
A chi potrà giovare il “Liberation day”?
Così dopo i tanti annunci, anatemi e deprecazioni, mercoledì 2 aprile in tarda serata è arrivato il proclama del Presidente degli Stati Uniti, con le aliquote maggiorate dei dazi per singolo Paese che dovrebbero trovare applicazione tra domani e il10 di maggio e precisamente al 34% per la Cina, 20% per l’Unione Europea, 46% per il Vietnam, 31% per la Svizzera, 10% per la Repubblica di San Marino, ecc. Fanno eccezione la Russia e la Corea del Nord, ritenuti politicamente intoccabili. I Paesi poveri risultano quelli maggiormente penalizzati perché importano meno beni dagli Stati Uniti.
“Abbiamo applicato dazi dimezzati rispetto a quelli imposti a noi”, dice il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, illustrando il metodo adottato con una spiegazione che non appare esaustiva e convincente per gli esperti di alcuni Paesi. È stato considerato il rapporto tra deficit commerciale degli Stati Uniti e surplus commerciale di un’altra nazione, la cifra è stata divisa per due. Trump ha così inaugurato il “Liberation day” dei dazi e l’Unione europea è piombata in pieno disorientamento.
La reazione delle cancellerie del Vecchio Continente, leggendo le dichiarazioni dei leader, è sproporzionata perché sarebbe sufficiente conoscere addizioni e sottrazioni per capire che il Presidente degli Stati Uniti sta provando a riequilibrare una bilancia commerciale sfavorevole e usa strumentalmente la leva fiscale.
La globalizzazione ha finito per mangiare i suoi figli, ha decimato la Fabbrica America e per questo Trump, nel corso dell’annuncio parlava di “lavoro” e “fabbrica”, parole che evocano la fatica, la creatività, l’essere umano. Per la Casa Bianca il problema è di sopravvivenza, salvezza di un “uomo dimenticato” dell’America post-industriale. L’illusione di rimpiazzare i posti perduti con il boom del settore dei servizi è però finita da tempo, per effetto dell’automazione e, in un domani accelerato, dell’esplosione dell’intelligenza artificiale.
Anche per il professor Sapelli: Trump interpreta “la rivolta del popolo comune” tradizionalista, conservatore e che vuole tornare “a incarnare il sogno americano”.
I dazi sono inutili? Inutili, dannosi e controproducenti, ribadiamo. Da giorni ce lo ripetono gli economisti, perché creano distorsioni, importano inflazione, sono di fatto delle tasse a carico dei propri cittadini. E quando si vuole rispondere con dei contro-dazi, si entra in una situazione ancora peggiore perché poi nelle guerre commerciali, nessuno ci guadagna, ma perdono tutti.
Anche per Trump, questo provvedimento non rappresenta la soluzione, ma è solo l’arma di un negoziato. Egli cerca di strappare qualcosa alle altre potenze industriali e su quest’assunto l’UE dovrebbe orientare il suo impegno.
Cos’è successo nella giornata di giovedì 3 aprile?
I dazi di Donald Trump hanno spazzando via 2.000 miliardi di dollari di valore da Wall Street. Per Apple sono andati in fumo 274,0 miliardi di dollari, per Amazon 181,9 miliardi e per Nvidia 143,4 miliardi. Meta invece sta perdendo 143,4 miliardi, mentre Microsoft e Google 69,1 miliardi ciascuna.
I governi colpiti sono riuniti per esaminare le ricadute sul Pil di ogni Paese. il premier Meloni, anche se preoccupata, chiede di non fare allarmismo controproducente, perché l’impatto per l’Italia può essere affrontabile, Macron ha proposto lo stop degli investimenti francesi ed europei negli Stati Uniti in attesa di “chiarimenti” con la Casa Bianca. Il Presidente Usa ha detto che sarebbe disposto “a trattare di fronte a un’offerta fenomenale”.
Anche venerdì, la Borsa di Milano procede senza freni e peggiora ancora mentre si guarda all’avvio di Wall Street dove i future sono in calo. Il Ftse Mib lascia sul terreno il 7% 34.464 punti, portandosi a livelli di gennaio 2025 e chiude poi a – 6.53%. A Piazza Affari sprofondano le banche e le assicurazioni. Unipol (-13%), Bper, Mps, Unicredit Banco Bpm (-11%), Popolare Sondrio e Intesa (-10%). Generali (-7%). Nel Vecchio continente pesante anche Madrid (-4,9%), Francoforte (-3,6%), Parigi (-3%), Londra (-2,7%). Le borse tarderanno ad equilibrarsi anche per il rischio di una guerra commerciale.
Bankitalia rivede il Pil al ribasso: + 0,6% rispetto al + 0,8% precedente per il 2025 e + 0,8% per il 2026.
