Che fare contro un’ideologia totalitaria che distrugge la libertà?
Abbiamo più volte citato Luca Ricolfi, sociologo torinese, e la sua Fondazione Hume come punti di riferimento per chi voglia coltivare una prospettiva laica, liberale, razionale, intellettualmente libera, nel grande caos della comunicazione contemporanea.
La Fondazione Hume, con sede a Torino, si inserisce perfettamente in una certa cultura subalpina fatta di conoscenza dei fatti, di anti-ideologismo, di pragmatismo conoscitivo, di laicismo culturale che fu comune anche all’altro grande co-fondatore, il compianto Piero Ostellino, gran maestro di liberalismo e di rigore giornalistico.
Luca Ricolfi, pur definendosi uomo di sinistra, non ha perso occasione in questi anni di scagliarsi con sottile e pacata ferocia contro i totem e i tabù di una sinistra egoica, autoreferenziale, molto chic ed elitaria, svampita nel suo intellettualismo ma, soprattutto, nel suo allontanamento dalla dura realtà delle classi subalterne che un tempo era chiamata a difendere.
Un po’ come sua moglie, la scrittrice Paola Mastrocola che, anche lei, da anni mette impietosamente alla berlina, talvolta con perfido umorismo, il mondo della scuola italiana, ormai affondato nella fuffa sociologica e in un’ossessiva e vuota burocrazia didattica. Bellissima coppia di intellettuali liberi e rigorosi impegnati a decostruire il vuoto ideologico attuale per far rinascere i solidi valori di una politica e di una pedagogia che parlino delle cose invece che parlare delle parole.
Non stupisce dunque che la Fondazione Hume si sia impegnata recentemente nella critica serrata di quello che essa definisce il “follemente corretto”, cioè l’ideologia fondata sul moralismo devastante dell’uguaglianza universale e integrale, senza se e senza ma, sul rispetto di ogni sedicente minoranza, anche la più minoritaria fra le minoritarie, sull’assoluta non discriminazione degli stili di vita, anche i più assurdi e al limite della legalità, sull’affermazione e l’esaltazione di ogni devianza e di ogni eccentricità della vita e del pensiero, sul rifiuto totale e paranoico di ogni presunta sopraffazione e infine sul culto narcisistico della propria superiorità morale e sulla demonizzazione di chiunque la metta in dubbio o anche, semplicemente, pretenda di poter dissentire da questa cattedrale di assolutismo intellettuale.
Il politicamente corretto (PC) non ha avversari, ha solo nemici. E contro i nemici -nel suo universo mentale- ogni strumento di lotta è lecito. La peculiarità del PC è proprio questa: non si tratta di una qualunque ideologia che lotta legittimamente per le sue convinzioni, ma di una macchina da guerra che non vuol fare prigionieri, come gli eserciti del passato che mettevano a ferro e fuoco le città e impalavano i loro difensori.
Potrà sembrare, la nostra, un’opinione estrema, uguale e contraria a quella PC, ma bisogna comprendere la strategia di questo movimento, una strategia che, come dicevamo, non si limita a combattere su di un piano intellettuale e politico, ma porta in sé un autoritarismo radicale.
Basti pensare a quanto avviene nelle università anglosassoni e, più sporadicamente ma in misura crescente, anche da noi, in Europa e in Italia: molti docenti che si sono opposti, o anche solamente non hanno condiviso, le tesi radicali del PC sono stati semplicemente privati dell’insegnamento.
Negli atenei americani basta una parola sbagliata, un pensiero difforme, un commento ironico, una pagina innocua ma non allineata, e subito il loro autore si vede aggredito da un’orda di studenti o colleghi invasati che ne reclamano la testa, per ora solo in senso figurato ma nulla vieta che un domani si arrivi anche all’aggressione fisica. Proprio come avviene per i monumenti eretti a coloro che sino a qualche anno fa erano considerati eroi del pensiero o dell’azione e che oggi vengono oltraggiati o distrutti.
La storia delle statue di Cristoforo Colombo, abbattute o sfregiate, non è l’unica da quelle parti.
Il PC ha poi una serie di declinazioni specifiche, ancora più intolleranti e aggressive, che suscitano ancor più preoccupazione in chi -come moltissimi di noi- è cresciuto in un mondo dove la libertà di pensiero e di parola, uno dei cardini della visione liberale, ha sempre avuto un potente aspetto di sacralità ed è sempre stata il primo fondamento di quella “religione della libertà” che, dall’illuminismo in poi, ha trovato ampia accoglienza nella mente comune, nella cultura elevata, nella prassi politica e infine in molte carte costituzionali.
L’idea stessa che un insegnante, a qualunque livello, possa essere privato della cattedra non per aver commesso dei reati ma solo perché non si inginocchia davanti a un’ideologia dominante e ai suoi contenuti conformisti ci riporta a tempi (in camicia bruna o in camicia nera) che i nostri padri e i nostri nonni hanno ben conosciuto, e che non vorremmo più rivedere.
Dicevamo che nel nostro paese tutto ciò sembra ancora lontano, ma certi fatti, certe prese di posizione, certi provvedimenti in tempi recentissimi ci inducono ad avere paura. Quanti non vaccinati e non vaccinisti nell’era pandemica -sopratutto medici, professori, dipendenti non allineati- hanno dovuto subire la ferocia dell’ideologia sanitaria allora dominante, ideologia di cui oggi si vedono le abissali carenze scientifiche?
Quanti intellettuali e artisti dissidenti dall’ideologia bellicista filo-ucraina e anti-russa hanno dovuto rinunciare a impegni, manifestazioni, esibizioni sottomettendosi alla narrazione unica atlantista?
Quanti scienziati critici dell’imperante ideologia green devono subire l’insulto di terrapiattisti e, ovviamente, non possono accedere al mondo accademico, economico, politico piegato sul conformismo climatico?
E potremmo continuare con altri esempi di idola fori (o forse idola tribus) che diventano camicie di forza in cui restringere coloro, soprattutto a livello intellettuale, che non condividono il “follemente corretto”, persino nei suoi aspetti più folcloristici o comici, come l’imposizione di una lingua che non deve più discriminare i generi e che precipita nel ridicolo, anche a seguito di prescrizioni talvolta provenienti addirittura dalle pubbliche amministrazioni.
Ricolfi chiama questi dementi “molestatori della lingua”, e potremmo anche farci su un sorriso, ma quando queste follie diventano norma giuridica e aggressione mediatica contro chi non ne vuole sapere, allora tutto ciò diventa preoccupante. E quindi bisogna cominciare a organizzare una qualche forma di resistenza prima che ci troviamo immersi nell’acqua bollente del totalitarismo culturale (e poi magari anche politico) come la rana di Chomsky.
In fondo il passaggio dai quattro ragazzotti che bloccano l’autostrada o gettano vernice sui nostri monumenti alla direttiva europea che ci obbligherà a ristrutturare le nostre case, con spese gravosissime, per renderle ecologicamente compatibili (di fatto un vero esproprio) è assolutamente lineare e consequenziale, e il passo non è così lungo dal momento che l’ideologia ambientalista -una delle più politicamente e follemente corrette- è assolutamente la medesima.
Contro tutto questo come ci possiamo difendere?
Sarebbe veramente una gran cosa se un uomo saggio ed equilibrato come Ricolfi, un uomo ben legato a quella civiltà della ragione a cui pensiamo di appartenere anche noi, ci desse una risposta a questa domanda.
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