Le dimenticate Hot hatch degli anni ‘80 (di Michele Franco)
State per entrare nei rombanti – e pericolosi – anni ‘80, anni del tripudio delle “bare su ruote”. Incontrerete vere e proprie “Star”, capaci di scatenarvi forti emozioni, ma non pensate a donne raffinate, rassicuranti e accoglienti. Conoscerete invece felini suadenti, graffianti e pericolosi. Snelle bestioline dal luccicante manto percorso da un fremito di tensione nervosa, pronte ad andare a caccia. Animali che occhieggiano complici, attendendo di essere messi in moto, per ruggire su asfalti e sterrati. Le potevi vedere di giorno, ma più ancora quando calava il buio. Che voi faceste parte del “popolo della notte” o foste un cavaliere solitario, arrivava – e non c’erano scuse per sottrarsi – il momento della sfida. Così, la cavalleria intonava la sua carica ruggente. Chi ha vissuto queste sfide, conservando le ossa intatte, sa di cosa parlo. “La potenza è nulla, senza controllo”, diceva una pubblicità di pneumatici dell’epoca, e la “piccola bomba” diveniva, per chi era più attento al rapporto con l’ipervitaminico animale, una bella ginnastica mentale: si trattava di controllare adrenalina personale e riflessi, prima ancora di controllare il mezzo meccanico. Si doveva trovare l’equilibrio delicato tra prestazioni e rischi, per stare in un “range” in cui l’imprevisto non divenisse catastrofico, per sé e per gli altri. Bisognava divenire un po’ “piloti” e, una volta allacciate le cinture, si doveva conoscere il mezzo e i suoi limiti, per stabilire quella connessione magica – che sfiora la poesia – in cui ci si sente tutt’uno con la macchina. È momento intenso, la consapevolezza di sé in rapporto al mezzo. Che non ti salva sempre, ma ti permette di fare cose pericolose senza divenire un kamikaze.
Già, perché le “bare su ruote” erano pensate per “rispondere” in modo rapido e brutale ai comandi del pilota, per affrontare situazioni in cui le altre auto si trovavano davvero a mal partito nel gestire traiettorie e tenuta di strada.
Ora, dopo il momento di esaltazione per le Hot hatch, e sovvertendo le regole, anziché iniziare coi “mostri sacri” vi propongo di iniziare il viaggio con quelle che non ce l’hanno fatta. Precisazione: alcune di queste auto non ce l’hanno fatta sul mercato italiano, altre non ce l’hanno fatta tout-court.
Se fossimo nello Show-business le definiremmo “starlet”: fanciulle desiderose di successo, alcune anche con carte in regola per emergere ma che, alla fine, son rimaste ai margini dello Show.
Le nostre “Starlet” su ruote son così, ci han provato, credendoci.
Son partite piene di speranze. Uscite dai tavoli dei progettisti con bei sogni. Preparate (a volte), da reparti dedicati e infine, arrivate all’esordio, non han trovato palcoscenici illuminati e folle osannanti, ma solo strade impervie e percorsi fatti di buche e ostacoli, senza traguardi di gloria. Alcune han ciondolato invendute nelle concessionarie, altre han avuto lo slancio iniziale di vendite, ben presto affievolito. Altre son nate fuori tempo massimo per la loro recita. Altre ancora entrarono in lizza nel periodo sbagliato, quello in cui c’erano già in scena campionesse inarrivabili e, in ultimo, alcune sono speciali ma quasi sconosciute. Signore e signori, ecco a voi le dimenticate degli anni ‘80.
1 – Peugeot 104 ZS2 (1979-1979)
Partiamo dal leone di Francia. La ZS2 fa da ideale connessione tra gli anni ‘70, visitati nelle puntate precedenti, e questi ‘80. Perché questa signorina è una “Hot hatch” d’Oltralpe, anzi, di più, direi una GTI in anticipo, capostipite, col suo telaio indovinatissimo, delle piccole indiavolate francesi coeve o che seguiranno (abbiam parlato già della Talbot Samba Rallye). In realtà la ZS2 era il tentativo di Peugeot di recuperare il suo ritardo in materia di sportività, e ciò che ne uscì fu un piccolo capolavoro. Tutta la serie “104” ha forme garbate, sobrie ed essenziali, che portano la firma del “solito italiano”, in questo caso del signor Pininfarina. Economia nei costi di acquisto ed esercizio, affidabilità e fascino furono alcuni dei motivi del successo della “104”, prodotta fin dal ‘72.
