Considerazioni sull’aumento dei tassi d’interesse della Banca centrale europea
Sulla Banca Centrale Europea e sulle sue politiche recenti si sono dette molte cose: alcune fortemente critiche, altre tecnicamente neutre, altre ancora diplomaticamente concilianti, quasi nessuna pienamente elogiativa.
Proviamo a capire il perché di questi atteggiamenti, che in buona parte provengono dalla politica e dall’imprenditoria ma molti anche dalla scienza economica.
Intanto è noto che la BCE soffre da sempre di una vecchia limitazione genetica essendo un’autorità esclusivamente monetaria e bancaria, e come tale può occuparsi solo di due fondamentali obiettivi: la stabilità dell’Euro -e quindi essenzialmente del controllo dell’inflazione nell’eurozona- e poi della stabilità del suo sistema bancario. Punto. Gli altri problemi e le altre esigenze dell’economia le sono estranee, a differenza del Federal Reserve System statunitense che ha recepito, accanto al compito di tutelare la stabilità del dollaro, anche quello di favorire la crescita del sistema economico e il pieno impiego dei fattori produttivi.
Di qui la limitatezza dell’orizzonte concettuale e operativo della BCE, dimostrata sia dalla presidenza Draghi che, col suo pluricitato whatever it takes, non ha fatto altro che anteporre la cosiddetta “salvezza dell’euro” a ogni altra priorità, sia da quella -tecnicamente molto inferiore- di Christine Lagarde che invece non sembra avere nessuna visione economica né alcuna intelligenza operativa.
D’altra parte l’attuale presidente, a differenza di Draghi, viene dalla politica politicante e la sua inconsistenza, umana ancor prima che istituzionale, trova un significativo indizio nella famosa lettera del 2013, sequestrata nella sua abitazione parigina e indirizzata a Bernard Tapie, in cui scriveva: “Usatemi finché vi conviene, la vostra azione e il vostro casting (…) Se mi usate, ho bisogno di voi come guida e come sostegno: senza guida, rischio di essere inefficace, senza sostegno rischio di avere poca credibilità”.
Invitiamo i lettori a reperire in rete qualche autorevole e inequivocabile espressione di stima verso questa signora che oggi regge le sorti della seconda banca centrale del mondo e, più o meno direttamente, anche le nostre sorti di cittadini europei.
Ma lasciamo i pettegolezzi ed entriamo in qualche considerazione più tecnica.
La BCE della signora Lagarde ha ritenuto di prevenire il rialzo dell’inflazione nell’area euro aumentando i suoi tassi di interesse, nel tentativo di riportare la crescita dei prezzi entro il limite teorico del due per cento che i buro-banchieri di Francoforte ritengono un limite soddisfacente, senza spiegare troppo il perché.
Pensare di combattere l’inflazione col semplice strumento dei tassi d’interesse, cioè semplicemente con l’unico strumento ormai rimasto alla politica monetaria unitamente all’acquisto di titoli sul mercato, ricorda un po’ quei vecchi medici di guerra che al fronte, non avendo altri medicinali, curavano tutto col chinino.
Come è stato fatto notare da diversi autorevoli economisti, tra cui il nostro sempre brillante Alberto Bagnai, sembra che alla BCE non sappiano distinguere l’inflazione da domanda dall’inflazione da offerta, in particolare nella sua variante da costi, e ritengano che una stretta monetaria possa arginare un aumento di prezzi che non deriva certo da un eccesso di spesa delle famiglie, che anzi sono costrette a comprimere gli acquisti a causa di crisi e recessione, ma dall’aumento di tutta una serie di materie prime a livello internazionale che si trasferisce immediatamente sui prezzi al consumo, per tacere di una vasta e ampiamente diffusa speculazione.
Non parliamo degli studenti delle facoltà economiche, ma limitiamoci a quelli delle scuole superiori che hanno avuto la possibilità di studiare le basi dell’economia politica.
Questi ragazzi sanno bene che la domanda globale, in un sistema economico, è data da due grosse componenti: domanda di beni di consumo, proveniente in gran parte dalle famiglie, e domanda di beni di investimento, proveniente in gran parte dal sistema delle imprese (tralasciamo la domanda estera e quella pubblica dipendenti da fattori cosiddetti “esogeni”): la domanda per consumi dipende essenzialmente dal reddito ed è quindi fondamentalmente insensibile ai movimenti del tasso di interesse, quella per investimenti invece reagisce al rialzo dei tassi contraendosi.
Sembra quindi che la BCE voglia proprio una riduzione degli investimenti a livello europeo, senza rendersi conto che un’ipotesi del genere avrebbe come conseguenza un crollo dello sviluppo economico senza che, nel breve termine, ci siano effetti significativi sui prezzi al consumo, che sono quelli che oggi ci interessano di più in quanto drammaticamente devastanti per la gente comune.
L’alternativa e fra crescita e inflazione è un tema dibattuto da sempre fra gli economisti, e ancora oggi è un dilemma di difficile soluzione. Sembra però che la BCE non abbia troppi dubbi ed abbia scelto decisamente la lotta all’inflazione a costo di una probabile recessione economica colpendo il finanziamento degli investimenti, e per di più con strumenti sbagliati e sicuramente inefficaci. Parafrasando ciò che si disse degli accordi di Monaco del 1938: dovettero scegliere fra recessione e inflazione; scelsero la recessione, ed ebbero pure l’inflazione.
Per tornare ancora ai nostri studenti delle scuole superiori, molti di loro conoscono poi la fondamentale obiezione che Milton Friedman opponeva alle politiche monetarie, sopratutto quelle estemporanee e di breve periodo, di cui diffidava: questo tipo di politica economica, infatti, produce effetti non immediatamente ma nel medio-lungo periodo; esiste pertanto il rischio che una stretta monetaria anti-inflazionistica, attuata oggi mediante il rialzo dei tassi d’interesse, vada ad agire proprio quando si manifesterà una qualche futura ripresa, stroncandola sul nascere.
Insomma, le politiche monetarie sono come certi farmaci: necessari in alcuni momenti ma da non lasciare alla portata dei bambini, soprattutto se si tratta di bambini acculturati in facoltà economiche dove si usano concetti tanto raffinati quanto evanescenti come “reddito potenziale”, “reddito effettivo”, output gap, “regola di Taylor”, e altri oppiacei econometrici da ufficio studi…
I soliti complottisti hanno avanzato l’ipotesi che la BCE, sulla scia dell’ideologia ambientalista più demenziale, stia deliberatamente attuando -su spinta dell’Unione Europea- un piano di contenimento e di demolizione della crescita economica in genere, e di quella industriale in particolare, per condurci in un qualche paradiso green prossimo venturo. Ma si tratta di un sospetto francamente eccessivo persino per chi, come noi, indulge talvolta con benevolenza a un moderato occultismo interpretativo.
Preferiamo accontentarci del vecchio aforisma secondo cui, quando vedete un comportamento palesemente assurdo, non cercate spiegazioni complicate: l’incompetenza è più che sufficiente.