facendo ora, ricordandosi almeno della vecchia raccomandazione di Talleyrand: surtout pas trop de zèle. Almeno salveranno un po’ d’immagine.