Nel 1979 arriva sulle strade la 104 ZS2, in versione limitata a 1.000 esemplari prodotti solo quell’anno. Il suo 1.360cc con 93 CV di potenza permette una velocità di 173 Km/h e lo 0-100 in 10,5”. Una “piccola bomba” con tenuta all-terrain semplicemente superlativa, dovuta a ripartizione pesi e telaio ottimali. Dopo questo apice, la formula Z proseguì, ma DEPOTENZIATA, in diverse serie “speciali”, andate tutte a ruba. Ma tornando alla nostra: vista la base ottima, preparatori e privati trasformarono molte delle piccole ZS2 in vere bestie da corsa, che, nei rally, conseguirono il podio in tantissime gare importanti. Insomma, la ZS2 la stoffa ce l’aveva, eccome! Ovvio che, nelle gare, tante andarono incontro a fine prematura, così oggi… Beh, oggi, se vi acchiappa il desiderio di possederla dovrete frequentare la gente giusta, fischiettando come non ve ne fregasse niente quando ne vedrete una. Magari gli passerete un dito sopra così, giusto per darvi un tono, mentre, mantenendo il sangue freddo, direte “Bella, ma non è il mio tipo…”. E una goccia di sudore vi tradirà. Ecco il consiglio risolutore: una volta avvicinato, con tatto da ambasciatore cinese, il possessore di una sopravvissuta a quella tiratura di soli 1.000 esemplari, fate una corte (prevedete diversi anni), fino a sfinimento del proprietario. Perché di una cosa potete essere certi: quest’auto fa innamorare.
Ah, scordavo, particolare finale: se è ben tenuta, dovrete mettere sul piatto almeno 21.000 Euro, ma tanto so che siete ricchi di tempo e denaro, quindi non tenterò nemmeno di fermarvi. Al cuore non si comanda!
2 – SEAT Ibiza 1.5 SXi Prima serie (1987-1993)
Arrivata la rottura tra FIAT e Sociedad Espanola de Automoviles de Turismo, la Ibiza fu la prima vettura completamente SEAT. La versione SXi può esser chiamata l’auto fantasma: vederla ai giorni nostri è quasi impossibile. La sua linea non la fa rientrare tra le top ten dell’estetica. In più, il progetto era datato e la qualità generale bassa ma, in compenso, era ricca di accessori di serie, che la concorrenza dava come optional. Ok, lo stile portava la firma di Giugiaro, ma il design non era dei più smaglianti (si narra che il Giorgetto nazionale lo propose per la Golf 2a serie, ma venne rifiutato in VW e fu, quindi, riproposto in SEAT). E questo già dovrebbe far drizzare le orecchie, ma non è finita: il telaio era basato niente poco di meno che su quello della FIAT Ritmo del 1978, mentre troviamo al retrotreno la balestra trasversale (!) e lo sterzo NON servoassistito. Insomma, è uno di quei casi in cui si può affermare che l’auto era nata datata. Ok le sospensioni più rigide, ok il cambio a 5 marce con rapporti corti per darle un po’ più di brio, ma l’auto pesava 925 Kg. e il 1.461cc System Porsche (firma su testata motore), con l’iniezione elettronica dava solo 100 CV a 5.900 giri. Insomma, nulla di esaltante, per una velocità di 184 Km/h e lo 0-100 in 10,8”. Ora, per non essere tacciato di accanimento sulla SXi, aggiungo che era arricchita da (voce alla Rag. Fantozzi): paraurti sagomato con fari antinebbia gialli, minigonne, doppia fascia rossa su tutti i lati dell’auto (compresi paraurti), pacchiano spoiler in gomma dura sotto il lunotto, cerchi in lega “millerighe” da 14”, assetto ribassato, adesivi giganti “SXi” rossi su montanti e coda. A mio parere, questi son tutti accessori esterni che fanno divenire questa Ibiza una icona della truzzaggine fine anni ‘80. Becera ma affascinante e, siccome conservo nell’animo una parte truzza, non mi dispiacerebbe averne una in garage, tanto più che, per questa rarità, non si superano i 7.000 Euro per un esemplare impeccabile.
Infine, la corsa di questa sportiva termina nel 1993 e… puff! SXi sparisce semplicemente dalle strade. Anzi, se ne trovate una, fatecelo sapere, sarebbe avvistamento degno di far concorrenza a quelli fatti dagli ufologi!
Michele Franco
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