E l’UE? Ursula von der Leyen ha perso tempo prezioso. Ha diffuso dichiarazioni di vendetta nel corso dei due ultimi mesi e non ha neppure cercato di organizzare un incontro con Trump. Questo atteggiamento, che graverà sull’economia dei Paesi UE, ci conferma la sua inadeguatezza a ricoprire il ruolo. Ora pare stia cercando di correre ai ripari, ma come?
Ci sono contromisure in arrivo da Bruxelles in risposta ai dazi sull’alluminio e l’acciaio annunciati dall’amministrazione Trump:
“La decisione dovrebbe manifestarsi in comitologia (una procedura speciale in sede Ue, ndr), e i Paesi saranno chiamati a votarla il 9 aprile”.
Lo fanno sapere fonti Ue, precisando che a seguito del voto – a maggioranza qualificata – i primi contro dazi potranno entrare in vigore il 15 aprile, seguiti poi da una seconda tranche di misure il 15maggio.
Dopo le misure annunciate dal presidente degli Usa Donald Trump, circa il 70% delle esportazioni Ue verso gli Stati Uniti saranno colpite da dazi, per un controvalore di “circa 360 miliardi, 370 miliardi di euro”. Il totale dei dazi che gli Stati Uniti sono destinati a riscuotere sulle esportazioni dell’Ue è “di poco superiore agli 81 miliardi”. Lo ha spiegato un alto funzionario Ue, a Bruxelles. Le nostre esportazioni possono calare di 11 miliardi e a rischio si presume ci siano oltre 33 mila posti di lavoro.
Se si confronta questo dato con l’importo dei dazi che gli Stati Uniti hanno riscosso finora sulle esportazioni dell’Ue, che ammontavano a circa 7 miliardi, si tratta di un “balzo enorme”.
L’Unione europea, come gli altri Paesi colpiti, dovrebbero comunque cercare di stabilire intese con gli Usa, perché, come già anticipato, dietro alle nuove misure c’è in ballo lo scambio di beni e servizi. Sara però indispensabile che per materie specifiche come per l’agroalimentare entrino in ballo i Paesi maggiormente colpiti dell’area mediterranea, Italia in testa.
È bene ricordare che quest’UE a conduzione tedesca, anche per l’inerzia dei nostri politicanti, ha sempre privilegiato altre produzioni in materia di tutela e sussidi rispetto alle nostre, (il latte e il vino sono tutt’ora le produzioni più penalizzate) per cui, questa potrebbe rappresentare l’occasione propizia in cui il governo italiano dovrebbe intervenire con competenza e decisione e difendere il made in Italy.
Così pure da parte dei gruppi industriali colpiti, l’intervento dovrà esserci e vigoroso, stabilendo compromessi favorevoli.
La leva tributaria era già stata oggetto, nel corso degli anni, tra Stati Uniti ed Italia di negoziazioni ed accordi. Nel 1973 l’Olivetti risolvette un’annosa richiesta degli Stati Uniti, circa i criteri applicativi dei dazi siderurgici con la mediazione del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il presidente degli Stai Uniti Richard Nixon e il segretario di Stato Henry Kissinger su richiesta di Bruno Visentini, presidente dell’Olivetti, Ottorino Beltrami, amministratore delegato e Paolo N. Rogers, direttore delle relazioni Internazionali.
In anni più recenti Sergio Marchionne definì compromessi onorevoli con le amministrazioni di Obama e Trump.
Le maggiori preoccupazioni derivano oggi dal ruolo dell’UE. Per il professor Sapelli
“s’aggira uno spettro: quello dell’Unione europea. Che, terrorizzata, sta correndo ai ripari su tutto e lo sta facendo in modo molto confusionario. Discute di contromisure ai dazi americani non sapendo che i dazi servono a pochissimo. Anziché sforzarsi di entrare nei negoziati per la pace in Ucraina, si sta riarmando senza seguire alcun criterio comunitario perché, per farlo, dovrebbe riscrivere il trattato di Maastricht. Il rischio è di rimanere ancor più isolata e schiacciata di quanto già non lo sia. Non solo sul piano politico — cosa che avviene da anni — ma pure su quello economico”.
Così superate le sbandate delle Borse e l’inevitabile appetito degli speculatori, sarebbe opportuno che la prefica di Bruxelles, che continua a non saper affrontare una burocrazia deleteria e asfissiante, lasciasse spazio a negoziatori competenti per rivedere l’impianto degli scambi e i rapporti tra UE e Stati Uniti e che l’Italia se sente puzza di bruciato, rompa gli indugi per far valer finalmente i nostri interessi.
Questa volta non si può sbagliare!
Civico20News
Francesco Rossa
Editorialista
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